Andrea Colombo, Piero Sansonetti, Asor Rosa e dintorni

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25 aprile. Fantasie nostalgiche (del Cnl)
DI ANDREA COLOMBO – 26 APR ’11

L’articolo che segue è stato pubblicato sul settimanale Gli Altri, venerdì scorso, 22 aprile.e

ITALIA
REPUBBLICA FONDATA SULL’ESCLUSIONE
Andrea Colombo

Giuliano Ferrara ha ragione. I vaniloqui di Alberto Asor Rosa sul manifesto e le argomentazioni di Barbara Spinelli su Repubblica poggiano sulla medesima logica. La si può sintetizzare così: perché il gioco democratico sia realmente tale occorre che i giocatori se la vedano ad armi più o meno pari; la presenza in campo di Silvio Berlusconi, dai i mezzi di cui l’uomo dispone, nega in radice la precedente regoletta; il solo modo di ripristinare un corretto funzionamento della democrazia è pertanto costringere il baro ad abbandonare il tavolo. Sin qui, il barone rosso e il partito di Repubblica concordano. Per concretizzare il progettino, il primo non vedrebbe male un colpetto dell’Arma , il secondo si accontenta di un ribaltone. Non si negherà che tra le due ipotesi corra una certa differenza, ma sin quasi al traguardo il percorso è identico.

Gli assi nella manica con cui il Cavaliere trucca da quindici anni il gioco sarebbero a conti fatti due: i soldi e le televisioni. Quando si tratta di comprare e corrompere, ma anche quando tutto rientra nelle corrette regole, una disponibilità pressoché illimitata di quattrini qualche vantaggio in effetti lo garantisce eccome. Però conciliare l’ineleggibilità dei ricconi con la  Costituzione, in particolare col suo cinquantunesimo articoletto, sarebbe  arduo. L’oggettivo problema di garantire una certa equità nei mezzi a disposizione delle forze politiche dovrà essere affrontato ricorrendo a mezzi diversi e meno semplicistici. Impresa, in fondo, tutt’altro che impossibile.

Ma il portafogli gonfio è ancora il meno. Ciò che agli occhi di tanti giustifica l’uso di ogni mezzo contro il malfattore sono piuttosto le televisioni. Quello è un asso che vale per due. Permette di condizionare e indirizzare l’informazione ma anche, ed è ben peggio, di plasmare subdolamente il corpo elettorale imponendogli, serata dopo serata, grande fratello dopo isola dei famosi, sistemi di valori e ideologie profonde .

In realtà la presa sull’informazione del grande manipolatore, più che alla proprietà di Mediaset, è dovuta all’abitudine, diffusa a sinistra né più né meno che a destra, di considerare la Rai il cortile di casa di chi governa. Ma anche glissando sul particolare, davvero c’è ancora qualcuno convinto che le vittorie elettorali di Silvio Berlusconi siano dovute alla televisione? Nel ’94 il mostro ereditò al nord oceani di voti già appannaggio della Lega, che se li era conquistati con pochissimi soldi e nessunissima tv. I telegiornali del 2000 e del 2001 certo non pendevano per Silvio: erano colonizzati quanto quelli odierni, ma dall’armata opposta. Non riuscirono neppure a frenare le disfatte elettorali di quel biennio.

Parecchi pensano di risolvere l’equazione con il condizionamento culturale che le ipnotiche tv del nostro eserciterebbero sin dagli anni ’80.  Però i format demoniaci, come Il grande fratello and company,  sono diffusi in mezzo mondo e non hanno provocato alle democrazie locali nemmeno un raffreddore. Possibile allora che nessuno si chieda se il reprobo non abbia solo cavalcato un’onda culturale, della quale si è avvantaggiato e che ha poi amplificato, ma senza crearla e rappresentandone piuttosto un sintomo, pur se tra i più gravi?

Anche considerando l’ipotesi di un rincretinimento collettivo di proporzioni mai registrate in precedenza, resta impossibile che una parte tanto vasta e sostanziosa della sinistra italiana, quella moderata e quella radicale, la giustizialista e la garantista, sia davvero convinta di simili sciocchezze, disposta in nome delle stesse persino a civettare con le forze armate. Alle origini dei vaneggiamenti in questione deve pertanto esserci una pulsione più profonda e meno confessabile.

E’ possibile che quella pulsione scaturisca dalle origini stesse della Repubblica. L’Italia è una repubblica fondata sull’esclusione di una parte. E’ figlia di un “arco costituzionale” cementato dall’essere altra cosa rispetto a chi ne era estraneo. Nell’identificazione della Repubblica i fascisti svolgevano, in negativo, un ruolo determinante: l’idea che esistesse un’area politica del paese inconciliabile con la sua maggioranza non era peregrina bensì costitutiva.

Funzionò perché la parte esclusa e inconciliabile con i valori egemoni era limitatissima. I fascisti erano pochi. Già all’inizio degli anni ’80 quel cemento aveva però perso buona parte della sua efficacia, tanto che una prima repubblica sopravvissuta  (per poco) a se stessa provò a sostituirlo, inutilmente, con le “forze che avevano vinto il terrorismo”.

Cosa si fa quando la parte esclusa e inconciliabile con i “nostri” valori oscilla intorno al 50 invece che al 5%? Quando un Berlusconi incontra il consenso di moltissimi italiani senza bisogno di lavargli il cervello e La Russa fa il ministro della Difesa senza che nessuno se ne scandalizzi? E’ a questa domanda (giusta) che le teste fini della sinistra da salotto e il più sguaiato antifascismo di strada danno la stessa risposta errata. Si rifugiano nella nostalgia. Ricorrono a un antifascismo ridotto a sottocultura identitaria oppure suggeriscono improbabili alleanze contro natura e le battezzano Cln.  Invocano qualche salvifico intervento capace di riportare indietro le lancette del tempo, come se fosse possibile mettere tra parentesi gli ultimi vent’anni.

E’ questa fantasia nostalgica, priva di ogni senso della realtà, che anima gli sproloqui golpisti del barone rosso, le ricorrenti follie sulla costituzione di un “nuovo Cln”, i tentativi sciagurati di resuscitare l’antifascismo militante. Ma è una causa persa e che porta solo a perdere. Berlusconi non è una parentesi. La Russa non tornerà nelle fogne neppure con i Carabinieri. I leghisti in quelle fogne non ci sono mai neppure passati. E’ una partita diversa quella che si sta giocando, e per vincerla bisogna smettere di sperare che l’Italia possa tornare a essere quella che era trent’anni fa.  Neppure per decreto.

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Ma si! Se non possiamo fare la rivoluzione facciamo un golpe

di Piero Sansonetti – 19/04/2011

Fonte: Il Riformista

Io penso che – paradossalmente – la sinistra italiana, o comunque la sua parte maggioritaria, sia oggi vittima dell’antifascismo. Cioè dell’elemento ideale e storico che per molti decenni ne è stato il pilastro. Sia in termini di “valori” sia in termini tattici, e cioè di unità politica.

Provo a spiegarmi, confessandovi che prendo spunto dall’uscita di Alberto Asor Rosa che – come sapete – ha auspicato un colpo di Stato contro Berlusconi. Ieri, su queste colonne, il direttore Cappellini ci ha offerto una analisi molto chiara – e per me largamente condivisibile – sul fenomeno politico del quale l’uscita di Asor è frutto e testimonianza. Puntando il dito, giustamente, contro il giustizialismo, e cioè l’idea che l’etica politica imponga il diritto dei “giusti” a governare, e che questo diritto, di conseguenza, debba essere tolto dalle grinfie delle “pastoie democratiche”.

Io però, come avete capito dalle prime righe, vorrei andare un po’ oltre. Perché ho l’impressione – che oggi mi limito ad accennare, e so che scandalizza molto a sinistra e forse anche al centro – che il giustizialismo non sia un fenomeno sbocciato dal nulla ma sia figlio di una degenerazione precedente della sinistra italiana, e che questa degenerazione dipenda in larga misura, appunto, dalla degenerazione dell’antifascismo.

Perché? L’antifascismo ha avuto una funzione formidabile e positiva nella nascita della sinistra italiana dopo la guerra – e nei decenni precedenti, in clandestinità – perché ha permesso alla sua componete maggioritaria – comunista o socialcomunista – legata all’Unione Sovietica e a regimi dittatoriali, di mantenere una sua componente fortissimamente democratica e antiautoritaria. Antifascismo, dagli anni trenta in poi, voleva dire lotta per la libertà, lotta per la democrazia, lotta contro l’autoritarismo, lotta contro il potere eccessivo delle istituzioni, del governo, della polizia, della magistratura, dell’esercito, della scuola. Senza l’antifascismo, la componente più forte della sinistra italiana, e cioè quella comunista, sarebbe diventata una infrequentabile roccaforte stalinista, violenta e antimoderna. L’antifascismo è stato la chiave della modernità del Pci e il punto di partenza di tutte le sue strategie, e il carburante – ideale ma anche tattico-politico – del suo riformismo.

Poi è successo qualcosa. Cosa? Che il fascismo, nel mondo occidentale, per fortuna è morto. Difficile stabilire una data. Forse il 1976, con la caduta del franchismo in Spagna, cioè dell’ultimo governo fascista in Europa. Forse una quindicina di anni più tardi, con la caduta delle dittature in America latina e quindi la definitiva rinuncia da parte del capitalismo a ogni forma di governo dittatoriale. Scegliete voi la data. Il problema è che da quel momento anche l’antifascismo è morto. Perché è restato privo del suo principale fattore vitale: la lotta alla dittatura, la lotta contro il regime. Naturalmente c’era un modo per riciclare l’antifascismo: trasformarlo in antiautoritarismo, e cioè in moderna dottrina libertaria. Oppure si poteva fare la scelta burocratica di mantenerlo in piedi, come simulacro vuoto, e di usarlo come antidoto alla mancanza di strategie politiche e dunque di identità politiche. Come si fa a surrogare una identità non più sostenuta da una idea strategica? Con la retorica, con le bandiere. E l’antifascismo può funzionare all’uopo. C’è solo un problema: bisogna inventare un nemico, un regime.

La sinistra italiana ha compiuto questa seconda scelta. E in particolare l’ha compiuta dopo l’ottantanove, quando si è posto il problema drammaticissimo che non solo l’antifascismo era diventato parola vuota, ma che il comunismo era morto anche lui. Era il momento giusto per una grande svolta. Liberale, libertaria. Invece si è compito la scelta vuota e antifascista.

Diciamo – schematizzando molto – che la sinistra era segnata da due fortissime pulsioni: quella alla radicalità sociale, e cioè alla “lotta di classe”; e quella alla radicalità politica, e cioè un certo illiberalismo (seppure temperato). La fine del comunismo rendeva impossibile tenere insieme questi due elementi. Bisognava rinunciare a qualcosa per tornare “spendibili” nella battaglia politica. Sarebbe stato un grande fatto se la sinistra avesse mantenuto la sua vocazione alla lotta di classe e avesse scelto il libertarismo. Invece la parte più grande della sinistra italiana – in varie forme – ha deciso di rinunciare alla lotta di classe e di mantenere il suo illiberalismo. Ed è rimasta, di conseguenza, stalinista. Cioè ha affidato le sue speranze di vittoria non alla propria strategia politica, non alla propria radicalità o alla propria capacità di lotta sociale, ma all’armata rossa. Che non era più rossa ma poteva essere la magistratura, o poteva essere l’aiuto di una componente moderata, o poteva essere Cordero di Montezemolo o poteva essere… Ecco, l’altro giorno siamo arrivati al capitolo finale di questa corsa: la polizia, l’esercito, il golpe rosso.

Badate che Asor Rosa non è affatto un fesso. E spesso, assai spesso, nella sua vita ha detto cose paradossali e giuste. Che erano nel solco della linea della sinistra e la forzavano. E’ stato così quando era operaista, è stato così quando ha svolto la funzione di “collegamento” tra il Pci e il sessantotto, è stato così quando, con grandissimo acume, ha svolto – in piena epoca terroristica – l’analisi sulle “due società” – contrapposte e incapaci di comunicare – nelle quali si era divisa l’Italia. Oggi Asor si limita a portare alle estreme conseguenze la linea della sinistra. E scava dentro il giustizialismo. E si accorge che non ha molto a che fare con la sete di giustizia, con la sete etica (che forse riguarda la componente non tradizionale e non ex comunista della sinistra) ma è concepito solamente come un “mezzo”, uno strumento per prendere il palazzo d’Inverno. Con l’idea fissa che esista l’ora X. E se non può essere rivoluzione sarà golpe. E se non c’è il fascismo lo inventiamo e lo chiamiamo berlusconi.Unknown-14.jpeg

Andrea Colombo, Piero Sansonetti, Asor Rosa e dintorniultima modifica: 2011-04-28T19:01:29+02:00da mangano1
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