Francesco Antonelli, Il saggio sulla maschera di Pizzorno

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dal manifesto del 13 Giugno 2008
SAGGI
Tra autentico e inautentico, il gioco delle identità
Il mondo nascosto degli animali sociali
FRANCESCO ANTONELLI

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Sulla Maschera di Alessandro Pizzorno – saggio scritto a Parigi nel 1952 e ora riproposto da Il Mulino – è un testo agile e penetrante, uno splendido esempio di quelle contaminazioni analitiche e stilistiche, tipiche delle opere giovanili, in grado di aprire domande impreviste e percorsi di studio inusuali. Nel caso di Pizzorno si tratta della riproposizione, secondo una nuova prospettiva che condurrà negli anni successivi alla tematizzazione dell’intersoggettività. In questo saggio è però ricondotta all’antico dilemma tra natura umana (qui intesa come condizione pre-sociale) e cultura.
Pizzorno è considerato un «decano» della sociologia mondiale per la sua capacità di operare quel cortocircuito tra riflessione teoretica e analisi della realtà sociale, come testimoniano tutte le sue opere. Qui siamo di fronte alla coppia analitica – autenticità versus inautenticità – su cui era avvitata la rilfessione filosofica francese del secondo dopoguerra. In fondo, tutta la storia dell’Occidente e della modernità era svolta intorno a questo dilemma, tra i momenti costitutivi di quell’esistenzialismo, egemone nella Parigi degli anni ’50, che partendo da Martin Heiddeger era arrivato a Jean-Paul Sartre, affidando allo sforzo interiore del soggetto il compito di vivere nell’autenticità, rifiutando così la banalità del quotidiano a favore dell’esserci. Paradossalmente, dalla stessa matrice fenomenolgica dell’esistenzialismo, si svilupperà una prospettiva che attirerà nuovamente l’attenzione sulla vita quotidiana (mondi di vita) e sul ruolo degli scambi simbolici tra soggetti, attraverso i quali si costruisce quella familiarità e quel riconoscimento dell’identità e della dignità di ciascuno, che solo a contatto con gli altri possiamo raggiungere. Oppure perdere. Il tema emergente dell’intersoggettività diviene quindi il ribaltamento del dilemma autenticità e inautenticità: l’analisi critica presentata dallo studioso italiano in questo volume giovanile parte proprio da qui.
La maschera, afferma Pizzorno, è infatti un termine che nella nostra cultura evoca simulazione ed inautenticità. Accanto alla diffusa consapevolezza che noi tutti interpretiamo «una parte», vi è la contemporanea pretesa di scorgere, dietro le apparenze, il vero essere dell’Altro. Qui sorge il paradosso fondamentale: per cogliere l’irripetibile unicità di ciascuno, la sua verità, non possiamo che negare ciò che si mostra attraverso la maschera sociale, il personaggio. E, a partire da questa negazione, cercare e definire in senso debole l’autenticità oltre l’apparenza. La maschera, la società dove si svolge la rappresentazione è dunque termine forte, elemento ineludibile della stessa ricerca. L’autenticità (del singolo) e l’inautenticità (della società) sono dunque opposti irriducibili oppure polarità di una stessa dialettica sociale? Pizzorno non affronta direttamente questo quesito. Piuttosto, mette in luce una serie di elementi antropologici che delineano una sorta di archeologia culturale della maschera; stimola riflessioni piuttosto che suggerire risposte.

FATALE IDENTITA’
Nelle civiltà arcaiche e nell’era pagana, in Grecia come a Roma, la maschera era innanzitutto un artefatto, un oggetto dotato di molteplici significati magico-sacrali; ciascuno di essi rimandava all’essere dell’uomo come parte organica del tutto sociale e della natura, emblematicamente rappresentata, proprio tramite l’artefatto maschera, nel tempo «extra-ordinario» della festa e della cerimonia religiosa; o in quello fatale ed ultimativo della morte: «Questo oggetto – scrive Pizzorno – costituisce allora per un individuo, per un gruppo, per una società, la possibilità di riconoscersi in un essere, identificandosi ad esso (partecipando alla sua identità); di fondare tale essere sulla sua presenza sociale». Non a caso la parola latina per indicare la maschera è persona la quale serve «per determinati rapporti, a indicare ciò che l’uomo è di fronte agli altri uomini. Ma significa pure l’umanità dell’uomo in quanto tale».
L’avvento della civiltà cristiana opera una svolta decisiva: la maschera è abolita come oggetto rituale, secondo una tendenza iconoclasta, condivisa da tutte le religioni semitiche, che enfatizza il ruolo del verbo, della parola detta e scritta, come mezzi di accesso alla rivelazione. Nasce così il termine specifico maschera, per indicare l’artefatto, che si separa dal lemma persona, sempre più utilizzato come sinonimo di uomo. È a questo punto che l’autenticità, opaca perché dietro le apparenze, si contrappone al suo essere sociale, tangibile e pure inautentico.
Il ritorno circolare, criticamente fondato, al punto da cui Pizzorno è partito, spinge allora il testo oltre sé stesso: l’assenza della maschera come artefatto dalla vita pubblica e sociale la rende, paradossalmente, onnipresente. Essa è ora habitus sociale, intersoggettività continuamente richiamata, negata e condannata, da una dilagante cultura del sospetto e dell’invisibile: nel momento in cui la maschera cessa di essere oggetto socialmente legittimo si tramuta in archetipo fondante la stessa modernità e la sua complessità. Una complessità cui Pizzorno ha dedicato tutta la sua opera.

Francesco Antonelli, Il saggio sulla maschera di Pizzornoultima modifica: 2008-06-15T17:49:24+02:00da mangano1
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