Roberto Bonuglia, La rivoluzione delle donne algerine

Khayyam’s Blog

Silenziosa E Pacifica: La Rivoluzione Delle Donne Algerine
venerdì 22 maggio 2009, posted by roberto.bonuglia

Già note in Italia per il generoso attivismo che le ha contraddistinte nei giorni del sequestro Sgrena, le donne algerine, da sempre in lotta contro i fondamentalismi e la violenza, stanno nuovamente facendo parlare di loro.

Nell’Algeria legata alla tradizione e segnata dalla guerra civile, come ha recentemente ricordato Michael Slackman, sta infatti avvenendo, grazie alla popolazione femminile, un fatto nuovo. Nel suo articolo A Quiet Revolution in Algeria: Gains by Women, pubblicato il 26 maggio 2007 su The New York Times, egli scrive: «Le donne si stanno affermando come una forza politica ed economica che non ha eguali nel resto del mondo arabo. Sono donne il 70% degli avvocati algerini ed il 60% dei giudici. Le donne dominano in campo medico e sempre di più contribuiscono al reddito familiare in misura più consistente degli uomini. Il 60% degli studenti universitari sono di sesso femminile».

Viene da chiedersi come si sia potuti arrivare ad una tale [positiva] situazione in un paese nel quale, il 9 giugno 1984, l’allora Presidente Chedli Benjedid aveva sottoscritto il nuovo Codice della famiglia in base al quale, come ricordava il 4 marzo 2004 un editoriale de L’Intelligent «ragazze, mogli, madri sono sottomesse al primato maschile. Che si tratti di matrimonio, divorzio, diritti di successione, il codice di famiglia sanziona giuridicamente la loro inferiorità».

A questo punto è forse utile ricordare che, l’entrata in vigore del Codice, rappresentò per le donne algerine una vera e propria sconfitta. Anche perché – come sottolineava circa due anni fa da Feriel Lalami dell’associazione Apel e del collettivo femminile 20 anni sono abbastanza – molte di loro avevano fatto la loro parte nella lotta di liberazione convinte, che l’indipendenza potesse significare, anche e soprattutto, libertà ed uguaglianza per tutti, donne comprese. La femminista e intellettuale maghrebina, infatti, nel corso dell’intervista rilasciata a Liberazione e pubblicata il 26 febbraio 2005 col titolo Le algerine, dopo l’indipendenza tradite due volte, evidenziava che le cose, in realtà, non erano andate come ci si aspettava: «Le lotte politiche tra clan del giovanissimo potere algerino si sono esacerbate nel momento dell’indipendenza e, per quello che riguarda le donne, la società algerina che era in prevalenza rurale si è attaccata ai valori tradizionalisti. Il potere algerino non ha mai voluto adottare una legislazione apertamente egualitaria per quel che riguarda la famiglia, malgrado le richieste delle donne».

Una situazione, quella algerina, la cui gravità non poteva sfuggire ad Amnesty International che, basandosi su interviste con donne algerine sopravvissute alla violenza e su una serie di colloqui avuti con una serie di organizzazioni e di attivisti per i diritti umani all’interno ed all’esterno del paese, elaborò un documento che, il 10 gennaio 2005, venne inviato al Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione contro le donne e nel quale si accusava il governo algerino di non aver saputo proteggere le donne dallo stupro, dai pestaggi e dalla diffusa discriminazione legale ed economica.

L’idea che la maggior parte dell’opinione pubblica occidentale ha avuto negli ultimi anni, ed in molti casi ancora conserva, è perciò quella ben riassunta qualche giorno fa da Massimo Campanini dell’Università Orientale di Napoli, il quale, durante l’Incontro sui diritti delle donne nel mondo arabo ospitato presso la Fondazione Mediterraneo, ha ricordato «l’esperienza di donne che nel mondo islamico combattono per i diritti delle donne all’interno di una cornice coranica […] in difesa dei propri diritti». Tra queste, prosegue Campanini, vanno ricordate «le sorelle musulmane, le donne che rivendicano il diritto a condurre la preghiera nella moschea, così come quelle che rivendicano l’evoluzione della società a partire dall’Islam».

Ciò è sicuramente vero, ma il mondo islamico è molto eterogeneo e di certo il caso algerino è ben diverso, come confermava, già nel 2004, il citato editoriale de L’Intelligent: «Paradossalmente in venti anni le donne algerine hanno conquistato un certo numero di libertà individuali nello spazio pubblico, dapprima e soprattutto attraverso l’istruzione».

E’ dunque proprio l’istruzione la chiave di volta del mutamento, della «rivoluzione silenziosa» che l’Algeria sta vivendo e che vede le donne protagoniste assolute.

In tal senso, a nostro avviso il direttore del progetto per l’Africa Settentrionale dell’International crisis group, lo storico Hugh Roberts che coglie nel segno individuando il vero mutamento in atto nella società algerina – che sta già inconsapevolmente interessando anche altre nazioni mediteranee ed, in taluni casi, insospettabilmente «europee» – del quale la rivoluzione silenziosa è solo la conseguenza più diretta ed evidente: «Gli studi universitari – afferma Roberts – non sono più considerati una strada credibile per fare carriera o raggiungere il benessere economico e di conseguenza, gli uomini decidono di abbandonarli e provare a cercarsi un lavoro oppure lasciano il paese […] mentre per le donne gli studi universitari rappresentano un mezzo per uscire da casa e collocarsi meglio in società».

Un mutamento, questo, del quale si può facilmente intuire la portata: le donne ritardano il matrimonio alla fine degli studi e, invece di sposarsi tra il 17 ed i 18 anni, ora aspettano circa dieci anni: oggi l’età media per le donne algerine sposate è, infatti, 29 anni. Di conseguenza, il tasso di natalità, anche nei quartieri «più popolari», è sceso considerevolmente tanto da far dimezzare il numero degli alunni delle scuole elementari.

I ragazzi preferiscono lavorare piuttosto che proseguire con gli studi e sempre più frequentemente, molte donne diplomate sposano degli analfabeti. In tal senso, Nafissa Lahreche, presidente dell’associazione Femmes en communication e già direttrice del mensile femminile-femminista Ounoutha «molte società private assumono volentieri le donne perché risultano essere sempre più qualificate» e così, le donne algerine laureate sono diventate capostazioni, commissari di polizia, artisti, prefetti, avvocati e quelle diplomate guidano gli autobus, lavorano nelle stazioni di benzina. Daho Djerbal, direttore-editore di Naqd, rivista di critica e di analisi sociale, ha giustamente osservato: «Se questo trend continua, assisteremo a un nuovo fenomeno: la nostra amministrazione pubblica sarà controllata dalle donne».

Ma ciò che più sorprende di questa felice anomalia algerina è che le protagoniste di questa rivoluzione silenziosa, nel compiere questo importante cambiamento del proprio ruolo – confermando una sovranazionale tendenza femminile al conservatorismo culturale – siano rimaste saldamente ancorate ai precetti religiosi del Corano, primo tra tutti, quello del velo. In questo modo, le donne algerine si sono messe a riparo dalle critiche di chi le avrebbe certamente imputate di andare contro le norme islamiche e che invece, così, si è trovato quasi in obbligo di accettarle e di auspicare, forse, che anche in altri paesi arabi si possano presto avviare altri processi di modernizzazione pacifica sull’esempio del «modello algerino». 

Roberto Bonuglia, La rivoluzione delle donne algerineultima modifica: 2009-05-25T18:51:24+02:00da mangano1
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