Dijana Pavlovic, Moni Ovadia, Lettere al presidente

da l’UNITA’ 31 gennaio 2009
OVADIA63da03f8.jpg
Lettera a Napolitano
Nessuno ricorda lo sterminio degli zingari
di Dijana Pavlovic

«Dalle baracche vedevamo gli ebrei/colonne incammi¬nate diventare
colonne verticali, di fumo. /Erano lie¬vi, andavano a gonfiare gli occhi del loro 

dio affaccia¬to. /Noi non fummo leggeri, la cenere degli zingari non riusciva
ad alzarsi in cielo. / Ci tratteneva in bas¬so la musica suonata e stracantata
intorno ai fuochi degli accampamenti. /Noi, zingari d’Europa, da nes¬sun dio
presi a sua testimonianza, / bruciammo senza l’odore della santità,
/bruciammo tutti interi, /chitar¬re con le corda di budella».
Illustrissimo signor Presidente, nella Giornata della Memoria le massime
autori¬tà dello Stato hanno ricordato la Shoah, lo stermi¬nio del popolo
ebraico. Ma anche il 27 gennaio di quest’anno per noi, zingari d’Italia, nessun MONI OVADIA 13bec.jpg
riconosci¬mento istituzionale per i nostri morti (più di un milio¬ne di cui, oltre
500.000 nei campi di concentramento nazisti). Come se non fosse successo,

come se non fosse stato anche per loro, come per gli ebrei, la più grande
vergogna della storia dell’uomo: lo sterminio su base razziale.
Una vergogna che riguarda anche l’Italia. Nella cir¬colare del ministero degli
Interni dell’11 settembre 1940 è scritto: «est indispensabile che tutti zingari
na¬zionalità italiana certa aut presunta, siano controllati et rastrellati più
breve tempo possibile et concentrati sotto rigorosa vigilanza in località meglio
adatte cia¬scuna provincia». Cominciarono retate e deportazio¬ni negli oltre
50 campi di concentramento italiani, tra cui: Perdasdefogu in Sardegna,
Bojano e il convento di San Bernardino ad Agnone, Gonars, provincia di
Udine, Tossicìa, provincia di Teramo. E ancora: Viter¬bo, Montopoli Sabina,
provincia di Rieti, Collefiorito provincia di Roma, le isole Tremiti, Ferramonti di
Tar¬sia provincia di Cosenza, poi Gries a Bolzano, detta anche «l’anticamera
di Auschwitz» dove sono morti oltre 20.000 Rom e Sinti.
Lo sterminio i rom lo chiamano Porrajmos: divora¬mento, distruzione. Un
ricordo carico di paura e di dolore, ma anche qualcosa di più perché non ce
lo riconoscono, perché ignorandolo è più facile aggirare la spinosa questione
di tanti “piccoli porrajmos” quoti¬diani nella segregazione dei “campi
nomadi”, con le persone discriminate, aggredite con le bombe molo¬tov,
linciate sui mezzi pubblici, buttate in strada in pieno inverno con i loro
bambini, accusate, come suc¬cedeva nel ’38 di essere «delinquenti
antropologici» tutti criminali. Ricordarlo vorrebbe dire fare in modo che non
si ripeta mai neanche una minima parte di questi orrori.
Per questo ci rivolgiamo a Lei, signor Presidente, certi della Sua sensibilità e
attenzione, per un gesto di riconoscimento.

L’UNITÀ, 31 GENNAIO 2009
Voci d’autore
Perché negano la shoah
di Moni Ovadia
Esponenti dei cattolici sci¬smatici del cardinale Lefe¬vre hanno abbracciato
la fede negazionista. I moderati delle loro file invece di chie¬dere scusa alle
vittime della sho¬ah, hanno chiesto scusa al Bene¬detto XVI per aver
disturbato il ma¬novratore nel suo caritatevole ten¬tativo della quadratura del
cer¬chio: riaccogliere nel seno di Santa Madre Chiesa nemici giurati del
Concilio Vaticano Secondo senza pretenderne il pentimento, essere amico
degli ebrei continuando a considerarli il popolo che perseve¬ra nell’errore
del rifiuto di Cristo e affermare la via cattolica come uni¬ca verità possibile.
Da più parti si grida allo scandalo: perché? In fon¬do le uscite negazioniste
dei le¬febvriani più onesti sono una mani¬festazione di coerenza. Il papa che
li ha espulsi dal seno della Chiesa, Giovanni Paolo II, affermò con for¬za che
Auschwitz è il Golgota della nostra era. Ora, così come duemi¬la anni prima
sulla croce sali un ebreo, duemila anni dopo sulla «stessa» croce è salito il
popolo ebraico con più di un milione di bambini. Su quella croce vi sono saliti
anche Rom e Sinti, antifasci¬sti, menomati, omosessuali, slavi, testimoni di
Geova, vagabondi, prostitute, ambulanti e delinquen¬ti comuni. Vi salirono
anche catto¬lici e cristiani, ma non in quanto tali, solo in quanto oppositori. I
carnefici nella stragrande maggio¬ranza avevano ricevuto educazio¬ne
cattolica o cristiana. Questo fat¬to innegabile rappresenta un buco nero nel
processo plurisecolare di evangelizzazione dell’occidente e segnatamente
dell’Europa delle ra¬dici cristiane. Wojtyla lo aveva ca¬pito, anche i
lefebvriani lo sanno: per riaffermare senza ambiguità il «nulla salus extra
Ecclesia», biso¬gna azzerare il significato della Shoah, ovvero negarla con
qual¬che artificio dialettico. La palla passa nel campo di Benedetto XVI: o i
lefebvriani o gli ebrei, tertium non datur.

__._,_.___

Dijana Pavlovic, Moni Ovadia, Lettere al presidenteultima modifica: 2009-01-31T20:11:00+01:00da mangano1
Reposta per primo quest’articolo

Un pensiero su “Dijana Pavlovic, Moni Ovadia, Lettere al presidente

I commenti sono chiusi.