Federico Raponi, Intervista a Lidia Ravera

ec70a2effe8081d657a9f586cb0d82ca.jpgda LIBERAZIONE, 29 APRILE 2008«Porci con le ali intuì il cambiamentoma vorrei non averlo scritto io»L’impeto della libertà passata, il presagio poi, le luci e le diverse ombre del presente. Fatto di potenzialità, sfide e pericoli. Il vissuto esperienziale e artistico di Lidia Ravera fa parte del percorso della gioventù che ha scosso la società nel ’68. La prozia di suo padre, Camilla, aveva fondato il Pci. Politicamente, lei si descrive così: «iscritta alla Fgci, movimentista e poi extraparlamentare e poi femminista e poi sinistra Ds e poi Aprile e poi sinistra fuori dai Ds e poi girotondina e poi madre costituente del piddì, disposta a inghiottire dubbi e critiche per far vincere almeno uno straccio di democrazia». Scrittrice e giornalista, con il romanzo Porci con le ali (scritto con lo pseudonimo “Antonia” insieme a Marco Lombardo Radice), affresco generazionale attraverso la storia d’amore tra due adolescenti, fa scandalo – nel 1976 – per il linguaggio sboccato e la descrizione di rapporti sessuali. Ora sta lavorando al prossimo libro, Le quattro stagioni . Cominciamo dall’ultimo libro, “Le seduzioni dell’inverno”. Per sintetizzarne il tema, si parla di «grande, collettiva, epocale anestesia sentimentale».Per me – artisticamente – funziona sempre così, oggi come 22 libri fa: il rovello da cui parto è una preoccupazione, un’ansia sia personale che collettiva, che poi, abbastanza misteriosamente, si incarna nell’opera. Nel caso de Le seduzioni dell’inverno ho voluto riflettere sull’impossibilità, sempre più diffusa, di innamorarsi. Il nodo, secondo me, sta nel non voler soffrire, e l’amore è assumersi un rischio in questo senso. Inoltre va anche messo nel conto che viviamo in una società orientata verso il piacere, lo svago e il consumismo sessuale, e tutto questo certo non ci arricchisce, anzi ci allontana dalla conoscenza di noi stessi e dell’altro. Insomma la preoccupazione della forma, della bellezza di noi stessi non ci permettere di mettere a fuoco l’altro da sé. E’ proprio vero che, come si legge nel libro, “riconoscere e far propria l’intelligenza degli altri è cultura”?L’intelligenza è l’ossessione della mia vita, fin da piccola mi dicevano che ero intelligente, tanto che quando mi capitava di incontrare qualcuno che mi diceva che ero carina me ne innamoravo subito. Sentir parlare della mia intelligenza mi faceva sentire di avere un potere, uno strumento in più. Anche se qualche volta mi sorgeva il dubbio: vuoi vedere che magari non è vero? Mi sono quindi messa a cercarne una definizione ideale, e ho trovato questa. Sul mio sito vorrei dedicare una rubrica all’argomento.A proposito di sito, cosa dire di Intn è vero? Mi sono quindi messa a cercarne una definizione ideale, e ho trovato questa. Sul mio sito vorrei dedicare una rubrica all’argomento.ernet? Sono più i vantaggi o i limiti?E’ uno strumento meraviglioso, democratico, permette un confronto costante in tempo reale ed è interattivo, toglie alla relazione tra persone quanto c’è di superficiale e idolatrato, come l’esteriorità, dato deviante rispetto al nocciolo. Che è lo scambio di esperienze, in modo durevole e sostanzioso. Un incontro di anime e intelligenze, la centralità dell’essenza. E c’è anche un elemento di seduzione. L’unico rischio che vedo è la non essenzialità del contatto, inteso come il guardarsi in faccia, il comunicare col sorriso, con l’odore. In confronto, il ’68 è stato l’orgia della vicinanza: le riunioni, i cortei, le notti a ciclostilare, il vivere insieme in tribù sempre appiccicate. Dove nascevano amori, ma anche idiosincrasie e ripugnanze. Il corpo ora non è più padrone.Quaranta anni dal ’68, trenta dal ’77. Con che occhi rileggere oggi “Porci con le ali”?Per la mia vita il libro è stato una rovina. Per il lavoro in sè, invece, un colpo di genio. Il motivo per cui se ne parla ancora è perchè intuì cosa stava cambiando e che il decennio del ’68, stava finendo. Racconta la crisi di un modello sessuale, i protagonisti fanno sempre più esperienze ma sono sempre più infelici. Ma anche la crisi della militanza e della politica. E’ vero che si stava esprimendo allora – e in pieno – il femminismo, che è stato importante, ma vissuto dalle donne con un senso di sofferenza e solitudine, tra ometti espropriati di ruolo che scappavano. Per tutto ciò lo ammiro, ma vorrei non averlo scritto io. Perchè mi fa sentire una ragazza invecchiata, inchiodata alla sua precocità.A proposito di femminismo: cosa dire dell’attuale attacco alla donna rispetto a legge 194, pillola del giorno dopo, obiezione di coscienza?E sarà molto peggio. Già con il governo di centro-sinistra riprese l’attacco alla libertà del corpo, per cui adesso non mi aspetto niente di meglio. Non sarà rivista – ad esempio – la legge sulla procreazione assistita, che è pesantemente contro la donna. Ci toccherà ripartire dalla difesa della 194, immagino che dovremo stenderci in piazza e farci camminare sopra.La contingenza è anche dominata dalle elezioni e dalla disfatta della sinistra istituzionale…Sono disperata per questa scomparsa parlamentare. E’ un segnale terribile, il paese corre rischi enormi. Non mi ero accorta di quanto stava per accadere, e per questo mi sento deficiente. Non credo che la responsabilità sia solo di Veltroni, ma di un’armata Brancaleone messa insieme così. Occorrerebbe una serissima autocritica ed un ricambio generazionale. Spero che Liberazione continui ad esistere, come pure un’esperienza politica che si contrapponga allo scivolamento a destra dell’Italia. In tal senso sto collaborando con Giulietto Chiesa ad un progetto di televisione ad azionariato popolare. Oggi, per le forze politiche critiche, esistere vuol dire avere mezzi di comunicazione a disposizione. Perchè la Tv le sta espellendo.E la collaborazione al libro “Zero, perché la versione ufficiale sull’11/9 è un falso”…Il volume comprende una serie di saggi molto ponderosi di grandi personalità internazionali. Io ho scritto un racconto attraverso il quale evoco un sentimento condiviso, che è lo sbigottimento di fronte all’enormità dell’ipotesi che le cose non siano andate come ci hanno detto, e che quindi siano servite semplicemente come giustificazione per cambiare la geografia del mondo e rilanciare una stagione di guerre sanguinose che non riescono a finire, in cui muoiono migliaia e migliaia di innocenti. E’ talmente terribile che ho avuto bisogno di liberarmi di questa sensazione di angoscia narrando – attraverso un personaggio – una storia inventata che però è molto verosimile. “Zero” è anche un documentario, per la regia di Franco Fracassi e Francesco Trento, basato su interviste a testimoni oculari, sopravvissuti, responsabili delle indagini, esperti, familiari delle vittime, giornalisti. Accompagnate da immagini di repertorio inedite ed esclusive, documenti ufficiali e ricostruzioni, la presenza narrante di Lella Costa, Dario Fo e Moni Ovadia. Qual è stato il risultato?Un film sconvolgente, di quelli che non ti fanno dormire, altro che gli horror. Si rimane annichiliti. Ho fatto l’esperimento con piccoli gruppi di amici a cui l’ho fatto vedere a casa mia, e le reazioni erano queste: un silenzio sbigottito e una grande angoscia. E poi ci consolavamo a vicenda pensando che la controinformazione è importante, e che dunque bisogna vederlo e farlo vedere. E’ un gesto di coraggio. Se non sei colto da un attacco di impotenza, tipo “io non conto niente, fanno tutto alle mie spalle”, ti vien voglia di fare qualcosa. Ma a parte le persone innocenti interiormente, cioè capaci di liberarsi di tutte le sovrastrutture, e che appunto avevano questa reazione, molte altre con cui ne ho parlato, anche di sinistra, mi hanno un po’ preso in giro: “ah, la dietrista.. Ma figuriamoci… La controinformazione sull’11 settembre è un business, libri che vendono migliaia di copie…”. Insomma, vedo molto un atteggiamento che mira a sminuire, a scherzare, a pensare ad una sorta di attitudine complottista tipica dei radicali di sinistra. Non è così, ci sono dei quesiti aperti, dei dubbi su un evento che ha cambiato il mondo e che non possiamo accettare supinamente. Vorrei che mi dimostrassero che le cose sono andate come hanno detto loro, mi sentirei più serena. Preferirei pensare che c’è il mostro Al Qaida, e Bin Laden che vive nella grotta afghana brutto e cattivo, con tutte le sue barbe, e che fa tutto lui. Purtroppo, alle domande di questa controinchiesta le fonti ufficiali non hanno risposto. Quindi è un lavoro necessario, nel senso che è meglio soffrire di angoscia e di impotenza che essere presi per i fondelli e non sapere niente. Il doc è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma. Verrà regolarmente distribuito?Ovviamente le grandi distribuzioni non l’hanno preso, quindi ci sono solo alcuni cinema che lo proiettano. Penso che, siccome l’establishment non si prende la responsabilità di dar spazio ad un film così inquietante, i percorsi alternativi dovranno essere moltiplicati. Su questo sono molto ottimista, ho visto parecchio interesse, quasi tutti gli amici mi dicevano: «faccene avere una copia che organizziamo dei gruppi e lo facciamo girare», così come è già girata molto in Rete la versione meno completa. Noi abbiamo questi strumenti, non abbiamo potere economico. Che ciascuno faccia la sua parte.

Federico Raponi, Intervista a Lidia Raveraultima modifica: 2008-04-29T19:59:22+02:00da mangano1
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Un pensiero su “Federico Raponi, Intervista a Lidia Ravera

  1. l’intelligenza ha mille facce, su quella di lidia ravera non si discute…
    ma il contadino ha l’intelligenza della terra, il fornaio quella del pane.
    noi poveri letterati, quella di carta, dei libri.

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