Guido Ceronetti, E Cossiga rise

da LA STAMPA
30/08/2010 – DA QUARANT’ANNI ALLESTISCE SPETTACOLI ITINERANTI PER “MARIONETTE IDEOFORE”
Ho portato una iena al Quirinale
E Cossiga rise
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Guido Ceronetti

Nel diembre dell’86 con le marionette del Teatro dei Sensibili Una storia truculentissima che divertì il Presidente
GUIDO CERONETTI

Un giorno d’inizio dicembre 1986, il bagaglio di scena di un piccolo teatro di marionette che lavorava allora a Torino per il Teatro Stabile attraversava il portone di servizio del Quirinale sul lato di via XX Settembre.

Non so se mai entrò qualcosa del genere in quel palazzo all’epoca dei Papi; nel periodo dei Savoia, certamente mai; e così da De Nicola a Cossiga. Ma Cossiga di quel teatrino (che era il mio Teatro dei Sensibili) non sapeva nulla come i suoi predecessori. Però aveva, come si sa, degli estri, dei lampi che lo rendevano un Presidente non di routine. La proposta gli venne fatta dal suo addetto stampa, Ludovico Ortona; Cossiga ne fu stuzzicato. L’invito fu giubilo per lo Stabile, che non volle il rimborso di Stato, ma non ci guadagnò in immagine, perché il Quirinale richiese, avendoci rapiti, il silenzio stampa. La notizia ne apparve, forse, in poche righe, e forse soltanto su questo quotidiano.

Nell’immensità del palazzo fu scelta, per la recita, una sala (sono tutte bellissime) sufficiente a ospitare un castelletto con piccolo boccascena, dove si sudava crudelmente, lo stesso che usavamo al tempo del teatro in appartamento delle nostre recite romane di famiglia.
Prove, se ne fecero per un paio di giorni, in vista di una prima recita quirinalesca per un pubblico di invitati di amicizia e di privilegio, alla quale avrebbe fatto seguito il giorno dopo la pomeridiana delle cinque per il Presidente. Ogni tanto, veniva a curiosare la mole impressionante di un Corazziere, molto più avvezzo a scortare regine e sommità presidenziali che a veder ballare delle figurine alte un paio di metri meno di lui, che un filo magico teneva su.
Ah, il soggetto! Era La iena di San Giorgio, la cui truculentissima storia non ho più voglia di ripetere, ma veniva da lontano. Divertiva molto, pur trattandosi di una favola tragica, come il finale chiaramente rivelava.

Divertiva soprattutto per merito delle quattro animatrici che in piazza San Carlo, allora sede dello Stabile, l’avevano provata per circa tre mesi (grazie a un bilancio generoso: oggi ci sarebbero consentiti sei o sette giorni), mentre l’autore e regista era stato alloggiato nella vicinissima via Giolitti, in un appartamentino dove, con la sola eccezione del bagno, si camminava dappertutto su una spessa irrespirabile detestabile moquette. Quanto a lui, alla sua seconda regia fuori appartamento, si nascondeva ai Servizi Segreti delle due Superpotenze sotto lo pseudonimo, pieno di fascino, di Jeremy Cassandri.

– Buongiorno, signor Cassandri! – mi salutavano i sobri coinquilini. Io, stoltamente, ne godevo.
Le animatrici, ciascuna con più ruoli e voci-vocette-vocioni bisex, erano Ariella Beddini, Simonetta Benozzo, Paola Roman e Manuela Tamietti, oggi regista dei – tuttora circolanti nell’emisfero occidentale – miei Misteri di Londra (edizioni Aragno, introvabili, macerati forse, una o due copie alle aste di Sotheby’s, affrettarsi).

Venne il giorno del Presidente. Cossiga comparve in una nuvola di sciabole e corazze, bottoni lacrimanti, elmi di Waterloo, in compagnia del caro Giovanni Spadolini, l’unico che mi fosse un po’ familiare al di là dei muraglioni del potere, dove ci sentivamo, Deo gratias, rigorosamente esuli e stranieri, in quei giorni insoliti. Io mi ero imparato a memoria un messaggio di dignitoso saluto per il famoso uomo di Stato (che dall’anno dopo, fino alla morte, crebbe di fama per i suoi fendenti verso i colleghi), e ai formali saluti seguì la foto storica di Cossiga al centro e la compagnia dei Sensibili a fargli corona. Un corazziere in pensione fece più scatti, in un minimo oceano di sorrisi, trepidazioni e malesseri.

Lo Stato Maggiore dello Stabile di allora era presente al completo in abito scuro. Avevo fatto invitare Monica Vitti, che tutti noi amavamo, e altri, che non ricordo.

Qualche presenza giornalistica, dopotutto, non ci sarebbe stata male; chissà perché quell’obbligo di frustrare l’eco. A noi teatranti Eco Stampa non è mai sgradito.

E la recita fu memorabile!! Cossiga, spiatissimo, rideva e si divertiva. Il castelletto dei marionettisti era un brodo di sudori, perché, dentro, lo spazio era scarso, le attrici erano in costume XIX, il calore implacabile e l’impegno di «sfondare» altissimo.

Ma non ci fu nessun sfondamento. Ci fu la morale della favola: mai più varcare i portoni del potere; allontanarne le tentazioni. Chi le sfonda, noi gente dei fili e del gesto angelico, tutte quelle mura di Cremlini? Lascia perdere e vai per le strade, basta un paravento, una lieve musica…
Quelle povere amate ragazze si erano portate abiti da Buckingham Palace per l’invito al rinfresco in una di quelle fiabescose sale insieme al Presidente.

Ma no. Il Presidente ci salutò e scomparve come il mago Tirulì in una dissolvenza, insieme all’amico Giovanni.

Monica Vitti non degnò di passare nel camerino a spendere una parola per le sue brave colleghe di spettacolo. Lo Stato Maggiore dello Stabile ci attese giusto per una congratulazione d’obbligo e risalì in serata a Torino. Erano tutti amici: perché tanto distacco? Mi do a distanza di un quarto di secolo questa spiegazione: il Distacco era nel Luogo, nella sua anomalia, nella sua estraneità.
E aveva creato una interruzione di corrente: l’oscuramento sarebbe cessato, appena fuori di lì. Mi domando: che cosa può nascere, di buono, in un luogo così distante dalla vita reale? (Stessa sensazione la sperimenti entro le mura vaticane).

Nella sala del rinfresco non ci attendevano che i bicchieri, e una spianata di dolciumi e salatini, che in quella mortificazione di illusi non sventolavano l’appetito.

Qualche bravo giovane del servizio ci ravvivò con chiacchiere solidali. Poi ci accompagnarono in strada.

Guido Ceronetti, E Cossiga riseultima modifica: 2010-08-30T22:15:36+02:00da mangano1
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