Antonio Carioti, SADE, lo scandalo che divide ancora

dal CORRIERE DELLA SERA, 26 settembre 2008
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ANTONIO CARIOTI

EROS E MORTE DUE SAGGI SUL «DIVINO MARCHESE» METTONO IN LUCE ASPETTI OPPOSTI DELLA SUA PERSONALITÀ
Sade, lo scandalo che divide ancora
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Riccardo De Benedetti: anticipò Gulag e Lager. Paolo Mottana: un utopista
Eccessi : Portò all’ estremo limite l’ Illuminismo sino ad abolire ogni umanesimo. Fu un precursore anche del Sessantotto

Radicalmente ateo e materialista, nemico di ogni virtù e cantore di ogni depravazione, capace di descrivere per pagine e pagine le pratiche sessuali più scabrose e le torture più efferate, il marchese Donatien Alphonse François de Sade è un autore che scuote i lettori nel profondo. Nato nel 1740, rinchiuso a lungo in carcere e morto in manicomio nel 1814, è pienamente immerso nella temperie illuminista, ma ne spinge il disincanto all’ estremo, fino a demolire ogni umanesimo. Ridiscusso a più riprese durante il Novecento – da André Breton come da Michel Foucault, da Georges Bataille come da Augusto Del Noce – il «divino marchese» rimane una presenza inquietante nel sottofondo della nostra cultura. Ma sulla sua collocazione ci sono letture divergenti, come dimostrano due volumi freschi di stampa. Riccardo De Benedetti, nel saggio La chiesa di Sade (Medusa, pp. 111, Euro 12) lo presenta come un anticipatore tanto delle tirannidi totalitarie quanto del capitalismo consumista. Paolo Mottana, nel libro Antipedagogie del piacere: Sade e Fourier (Franco Angeli, pp. 165, Euro 15,50) ne valorizza invece l’ aspetto dissacratore e radicale, accostandolo a un utopista come Charles Fourier. «È un errore a mio avviso – dichiara De Benedetti al Corriere – ricondurre Sade a una visione positiva dell’ erotismo. Ciò che domina un testo come Le 120 giornate di Sodoma, così monotono e ossessivo da risultare nauseante, non è il godimento sessuale, ma la crudeltà. Non c’ è alcuna dimensione reciproca nel piacere, che si manifesta solo in forma patologica, come potere assoluto sul corpo dell’ altro, su vittime ridotte a puri e semplici oggetti. Nella filosofia di Sade, che rifiuta ogni idea di trascendenza e spiritualità, un uomo vale quanto un verme, per cui se ne può abusare senza limiti. Ma la sua concezione non è libertaria, bensì rigidamente gerarchica. I depravati che popolano le sue opere vengono sempre dalla nobiltà o dall’ alto clero, oppure dalla più infame suburra, che in fondo è un’ aristocrazia del crimine. Perciò mi pare legittimo vedere in lui un profeta di Auschwitz e del Gulag, luoghi dove l’ arbitrio del potere ha raggiunto il massimo grado». Un’ interpretazione che non convince Mottana: «Certamente Sade rompe con la civiltà umanistica, distrugge il concetto stesso di persona, ci mette di fronte al lato oscuro del desiderio. Tuttavia, come sottolinea la curatrice delle Opere complete sadiane Anne Le Brun, il suo è soprattutto un pensiero festivo, dionisiaco. Non è quindi votato prioritariamente alla morte e alla distruzione, semmai eleva a unico valore il godimento da ottenere ad ogni costo, senza alcuna remora etica, sprigionando un vitalismo assoluto. Dato che nei suoi scritti il forte infierisce sul debole, inteso come chi non riesce a reggere l’ eccesso, alcuni vedono in Sade un antesignano del nazifascismo: si pensi al film Salò di Pier Paolo Pasolini, ispirato a Le 120 giornate di Sodoma. Però nella prospettiva sadiana non esiste una razza superiore: tutti gli uomini sono materia, sono parte della natura come le piante e le pietre, quindi sono soggetti alla stessa legge. È una morale svincolata da ogni preoccupazione storico-politica (se non per quanto attiene alla rottura con il quadro autoritario dell’ epoca), che afferma l’ assoluta provvisorietà dell’ esistenza umana e invita ad approfittare dei piaceri che offre il mondo materiale. Quello del libertino è dunque, secondo Sade, il comportamento più razionale». Qui emerge il tema del rapporto tra il «divino marchese» e l’ attuale società consumistica, su cui insiste De Benedetti: «Oggi constatiamo che l’ appello contro la repressione degli impulsi istintuali lanciato dal Sessantotto aveva una forte impronta sadiana. Tramontate le illusioni rivoluzionarie ed egualitarie, ormai della cultura prodotta dalla protesta giovanile è rimasta solo la liberazione sessuale, che però si dimostra perfettamente funzionale alla mercificazione dei corpi, spesso in chiave sadica, di cui la pubblicità fornisce esempi a bizzeffe. Non a caso molti sessantottini, a partire da Antonio Ricci, hanno fatto carriera nella televisione e nel marketing. Basta navigare su Internet per accorgersi del peso enorme che ha Sade nell’ immaginario contemporaneo». Mottana dissente: «Al di là delle apparenze, non mi pare proprio che la società attuale sia dedita principalmente al piacere carnale e comunque non certo in una prospettiva sessantottina. Non vedo un tripudio di corpi votati alla dissipazione del godimento, come nelle opere di Sade, ma una massa di corpi messi al lavoro, votati alle esigenze delle produzione secondo la logica del profitto pecuniario. Nell’ universo sadiano invece il denaro non ha grande importanza: nessuno compra o vende nulla, non ci sono regole. Al contrario oggi tutto è minuziosamente normato, contraffatto, con un notevole ritorno ai valori tradizionali: famiglia, autorità, religione. Tendenze lontanissime dal vitalismo di Sade come dalle aspirazione libertarie, rimaste irrealizzate, del Sessantotto». Lo scrittore Gli scandali Donatien Alphonse François de Sade (a destra in una stampa popolare) nasce a Parigi nel 1740. Arrestato più volte per immoralità, durante la Rivoluzione rischia la ghigliottina. Muore nel 1814 nel manicomio di Charenton dove era stato rinchiuso per lo scandalo suscitato dai suoi libri Le opere La sua produzione comprende una decina di romanzi, novelle, drammi e un epistolario. Nel ‘ 900 opere come La filosofia nel boudoir o Le 120 giornate di Sodoma diventano oggetto di studio della psicoanalisi

Antonio Carioti, SADE, lo scandalo che divide ancoraultima modifica: 2008-09-27T17:55:00+02:00da mangano1
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2 pensieri su “Antonio Carioti, SADE, lo scandalo che divide ancora

  1. Nicoletta Tiliacos, sul FOGLIO

    Sade ha vinto. Ha vinto nelle pubblicità dei privé in cui si pratica il bondage e nella manipolazione tecnoscientifica del corpo umano. Ha vinto nell’azzeramento dell’idea di trasgressione sessuale, trasformata nelle pratiche en plein air su Internet e sulle riviste di moda, e nell’ecologismo che propone “la visione di un’umanità che infierendo sulla natura ora ne paga la provvidenziale ritorsione”. Ha vinto nelle tesi antinataliste e nelle idee eutanasiche travestite da libertà dell’individuo, lucidamente esposte in “Aline et Valcour”, il più filosofico dei romanzi sadiani. Il sadismo come delirio di un folle geniale, insomma, “non regge alla prova dei testi; il sadismo vivrà pure nella dimensione onirica e smisurata di un singolo, ma sa il cielo quanto abbia voluto e fatto per incarnarsi”.

    A proporre questa lettura, singolare e ben argomentata, è il filosofo Riccardo De Benedetti. Il sadismo, scrive, si incarna non solo, e banalmente, nella pornografia o nei libertinismi più o meno brutali e più o meno di massa. Nelle cento pagine del suo “La chiesa di Sade. Una devozione moderna”, appena pubblicato da Medusa, De Benedetti sostiene che il sadismo si è fatto, con successo, programma politico e cifra identitaria del presente. I’epoca in cui il marchese agisce è epoca rivoluzionaria, che chiede fatti e non si accontenta di nulla di meno. E non c’è dubbio, dice De Benedetti, che Sade aspirasse a una qualche “società di sadici”, sia pure clandestina. Così, “per quanto la realizzazione alla quale Sade pensava fosse tagliata a misura della sua personalissima erotomania, la dismisura della sua immaginazione e la sua quasi impossibile messa in opera non devono trarre in inganno”. Lo si è quasi sempre collocato in uno spazio pu-ramente letterario e metaforico, mentre la prospettiva andrebbe rovesciata. Modesto letterato, Sade va preso sul serio su altri piani. L’aveva capito Anatole France, il quale sosteneva: “Bisogna trattare un testo del marchese de Sade come un testo di Pascal”. Dopo di lui, nel 1967, Raoul Vaneigem, nel suo “Traité de savoir-vivre à l’usage des jeunes générations”, scriveva: “È tempo che i rivoluzionari leggano Sade con altrettanta cura di quanta ne mettono a leggere Marx”.

    Quali sono i segni del trionfo “politico” di Sade? De Benedetti scrive che il linguaggio della sua opera “si è installato nel nostro paesaggio culturale, ne ha condizionato alcuni profili non secondari e infine ne è riemerso come comportamento di massa accettato e almeno in parte promosso nei pressi del Sessantotto”. Il Sessantotto poté mobilitare le istanze sadiane perché aveva alle spalle la sconfitta del nazismo, e l’accostamento Sade-nazismo era ormai a distanza di sicurezza: anzi, si poteva saltare del tutto la lettura noiosissimo delle sue opere “e praticarlo con calma e giudiziosa sperimentazione”. Così, grazie alle “modulazioni sapienti del francesismo idiomatico parlato dai freudismi, dai marxismi, dagli esistenzialismi gauche che hanno anticipato, seguito e, in un batter di ciglio, liquidato lo stesso Sessantotto”, e dopo l’adozione del Divin Marchese da parte delle avanguardie storiche, oggi il sadismo si è “piazzato in salotto, nel media center delle nostre abitazioni”, e ammicca dai computer, dai dvd, dalla televisione: “Un Sade a dimensione di ipod”, che serve a vendere meglio ogni tipo di merce, mentre si presenta come un’opzione del tutto accettabile e perseguibile di vita e di comportamento.

    Alla domanda che apre il libro (“è vero o no che Sade prefigura il male moderno?”), De Benedetti risponde di sì. Ma invece di chiamare in causa questioni direttamente morali, preferisce più sottilmente muovere dalla constatazione che il male moderno per eccellenza ha a che fare con la solitudine. Non c’è nessun solipsismo nei personaggi del marchese, che sono, al contrario, “tutti ben socializzati, direbbe un insegnante elementare, e ben organizzati”. Ma questo “non impedisce che siano essenzialmente soli”. È Ia pietra angolare politico-filosofica del sadismo: “La sua è una filosofia dell’interesse e in seguito, dell’egoismo inte-grale… Sade lo ha detto e ripetuto in tutte le forme: la natura ci fa nascere soli; tra un uomo e l’altro non esiste alcuna specie di rapporto”, e questo consente al dominante di usare il dominato, il suo corpo, come una cosa. “Possedere esseri viventi come fossero semplici oggetti”, scriveva Klossowski.

    Ma dove la vittoria sadiana appare indiscutibile a De Benedetti è nelle “teorie cosmologiche moderne che hanno ridotto potentemente ruolo e significato dell’uomo nell’universo”. Assecondare l’opera della natura, l’unica strada possibile per Sade, significa lavorare all’annientamento dell’umano, affermare la “degradazione come necessità filosofica”: “Individuare in Sade colui che porta a tennine o inaugura, a seconda della periodizzazione piuttosto discutibile, la protesta moderna contro le limitazioni poste dalla religione e dagli ordinamenti sociali, significa ignorare che Sade consegna l’uomo a una tirannia ancora più nefasta e incorreggibile: la natura spogliata di qualsiasi presenza umana”. Chissà se Lovelock il teorico di Gaia, la Terra indifferente e divinizzata, ha mai sospettato di essere un perfetto sadiano.

  2. Nicoletta Tiliacos, sul FOGLIO

    Sade ha vinto. Ha vinto nelle pubblicità dei privé in cui si pratica il bondage e nella manipolazione tecnoscientifica del corpo umano. Ha vinto nell’azzeramento dell’idea di trasgressione sessuale, trasformata nelle pratiche en plein air su Internet e sulle riviste di moda, e nell’ecologismo che propone “la visione di un’umanità che infierendo sulla natura ora ne paga la provvidenziale ritorsione”. Ha vinto nelle tesi antinataliste e nelle idee eutanasiche travestite da libertà dell’individuo, lucidamente esposte in “Aline et Valcour”, il più filosofico dei romanzi sadiani. Il sadismo come delirio di un folle geniale, insomma, “non regge alla prova dei testi; il sadismo vivrà pure nella dimensione onirica e smisurata di un singolo, ma sa il cielo quanto abbia voluto e fatto per incarnarsi”.

    A proporre questa lettura, singolare e ben argomentata, è il filosofo Riccardo De Benedetti. Il sadismo, scrive, si incarna non solo, e banalmente, nella pornografia o nei libertinismi più o meno brutali e più o meno di massa. Nelle cento pagine del suo “La chiesa di Sade. Una devozione moderna”, appena pubblicato da Medusa, De Benedetti sostiene che il sadismo si è fatto, con successo, programma politico e cifra identitaria del presente. I’epoca in cui il marchese agisce è epoca rivoluzionaria, che chiede fatti e non si accontenta di nulla di meno. E non c’è dubbio, dice De Benedetti, che Sade aspirasse a una qualche “società di sadici”, sia pure clandestina. Così, “per quanto la realizzazione alla quale Sade pensava fosse tagliata a misura della sua personalissima erotomania, la dismisura della sua immaginazione e la sua quasi impossibile messa in opera non devono trarre in inganno”. Lo si è quasi sempre collocato in uno spazio pu-ramente letterario e metaforico, mentre la prospettiva andrebbe rovesciata. Modesto letterato, Sade va preso sul serio su altri piani. L’aveva capito Anatole France, il quale sosteneva: “Bisogna trattare un testo del marchese de Sade come un testo di Pascal”. Dopo di lui, nel 1967, Raoul Vaneigem, nel suo “Traité de savoir-vivre à l’usage des jeunes générations”, scriveva: “È tempo che i rivoluzionari leggano Sade con altrettanta cura di quanta ne mettono a leggere Marx”.

    Quali sono i segni del trionfo “politico” di Sade? De Benedetti scrive che il linguaggio della sua opera “si è installato nel nostro paesaggio culturale, ne ha condizionato alcuni profili non secondari e infine ne è riemerso come comportamento di massa accettato e almeno in parte promosso nei pressi del Sessantotto”. Il Sessantotto poté mobilitare le istanze sadiane perché aveva alle spalle la sconfitta del nazismo, e l’accostamento Sade-nazismo era ormai a distanza di sicurezza: anzi, si poteva saltare del tutto la lettura noiosissimo delle sue opere “e praticarlo con calma e giudiziosa sperimentazione”. Così, grazie alle “modulazioni sapienti del francesismo idiomatico parlato dai freudismi, dai marxismi, dagli esistenzialismi gauche che hanno anticipato, seguito e, in un batter di ciglio, liquidato lo stesso Sessantotto”, e dopo l’adozione del Divin Marchese da parte delle avanguardie storiche, oggi il sadismo si è “piazzato in salotto, nel media center delle nostre abitazioni”, e ammicca dai computer, dai dvd, dalla televisione: “Un Sade a dimensione di ipod”, che serve a vendere meglio ogni tipo di merce, mentre si presenta come un’opzione del tutto accettabile e perseguibile di vita e di comportamento.

    Alla domanda che apre il libro (“è vero o no che Sade prefigura il male moderno?”), De Benedetti risponde di sì. Ma invece di chiamare in causa questioni direttamente morali, preferisce più sottilmente muovere dalla constatazione che il male moderno per eccellenza ha a che fare con la solitudine. Non c’è nessun solipsismo nei personaggi del marchese, che sono, al contrario, “tutti ben socializzati, direbbe un insegnante elementare, e ben organizzati”. Ma questo “non impedisce che siano essenzialmente soli”. È Ia pietra angolare politico-filosofica del sadismo: “La sua è una filosofia dell’interesse e in seguito, dell’egoismo inte-grale… Sade lo ha detto e ripetuto in tutte le forme: la natura ci fa nascere soli; tra un uomo e l’altro non esiste alcuna specie di rapporto”, e questo consente al dominante di usare il dominato, il suo corpo, come una cosa. “Possedere esseri viventi come fossero semplici oggetti”, scriveva Klossowski.

    Ma dove la vittoria sadiana appare indiscutibile a De Benedetti è nelle “teorie cosmologiche moderne che hanno ridotto potentemente ruolo e significato dell’uomo nell’universo”. Assecondare l’opera della natura, l’unica strada possibile per Sade, significa lavorare all’annientamento dell’umano, affermare la “degradazione come necessità filosofica”: “Individuare in Sade colui che porta a tennine o inaugura, a seconda della periodizzazione piuttosto discutibile, la protesta moderna contro le limitazioni poste dalla religione e dagli ordinamenti sociali, significa ignorare che Sade consegna l’uomo a una tirannia ancora più nefasta e incorreggibile: la natura spogliata di qualsiasi presenza umana”. Chissà se Lovelock il teorico di Gaia, la Terra indifferente e divinizzata, ha mai sospettato di essere un perfetto sadiano.

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