Loretta Napoleoni ,La morsa

dal sito  STORIA E STORICI

Loretta Napoleoni
La morsa
le vere ragioni della crisi mondiale

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Il mondo in cui viviamo è un labirinto di fantasie e i politici del XXI secolo, dominatori dei media, sono i grandi prestigiatori che fabbricano e vendono menzogne, illusioni e paure. Questo libro è un j’accuse scagliato contro una supercasta nata con la globalizzazione; una classe dirigente di politici, finanzieri, affaristi e organizzazioni criminali che ha realizzato un paradosso di cui siamo tutti prigionieri: da un lato la proclamazione continuata di una imminente apocalissi per effetto del terrorismo, dall’altro la celebrazione arrogante e ottimista dell’avvento di un paradiso interra per effetto del più sfrenato consumo. Chi sta pagando il conto? Come accettare la corresponsabilità di un disastro prossimo venturo? Come immaginare un nuovo modello di economia planetaria?
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Il boom della finanza islamica dopo l’11 settembre  – L’economia terroristica – L’atomica della guerra fredda – I pericoli dietro la paura del terrorismo

Il boom della finanza islamica dopo l’11 settembre
[…] Quando al Qaeda abbatte le Torri gemelle, la Malesia ha ormai sviluppato un sofisticato sistema bancario. Come vedremo nel capitolo «Gli effetti devastanti del Patriot Act», temendo i controlli del Patriot Act (le restrizioni sui visti e il possibile congelamento dei beni dovuti alla politica antiterroristica degli Stati Uniti), con il passare del tempo sempre più operatori musulmani disinvestono in Occidente e acquistano prodotti finanziari islamici. E la Malesia e Dubai sono in grado di offrirne una vasta gamma. Ecco spiegato perché dall’11 settembre il mercato finanziario islamico esplode. E la finanza occidentale non tarda ad accorgersene. Mentre l’attenzione del mondo è concentrata sulla lotta simbolica e verbale tra Oriente e Occidente – lo scontro di civiltà del professor Huntington – i promotori della finanza mondiale stringono alleanze proficue proprio con le istituzioni finanziarie musulmane.
Anche se a uno sguardo superficiale può sembrare pa¬radossale, l’11 settembre offre l’opportunità tanto attesa di attirare a Oriente una massa critica di capitali, quel volume di investimenti e transazioni necessari che permettono alla finanza islamica di spiccare il volo. Ed ecco alcune cifre a sostegno di questa tesi: dalla fine del 2001 al 2006 il volume dei titoli islamici commerciabili, e quindi oggetto di scambio nel mercato secondario, passa da quasi zero a 45 miliardi di dollari. Secondo le stime di Moody’s, l’Agenzia di rating americana, alla fine del 2004 la Malesia emette 41 miliardi di dollari di sukuk, pari al 75 per cento dei titoli islamici mondiali, mentre i paesi del Golfo seguono a ruota con 11 miliardi di dollari.
Dall’11 settembre, dunque, la finanza islamica non solo cresce esponenzialmente ma diventa parte di quella del villaggio globale. Nel 2003 compaiono i primi sukuk sul mercato degli eurobond; nel 2004 lo Stato della Sassonia ne emette una quantità pari a 10 milioni di euro; nel 2004 a Londra nasce la prima banca islamica europea – si tratta della Islamic Bank of Britain – e nel 2006 un gruppo di investitori europei e arabi fondano insieme la European Islamic Investment Bank. [….] Con ala crescita delle finanza islamica nel mondo si sviluppano anche i paradisi fiscali e le banche offshore. Ed è proprio attraverso questa rete che transitano i soldi del terrore e del crimine. (pagg. 22-23)

L’economia terroristica
Dal 2001 a oggi la classe politica ha cercato di farci credere che la guerra contro il terrorismo è il prezzo che bisogna pagare per distruggere una volta per tutte questo fenomeno. E anche se Barack Obama sembra intenzionato a rifiutare questo mantra e a tendere la mano al mondo musulmano, egli dovrà necessariamente fare i conti con le conseguenze disastrose di queste menzogne. Non è infatti possibile voltare pagina da un giorno all’altro.
Dall’11 settembre a oggi l’economia del terrorismo ha continuato a crescere perché i gruppi eversivi hanno sfruttato sapientemente i vantaggi della deflazione e noi non siamo stati capaci di impedirlo. Anche il bombardamento dei media, che ha sostenuto la propaganda dei neoconservatori riguardo ai poteri di al Qaeda, si è rivllato vantaggioso. Naturalmente, il cittadino comune è all’oscuro di questi sviluppi. Per comprenderli è necessario rivisitare brevemente le tappe salienti del sistema economico che poggia sulla violenza.
La fine della guerra fredda permette al capitalismo occidentale di spiegare le sue potenti ali su tutto il pianeta. Negli anni Novanta, la deregulation abbatte le barriere economiche tra i mercati finanziari internazionali; capitale, merci e forza economica iniziano a circolare liberamente. Anche le organizzazioni armate approfittano della deregulation e stabiliscono contatti: e fare affari per loro diventa sempre più facile.
La deregulation facilita anche l’osmosi tra la nuova economia del terrore e l’antica e consolidata economia illegale e criminale. Nasce così un sistema economico su scala internazionale che ha un fatturato di 1500 miliardi di dollari, una cifra superiore al Pil del Regno Unito, le cui componenti sono: le fughe di capitali, circa 500 miliardi di dollari che si spostano clandestinamente da un Paese all’altro senza che nessuno sembri notarlo e tantomeno denunciarlo; altri 500 miliardi di dollari che corrispondono al cosiddetto prodotto criminale lordo, soldi generati dal crimine organizzato; 500 miliardi di dollari pari all’ammontare della nuova economia del terrore, denaro prodotto dalle organizzazioni terroristiche vere e proprie.
Da dove vengono i fondi alla base dell’economia del terrore?. […] (pagg. 69-70)

L’atomica della guerra fredda
Il mondo in cui viviamo è un labirinto di fantasie e i politici sono i grandi prestigiatori del XXI secolo, coloro che fabbricano e vendono verità, illusioni e paure. La costruzione del racconto secondo cui Saddam Hussein era in grado nel giro di 45 minuti di lanciare un ordigno nucleare contro l’Europa è proprio una di queste. Le menzogne politiche sono molto potenti, e le illusioni anche più facilmente digeribili. Il largo consenso degli occidentali nei confronti dell’invasione dell’Iraq nasce dalla certezza aprioristica che quanto i politici ci raccontano sia la verità. Ed è proprio questo punto che va analizzato per capire bene perché siamo finiti in questo pantano economico e soprattutto come possiamo uscirne.
Sembra incredibile che nessuno abbia deciso di porsi certe domande in modo serio. La prima: se davvero Saddam possedeva un ordigno tanto potente da colpire Londra, Parigi o Bruxelles in 45 minuti, perché i satelliti che ronzano come vespe intorno al nostro pianeta non sono mai riusciti a fotografarlo? Perché nessuno ci ha mostrato un brandello di prova che avallasse, senza tema di smentita, queste sconcertanti dichiarazioni? E ancora. Se ne era in possesso, perché, quando è stato attaccato, Saddam questo ordigno non l’ha usato?
Invece no. Siamo cascati tutti nella trappola fantasma¬gorica delle rampe di lancio sotterranee, come quelle dei film di 007, dei camion con le armi chimiche in movimento perpetuo sulle statali irachene. E quando ormai era chiaro che ci avevano mentito non abbiamo neppure avuto il coraggio di mettere sotto accusa chi ci ha imbottito di queste menzogne.
I politici hanno sempre usato la «strategia della paura» per conseguire i loro obiettivi, e l’hanno fatto seguendo sostanzialmente modi affini a quelli con cui le organizzazioni armate terrorizzano la popolazione. Lungi dall’essere un fenomeno nuovo, la politica della paura è uno strumento tradizionale ed efficacissimo per ottenere consenso, spesso in coincidenza di scelte impopolari. È stata proprio la paura a farci accettare come fatti reali una serie di menzogne mal circostanziate. I governi hanno manipolato l’angoscia dei cittadini per tentare di conseguire i propri obiettivi politici. […] (pagg. 131-132)

I pericoli dietro la paura del terrorismo
[…] Le illusioni confezionate per terrorizzarci non finiscono qui. Persino l’idea che oggi gli occidentali siano più esposti che mai al rischio del terrorismo poggia su una serie d’informazioni false: i dati dimostrano che in Occidente la lotta armata ha toccato l’apice tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta e che da allora è in declino. Anche prendendo in conto 1′ 11 settembre, gli occidentali hanno più probabilità di essere colpiti da un fulmine che di morire in un attacco terroristico.
In Oriente, nel mondo musulmano, dopo ITI settembre fiorisce l’attività eversiva. La MIPT-Rand, considerata la più attendibile banca dati sul terrorismo, conferma che il numero di attacchi verificatisi nella regione definita Medio Oriente/Golfo Persico è passato dai cinquanta del periodo precedente l’11 settembre ai 4800 del 2006. Nello stesso intervallo di tempo i decessi causati dal terrorismo nella regione sono balzati da meno di cento a 9800.
Dunque la prima vera vittima del terrorismo è proprio quel mondo musulmano del «grande Medio Oriente» da cui noi ci sentiamo costantemente minacciati, il mondo distrutto dalle nostre crociate. E l’invasione dell’Iraq è un importante spartiacque, poiché, invece di frenare l’attività terroristica nella zona, finisce per alimentarla.
«The Iraq Effect», uno studio sulle conseguenze della guerra pubblicato nel 2006 in America su «Mother Jones», dimostra che a partire dall’invasione nel 2003 l’incidenza degli attacchi terroristici su scala globale e il tasso medio di mortalità sono aumentati rispettivamente del 607 e del 237 per cento. Ma ricordiamoci bene che la crescita è confinata proprio al mondo islamico e a paesi come la Cecenia e il Kashmir, dove i musulmani sono impegnati in conflitti interetnici.
La morte per mano dei terroristi, dunque, si verifica sempre più in zone lontane dall’Occidente, ma di fatto in Iraq il numero dei morti tocca livelli sconvolgenti. Secondo l’illustre rivista medica britannica «The Lancet», nei primi due anni di guerra sono morte lOOmila persone, più del numero complessivo delle vittime prodotte dal terrorismo a livello mondiale nel XX secolo.
E qui vale la pena che ci fermiamo un istante per analizzare l’arroganza intellettuale e l’indifferenza di noi occidentali riguardo alla tragedia di alcuni paesi musulmani. A pochi importa ciò che avviene fuori dei confini del nostro mondo. Perché sorprenderci? Questi sono stati gli anni della grande cuccagna, dell’ubriacatura collettiva in cui abbiamo passato il tempo a spendere denaro che non possedevamo mentre tutt’intorno imperversava la guerra. Adesso che non abbiamo più soldi ci accorgiamo dell’errore commesso. Nel villaggio globale non possiamo ignorare nulla, siamo tutti parte della stessa economia.
Ecco svelata la contraddizione profonda del messaggio che ci viene trasmesso dalla politica moderna: abbiamo dei leader che da una parte ci terrorizzano e dall’altra ci vendono l’illusione effìmera di una ricchezza che non esiste, incitandoci a spendere e a divertirci. (pagg.137-138)

Loretta Napoleoni

indice del vlume:
L’origine delle crisi – Dubai: l’ascesa delle finanza islamica – La guerra contro il terrorismo: un conflitto suicida – La controcrociata del fondammentalismo islamico – Dissanguare l’economia americana: il sogno di Bin Laden diventa realtà – Gli effetti devastanti del Ptriot Act – L’arma del petrolio – il ritorno del Grande Gasby – I fuorilegge delle globalizzazione – La politica della paura – Las Vegas e Dubai – Il pericolo del protezionismo – Un nuovo modello economico

Loretta Napoleoni
La morsa. Le vere ragioni della crisi mondiale

Edizioni Chiarelettere
Prima edizione – Milano aprile 2009

Loretta Napoleoni ,La morsaultima modifica: 2010-06-29T17:00:29+02:00da mangano1
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