Dario Olivero,Storie di punk,amore e anarchia

corriere della sera, 27 novembre
DARIO OLIVERO
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In libreria storie di punk d’amore e di anarchia

I Clash secondo i Clash per ricordi, interviste e una miniera di immagini
gli inediti di Albert Camus e gli studi su Bakunin & C di Noam Chomsky

COMBAT ROCK
Probabilmente loro si arrabbierebbero di brutto a sentirlo definire così, ma se volete fare un regalo di Natale alla persona giusta, eccolo: The Clash, autori Strummer, Jones, Simonon, Headon, cioè i Clash che raccontano la storia dei Clash (tr. it C. Benetello e A. Mioni, Isbn Edizioni, 49 euro). E’ rosa shocking, è una miniera di foto, documenti, scalette di concerti, immagini di altre epoche, racconti. Ma soprattutto, ore e ore di interviste sbobinate su ogni evento, album o tournée dalle origini allo scioglimento del gruppo in presa diretta. Come ammettono tutti, Clash compresi, il gruppo nacque nel ’76, si formò nel ’77, pubblicò sedici lati di album, diciassette singoli, viaggiò senza sosta fino in Estremo Oriente e Finlandia, cambiò il rock, suonò il dub e il reggae come fosse punk, qualcuno disse che era come sentire David Bowie suonato al contrario (chissà che cosa vuol dire), non smise mai di fare politica. I Clash erano anarchici, antirazzisti, antifascisti, antinglesi pur essendo inglesi fino al midollo. Nel 1984 erano già finiti. Due anni prima avevano licenziato Topper perché ormai ingestibile e come disse con la solita schiettezza il leader Joe Strummer, “se il battersita sta crollando, non importa cosa ci metti sopra: il gruppo crollerà come una casa senza fondamenta, indipendentemente da quello che ci metti sopra”. Tra periferie industriali, chitarre e ukulele suonate nella metro per tirare su qualche soldo fino al successo planetario che non li rese mai delle rockstar. Ascesa e caduta, Shoul I Stay Or Should I Go. Per dirla sempre con Strummer, “bisogna pur avere dei rimorsi”.

LO STRANIERO
Non per riaprire vecchie polemiche, ma mentre Jean-Paul Sartre si metteva diligentemente al servizio dell’ortodossia marxista decidendo chi poteva far parte del coro, Albert Camus continuava a scrivere dell’idea che lo ossessionava: “Il mondo in cui vivo mi ripugna, ma mi sento solidale con le persone che vi soffrono”. Finì fuori dal coro perché abbandonò il partito ben prima dei fatti di Ungheria e soprattutto i nodi vennero al pettine quando scrisse L’uomo in rivolta. Camus passò tutta la vita a interrogarsi sulla condizione della rivolta. Lo fece anche nei suoi romanzi come Lo straniero, La peste, La caduta. Rivolta contro i totalitarismi, contro un sistema mondiale fondato sulle guerre di stato e sull’omicidio, contro le disuguaglianze, ma soprattutto contro la condizione assurda in cui l’uomo è costretto a vivere. Ribellarsi per ritrovare, diceva con parole più da uomo del sud del mondo quale in parte era, “l’onore di vivere”. Solo che sosteneva che ogni rivolta sfocia nel suo opposto, che ogni Prometeo venuto a portare il fuoco all’uomo si trasforma in un Cesare pronto a sottometterlo. E visto che ogni riferimento ai sistemi totalitari o fintamente liberali era più che voluto, ecco che Camus finì per essere emarginato nel solito limbo dove finiscono i pensatori onesti, quelli che preferiscono chiamare legale ciò che è consentito, non ciò che è stabilito, che si sentono responsabili in prima persona e feriti nel proprio stomaco quando viene commessa un’ingiustizia, perché “ogni volta che un uomo viene incatenato, anche noi lo siamo insieme a lui” e “la libertà deve esserci per tutti o non c’è per nessuno”. Elèuthera ha raccolto una manciata di scritti del Camus più politico, articoli apparsi su giornali della Resistenza francese, riflessioni che vanno dal tradimento europeo alla repubblica spagnola nel ’36 fino alla condizione algerina, note sul pensiero sovversivo da Bakunin all’anarcosindacalismo, al rifiuto del nichilismo alle profetiche parole sulla crisi in cui il mondo sarebbe finito. Si intitola Mi rivolto dunque siamo (a cura di Vittorio Giacopini, tr. it. G. Lagomarsino, 12 euro).

L’ANARCHIA E’ ORDINE
Ogni volta che si ha a che fare con un anarchico, si hanno due reazioni. La prima è il brivido che si sente quando si coglie la smisurata fiducia nell’uomo di organizzarsi, realizzarsi e, soprattutto, essere felice. La seconda è quando si passa alla ricetta politica e si inizia a sentir parlare di comuni organizzate, piccole realtà confederate, comitati di base temporanei. E si finisce sempre con arrendersi: troppo grande l’utopia, troppo vago il progetto, troppo lontano da questo è l’uomo. Accade così anche per Anarchismo di Noam Chomsky (Tropea, 17,50 euro), una serie di scritti nell’arco di trent’anni che mostrano come l’intellettuale anti-sistema par définition è un grande esperto di pensiero libertario del Diciassettesimo secolo, oltre che essere uno dei rappresentati di quello del Ventesimo. Il bello del libro è proprio il ponte tra pensatori come Humboldt, Jefferson, Mill, Thoreau e oggi. Per esempio, scrive Chomsky, tutti i pensatori libertari classici avevano in mente come nemico lo Stato e il principio di autorità arbitraria che esso esercitava sugli individui. Mai avrebbero sospettato che due secoli dopo il nemico sarebbe stato il “privato” nelle cui rare mani era in realtà finito il vero potere politico. Ovviamente non poteva mancare la critica alle politiche americane in Sudamerica, e prima ancora la caduta di Barcellona, e prima quella della Comune di Parigi. Ma ci sono anche alcune chicche che solo gli anarchici riescono a dare per il loro modo di vedere il mondo da un’angolazione scomoda ma sorprendente. Per esempio, giusto per far piazza pulita di chi li considera dei perdigiorno che sognano un mondo di beato ozio, il rispetto assoluto per il lavoro su cui ogni esperienza sociale deve essere fondata. La soddisfazione che deve essere garantita al lavoratore al punto che se un lavoro è per forza di cose duro e alienante va retribuito molto di più di uno appagante. Si cambierebbe il mondo partendo da una busta paga. Non avverrà, ma l’anarchismo, come ricorda Chomsky, ha le spalle larghe e, come la carta, è in grado di sostenere pesi e maltrattamenti insospettabili.

Dario Olivero,Storie di punk,amore e anarchiaultima modifica: 2008-11-30T20:17:00+01:00da mangano1
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