Maurizio Assalto,Andrea Camilleri, le donne i cavalier l’arme

da LA STAMPA CAMILLERI .jpeg
21/10/2010 –
Andrea Camilleri, le donne
i cavallier, l’arme e… Montalbano

Nel nuovo romanzo dello scrittore siciliano il commissario s’invaghisce d’una Angelica che gli ricorda quella dell’Ariosto
MAURIZIO ASSALTO

Come in quasi tutti i romanzi della serie, anche questa volta l’incipit sorprende il protagonista a letto, svegliato di colpo da qualcosa; anche qui non manca la «trintina» bellissima e vogliosa, in genere «biunna», come in questo caso, che, si capisce, si incapriccia del commissario che potrebbe essere suo padre. Pagato il tributo a quella che è ormai la «maniera» montalbaniana, e orchestrando il consueto stuolo di comprimari, il talento di Camilleri si dispiega nel cavare dal suo microcosmo immaginario intrecci sempri nuovi.
Nel 17° giallo, Il sorriso di Angelica, che esce oggi da Sellerio (pp. 272, euro 14; qui ne anticipiamo le prime righe), la vicenda ruota intorno a una serie di furti in casa, commessi sempre con le stesse modalità, che colpiscono persone legate tra loro da amicizia. Montalbano mette insieme una lista di diciotto tra coppie, vedovi e single, nella quale provare a prevedere la prossima vittima e, forse, scovare il colpevole. Ma ben presto prende forma il sospetto che dietro gli svaligiamenti ci sia dell’altro, che forse siano solo una copertura in vista del colpo definitivo, il cui bottino non sarà denaro e gioielli.
L’indagine si sviluppa portando a galla storie e storiacce di Vigàta, e sospingendo in primo piano lei, Angelica, il centro gravitazionale di tutta la storia. Una splendida ragazza che fin dal primo incontro lascia Montalbano senza fiato, perché è «pricisa ‘ntifica» all’eroina dell’Orlando furioso, così come a 16 anni se l’era immaginata vagheggiando le immagini di Doré. L’impressione è tale che alla mente del commissario, anche contro la sua volontà, riaffiorano di continuo gli endecasillabi ariosteschi appresi a scuola, e i sentimenti ingenui del ragazzo che era, in un pericoloso intreccio di letteratura e realtà, fantasie adolescenziali e gravoso presente.
Montalbano ha ora, nel tempo di questo romanzo, 58 anni. E «le vicchiaglie» si fanno sentire. Lavora di logica, ma gli manca quello «scarto» intuitivo che è sempre stato la sua forza. Un po’ faticosamente, alla fine arriverà: quando nella sua testa si affievolirà la voce di Ariosto.

ANDREA CAMMILLERI
S’arrisbigliò subitaneo e si susì a mezzo con l’occhi prontamente aperti pirchì aviva di sicuro sintuto a qualichiduno che aviva appena appena finuto di parlari dintra alla sò càmmara di letto. E dato che era sulo ‘n casa, s’allarmò.
Po’ gli vinni d’arridiri, pirchì s’arricordò che Livia era arrivata a Marinella la sira avanti, all’improviso, per farigli ‘na sorprisa, graditissima almeno al principio, e ora dormiva della bella allato di lui.
Dalla finestra passava un filo di luci ancora violaceo della primissima alba e allura riabbasciò le palpebri, senza manco taliare il ralogio, nella spranza di farisi ancora qualichi orata di sonno.
Ma subito appresso s’arritrovò novamenti con l’occhi sbarracati per un pinsero che gli era vinuto.
Se qualichiduno aviva parlato dintra alla sò càmmara, non potiva essiri stata che Livia. La quali dunqui l’aviva fatto nel sonno.
Prima non le era mai capitato, o forsi lei aviva in pricidenza qualichi volta parlato, ma accussì vascio da non arrisbigliarlo. E capace che in quel momento continuava ad attrovarisi in una fasi spiciali del sonno nella quale avrebbi ancora ditto qualichi altra parola.
No, quella non era un’occasioni da perdiri.
Uno che si metti a parlari all’improviso nel sonno non può diri che cose vere, le virità che tiene dintra di lui, non s’arricordava d’aviri liggiuto che nel sogno si potivano diri farfantarie, o ‘na cosa per l’altra, pirchì uno mentri che dormi è privo di difisi, disarmato e ‘nnuccenti come a un picciliddro.
Sarebbi stato ‘mportanti assà non pirdirisi le paroli di Livia. ‘Mportanti per dù motivi. Uno di carattiri ginirali, in quanto un omo può campare per cent’anni allato a ‘na fìmmina, dormirici ‘nzemmula, farici figli, spartirici l’aria, cridiri d’avirla accanosciuta come meglio non si pò e alla fini farisi pirsuaso che quella fìmmina non ha mai saputo com’è fatta veramenti.
L’altro motivo era di carattiri particolari, momintanio.
Si susì dal letto quatelosamenti, annò a taliare fora attraverso la persiana. La jornata s’appresentava sirena, priva di nuvole e di vento.
Po’ annò dalla parti di Livia, pigliò ‘na seggia e s’assittò al capezzali, squasi fusse ‘na veglia notturna di spitale.
La sira avanti Livia, e questo era il motivo particolari, gli aviva attaccato un catunio giganti per gilusia, guastannogli il piaceri che aviva provato per la sò vinuta.
Le cose erano annate accussì.
Aviva squillato il tilefono e lei era ghiuta ad arrispunniri.
Ma appena che aveva ditto pronto, ‘na voci fimminina all’altro capo aviva fatto:
«Mi scusi, mi sono sbagliata».
E la comunicazioni era stata chiusa ‘mmidiato.
E allura Livia si era subito amminchiata che quella era ‘na fìmmina che se l’intinniva con lui, che quella sira tiniva un appuntamento e che aviva abbasciato la cornetta sintenno che lei era ‘n casa.
«Vi ho rotto le uova nel paniere, eh?».
«Quando non c’è il gatto i topi ballano!».
«Lontano dagli occhi, lontano dal cuore!».
Non c’era stato verso di persuadirla diversamenti, la sirata era finuta a schifìo pirchì Montalbano aviva reagito in malo modo, disgustato cchiù che dai sospetti di Livia, dall’inesauribili caterva di frasi fatte che quella tirava fora.
E ora Montalbano spirava che Livia diciva ‘na minchiata qualisisiasi che gli avrebbi dato la possibilità di pigliarisi ‘na rivincita sullenne.
A lui sarebbiro abbastate una o dù paroli confuse, il minimo ‘ndispensabili per fargli flabbicare un castello d’accuse basate supra al nenti, alla gisuitica.
Ma Livia ‘nveci aviva ditto un’intera frasi chiara chiara, minchia!
Come se era perfettamenti vigliante.
E ‘na frasi che potiva fari pinsari a tutto, macari al pejo.
‘Ntanto, non gli aviva mai fatto parola di un tali acchiamato Carlo. Pirchì?
Se non gliene aviva mai parlato, ‘na ragioni seria doveva essirici.
E po’ che potiva essiri ‘sta cosa che lei non voliva che Carlo le faciva di darrè?
E di conseguenza: di davanti sì e di darrè no?
Principiò a sudari friddo.
Fu tintato d’arrisbigliare a Livia scutennula forti e malamenti, taliarla con l’occhi sgriddrati e spiarle con voci ‘mpiriosa da sbirro:
«Chi è Carlo? Il tuo amante?».
Ma quella sempri fìmmina era.
E dunque capace di nigari ogni cosa, macari ‘ntordonuta dal sonno. No, sarebbe stata ‘na mossa sbagliata.
La meglio era attrovare la forza d’aspittari e tirare fora il discurso al momento cchiù adatto.
Ma qual era il momento cchiù adatto?
E po’ abbisognava aviri un certo tempo a disposizioni, pirchì sarebbi stato uno sbaglio affrontari la questioni in modo diretto, Livia si sarebbi ‘nquartata a difisa, no, nicissitava pigliari l’argomento alla larga, senza farle nasciri sospetti.
Addecidì d’annarisi a fari la doccia.
Di tornari a corcarisi oramà non sinni parlava. (…)

Maurizio Assalto,Andrea Camilleri, le donne i cavalier l’armeultima modifica: 2010-10-24T15:49:41+02:00da mangano1
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