Maurilio Riva,«camminare nelle scarpe di un altro»

 

 

 

 

 

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Care amiche e cari amici (in particolare dipendenti o ex dipendenti Italtel), ragazze e ragazzi di tutte le età

Oggi vi invierò una newsletter un po’ speciale. Non parlerò né di me né del mio libro. So che una parte di voi non la pensa proprio alla mia maniera ed è più che legittimo, ci mancherebbe. So in anticipo che non si riconoscerà nemmeno in molte delle cose che qui affermerò. Spero tuttavia nella comprensione e approvazione di tutti, anche di coloro che non sono esattamente in sintonia. A queste amiche e amici io rivolgo l’invito a «camminare nelle scarpe di un altro» come dice una canzone del Boss (Bruce Springsteen). Noi diremmo: mettersi nei panni di qualcuno. Provate amiche mie, provate amici.

La solidarietà non ha confini né colori.

Mi ha molto sorpreso la solidarietà messa in opera da una missione comboniana del Congo a favore dei bambini “morosi” di Adro, ormai tristemente famosi per la ottusa responsabilità di una amministrazione comunale e per la cattiveria, l’egoismo e la stupidità dei genitori dei bambini bresciani. Si rivolgono all’anonimo cittadino che con il suo versamento ha voluto ripianare i “debiti” dovuti alla mensa per un anno:
«Caro cittadino di Adro, abbiamo letto qua in Africa la tua lettera “Io non ci sto” e anche noi ci uniamo al tuo messaggio e al tuo gesto. Inviamo un contributo (700 euro, ndr) per pagare la mensa per un anno a uno dei tuoi-nostri bambini. Sono soldi che molti amici dell’Italia ci danno per l’Africa. Conoscendo bene i nostri amici sono sicuro che saranno contenti se ne invio una fetta lì, perché anche loro vogliono un mondo diverso: un mondo fatto più di ponti che di barriere».
L’insegnamento di quei ragazzi e di Padre Giovanni Piumatti è importante due volte: per il gesto concreto di sottrarre fondi destinati a chi più di tutti non ha (i bambini di un paese del centro Africa dilaniato da anni di guerre insensate) che per l’insegnamento che deriva dal comportamento quotidiano di comunità missionaria e bambini congolesi: dividere con altri ciò che si ha e chi ha avuto di più se ne priva per compensare chi ha avuto di meno.
«A Muahnga e Bunyatenge, piccoli villaggi di foresta, ogni giorno diamo a tutti i ragazzi delle scuole (circa 900) una tazza di “masoso”, pappetta fatta di mais, sorgo e soia senza zucchero: è capitato qualche volta che la casseruola si vuotasse troppo in fretta; subito i bimbi che avevano già ricevuto si sono mossi e hanno condiviso la loro tazza con gli altri. Il contributo che mandiamo è null’altro che questo gesto di solidarietà e giustizia e ne saranno fieri. Firmato padre Giovanni».
È una grande lezione di umanità, un ammaestramento che ci convince una volta di più che un mondo come questo non ha senso, che piccoli aggiustamenti allontanano invece che avvicinare i cambiamenti necessari, che così non va, che serve una rinnovata radicalità, pur nel rispetto delle regole democratiche e nonviolente.

Qualcuno potrebbe obiettare che  questi discorsi siano offuscati dalla politica. Ha torto per quanto riguarda l’accusa di “offuscamento” che io preferisco chiamare “lucidità”, ha invece ragione per quel che concerne la “politica” al cui ricorso nessuno si dovrebbe mai sottrarre.
Politica che nel suo significato etimologico [(= lat. POLITICA dal gr. POLITIKE che attiene alla città, = polis (città) + tèchnè (arte)] equivale all’«arte di governare la città», una scienza utile e necessaria all’amministrazione della cosa pubblica, troppo di frequente messa sotto i piedi da amministratori imbelli e corrotti,  da manager chiamati a far funzionare le aziende e a trovare soluzioni dissimili dalle usuali quadrature del cerchio attraverso l’espulsione di lavoratrici e lavoratori dal ciclo produttivo.

Quanta siderale distanza li separa dai 18 “padroncini del nordest”, spesso a torto vituperati, che decidono di suicidarsi poiché crisi e stretta creditizia impediscono loro di pagare gli salari e stipendi ai propri dipendenti e collaboratori: 18 persone «che non temevano tanto il licenziamento, quanto il dover licenziare».

Diversi anni addietro, avevo tentato di promuovere all’interno dell’azienda in cui lavoravo un’associazione di lavoratori e lavoratrici allo scopo di promuovere la solidarietà sociale. Il nome che avevo pensato fosse idoneo dargli era “italtelsolidale”, avrebbe avuto un suo statuto, un logo, delle precise finalità. Per vari motivi, non se ne fece poi nulla. Qualche tempo dopo, nacque come una delle sezioni del CRA (Circolo Ricreativo Aziendale) la Sezione della Solidarietà e a promuoverla furono alcune delle persone a cui mi ero rivolto per mettere in piedi quell’associazione che non aveva e non doveva avere, nelle mie intenzioni, legami o parentele partitiche ma così fu evidentemente interpretata.

Tutto è oggi finito nel dimenticatoio, il CRA non esiste più e molte conquiste sociali e contrattuali sono state nel tempo azzerate. Molti di quell’epoca sono da tempo in pensione e ognuno a suo modo ha conservato se non lo spirito del tempo quantomeno  un attaccamento a valori e ideali iscritti a fuoco nel proprio D.N.A., ognuno ha continuato a fare le proprie battaglie in forme e modalità non canoniche. L’azienda in cui abbiamo lavorato per un’esistenza intera ha subito pesanti processi di ristrutturazione che l’hanno dimagrita oltre misura. In queste vicende pluridecennnali, a mano a mano che Italtel si assottigliava, molti hanno continuato a trarne guadagno all’infuori dei lavoratori, unica variabile  su cui far leva per ridurre le perdite e accumulare i profitti.

Nuovi “tagliatori di teste” sono subentrati ai “tagliatori” di un tempo le cui stesse teste sono a loro volta cadute nel canestro (qualche volta c’è una sorta di diabolica giustizia a questo mondo) per quanto ammorbidito da un strapuntino di milionarie buonuscite. Tanto a pagare tutto questo saranno sempre i soliti noti ma questa volta una volta raschiato il fondo del barile, ora tocca a lavoratrici e lavoratori di 35 anni, spesso sposati, di frequente con prole, con mutui accesi per l’acquisto di una indispensabile casa visto che di “case per i lavoratori” non se ne costruiscono da più di 30 anni.

I “tagliatori di teste” non sono diversi dai primi in quanto ai risultati, semplicemente preferiscono restare invisibili e l’annuncio che ti toccherà andare in cassa integrazione te lo mandano con una mail.  Ai tempi nostri ci arrivava un telegramma a casa.

Telecom, il principale cliente del gruppo Italtel ha ridotto inaspettatamente le commesse così il piano industriale Italtel, concordato con i sindacati a giugno del 2009 è saltato: 1200 contratti di solidarietà e 90 lavoratori in mobilità volontaria non sono più sufficienti. In ballo ci sono 400 posti di lavoro: 100 in meno sono previsti a Roma, 70 a Palermo e il resto a Milano,  scelti con criteri discriminatori, padri di famiglia monoreddito, diversamente abili, donne anche in stato di gravidanza ma i lavoratori non ci stanno. Da Milano a Palermo hanno incrociato le braccia  per protestare contro l’ennesimo taglio all’organico.

Mi piace l’idea di dare la parola a uno di questi lavoratori, alle sue stesse sacrosante e sofferte parole:

Oggetto: Non più di due ore a notte

Sono oramai più di venticinque giorni, quasi un mese, dei quali gli ultimi sei in pratica a tempo pieno che dedico alla ricerca di un nuovo lavoro.
Le sto battendo tutte le strade: tramite Internet e la pletora di siti dedicati ho popolato con il mio CV decine di database tra semplici candidature spontanee e risposte ad annunci molto spesso lontani da quanto possa e sappia fare dopo vent’anni in Italtel.
Contratti a tempi indeterminati, determinati, consulenza, di tutto.
Sono addirittura voluto andare all’agenzia per il lavoro della mia zona dove, dopo venticinque minuti di attesa contornato dalla più disparata popolazione nella quale ero l’unico italiano, mi sono trovato a colloquiare con una simpatica signora sui quaranta.
Ha letto la raccomandata; sorpresa e un poco scocciata mi ha detto liquidandomi in un minuto:
“Ma lei cosa pensa di trovare qui?  Lei è l’ultimo a cui noi siamo tenuti a trovare un posto di lavoro. Prima pensiamo a quelli in mobilità, poi a quelli senza lavoro. Lei è solo stato parcheggiato (ha usato proprio questo termine) dalla sua azienda per un po’ e viene retribuito, quindi trovi aiuto altrove. Buona giornata”.
Sono estremamente demoralizzato e non riesco a trovare una soluzione perlomeno decente anche solo temporanea.
E la famiglia come la sta prendendo?
Dei miei due figli, il maggiore mi passa a fianco mentre sono al computer e mi dice “Allora? Sei sempre li davanti… Ancora niente?”
Il più piccolino invece è contento perché il suo papà lo può accompagnare tutte le mattine fino al cancello della scuola elementare, salutarlo con un bacio e la mano alzata sventolante mentre si incammina all’ingresso e riprenderlo poi al pomeriggio all’uscita.
Mia moglie, ragioniera, non passa ora che mi faccia notare la situazione familiare e le ridotte entrate.
E ha ragione.
Siamo al venti del mese e abbiamo da pagare entro fine mese le bollette del gas invernale e dell’energia elettrica, circa 600 euro.
Anche l’assicurazione auto guarda il caso scade anch’essa proprio oggi e fanno altri 680 euro.
La mensa scolastica, 80 euro a bambino.
E pure la tassa sui rifiuti, prima rata di quattro da 60 euro ciascuna.
In quattro, spendendo solo per vivere, siamo già ad almeno 1500 euro, senza contare la “bestiolina” di casa che per la vaccinazione mi è costata altri 70 euro.
Per chiudere qui mi viene solo spontanea la domanda: “Ma voi riuscite a dormire la notte?”
La mia risposta è nel campo Oggetto.

È  ora che la “politica” torni nelle mani dei diretti interessati e che torni a occuparsi a fianco e a sostegno dei lavoratori, del lavoro e del loro reddito. Innovando le forme e le modalità, promuovendo e incentivando la comunanza fra lavoratori in cig e lavoratori in fabbrica, fra i primi e coloro che lavoratori lo sono stati e oggi sono in pensione.

È un passaggio irrinviabile, una tappa della lunga marcia che ci toccherà percorrere affinché alle lavoratrici e ai lavoratori siano restituiti la dignità sottratta, il lavoro altrimenti dislocato, il rispetto elementare delle regole, dei contratti e della persona.

Nell’ambito della Rsu (Rappresentanza sindacale unitaria), si è pensato di attivare un Fondo di Solidarietà (in allegato ci sono le bozze del regolamento) da attivare con i versamenti volontari dei lavoratori Italtel al lavoro, fatti uscire dai contratti di solidarietà dall’azienda e con erogazioni  volontarie una-tantum di ex dipendenti  Italtel (ma anche di cittadini, lavoratori e studenti singoli  o riuniti in associazioni) per fare sentire meno sole le persone lasciate a casa. Chi intende versare una cifra (qualsiasi sia, secondo le personali disponibilità) direttamente nel Fondo scriva subito una mail di solidarietà e di sollecitudine e gli verrà spedito un codice IBAN, una volta attivo, cioè concluse le pratiche notarili di costituzione del Fondo medesimo. Sono importanti anche messaggi di solidarietà.

Chi intendesse “solidarizzare” subito può farlo, recandosi  nella sede delle Rsu di Castelletto di Settimo Milanese. L’indirizzo e-mail a cui inviare i vostri messaggi è: roberto.dameno@italtel.it. Il numero di telefono per altre informazioni è: 02 4388/7015.

Questo FONDO DI SOLIDARIETA’ ITALTEL è il primo e unico esempio in Italia con queste caratteristiche, anche per questo potrebbe essere un aiuto importante per altre aziende che potrebbero trovarsi in una situazione come la nostra.
Al Fondo si potrà accedere quanto prima, in sola lettura,  tramite un blog in corso di implementazione, aggiornato costantemente in modo da consentire a ognuno tutte le verifiche sulla sua trasparenza. Non appena in linea, sarete avvertiti con una successiva mail.

Ora, tocca a voi/noi. Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso. Spero che molti di voi si mettano in azione per far girare questa mail il più possibile: mi attendo che venga inserita nei propri blog e siti, mi attendo molta creatività personale e, soprattutto, mi attendo una grande risposta e posso affermare con certezza che arriverà.

«Chi resta a casa quando la battaglia comincia e lascia che gli altri combattano per la sua causa deve stare attento: perché chi non partecipa alla battaglia parteciperà alla disfatta. Neppure evita la battaglia chi la battaglia vuole evitare: perché combatterà per la causa del nemico chi per la propria causa non ha combattuto». B. Brecht

Vi ringrazio dell’attenzione.

Un cordi@le saluto

Maurilio Riva, o più semplicemente, Rino

P.S. = Confesso di aver attinto, negli ultimi tempi, a liste di generosi amici nuovi indirizzi di persone che in buona misura non conosco ma di cui ambirei a divenire almeno un saltuario interlocutore all’insegna di «gli amici dei miei amici sono o possono diventare miei amici». Non sempre succede così sebbene di frequente l’ambito delle nostre comuni conoscenze tende a pasturare nel medesimo territorio, allo stesso brodo di cultura.

Gradirei ricevere commenti, opinioni, punti di vista. Chi non apprezzasse, a ogni modo, ricevere le mie newsletter – vale per tutti – non ha che da segnalarmelo e, ipso facto, sarà a malincuore non più importunato. Altrimenti, sono a disposizione e oltre a scrivere amo anche leggere le mail di vecchi e nuovi amici a cui risponderò.

Maurilio Riva,«camminare nelle scarpe di un altro»ultima modifica: 2010-04-28T17:31:20+02:00da mangano1
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