Strike, occupy, shut down! Occupy Oakland oltre lo sciopero generale

Strike, occupy, shut down! Occupy Oakland oltre lo sciopero generale

Intervista ad Alessandro De Giorgi, professore presso il Department of Justice Studies, San José State University, California.

A cura di Claudia Bernardi e Paolo Do

Negli ultimi giorni stiamo assistendo a un’inedita intensificazione del movimento Occupy. Non si tratta soltanto di una maggior diffusione delle occupazioni su tutto il territorio statunitense, piuttosto, la West Coast, in particolare Oakland, sta assumendo nuova centralità, qualificandosi come lo spazio più interessante per la capacità di rilanciare sul terreno delle pratiche e della composizione. Qual è il contesto specifico in cui nasce questa occupazione?

Oakland è una città dalla storia straordinaria, attraversata da profondissime contraddizioni socioeconomiche che si sovrappongono a quelle razziali; il suo passato è fatto di lotte sociali e mobilitazioni radicali. Qui sono nate le Black Panters, partendo dai programmi d’intervento sociale nel quartiere, per poi trasformarsi nel partito rivoluzionario che tutti conosciamo. Oakland è il luogo dove tutto questo è iniziato. Una città che, nonostante abbia subito gli effetti della feroce ristrutturazione capitalistica degli anni Ottanta, ha mantenuto un fortissimo tessuto di attivismo sociale.

Questi gruppi hanno continuato a lavorare sulle tematiche razziali e sulla questione urbana, affrontando i problemi legati alla disoccupazione, al welfare, alla droga e alla criminalità. Nel contesto della metropoli americana, queste forme di attivismo sociale hanno un significato immediatamente politico – basti pensare all’intervento di quartiere su tematiche come la violenza della polizia, che colpisce selettivamente le minoranze afroamericane e latine. Queste reti di intervento sociale si sono sedimentate negli ultimi trent’anni in uno scenario urbano molto difficile. Basti pensare che Oakland è la quarta città più pericolosa d’America, con un numero di omicidi al limite di un territorio di guerra (una media di 130-140 morti l`anno), e un tasso di incarcerazione impressionante che si concentra quasi esclusivamente nei quartieri afro-americani e latini. Questa città rappresenta una miscela singolare di contraddizioni sociali e attivismo politico, le quali hanno fatto sì che Oakland si facesse trovare pronta allo scoppio di questo nuovo movimento.

OccupyOakland è nata sulla scia del movimento Occupy Wall Street iniziato il 17 settembre a New York. A Oakland il movimento di occupazione è iniziato il 10 ottobre, andando avanti in maniera abbastanza anonima fino al 23 di Ottobre, quando la sindaca progressista Jean Quan ha disposto un raid della polizia (presto degenerato in violenza) per sgomberare l`accampamento che si era insediato di fronte al municipio. La sera stessa, quando il movimento è tornato per riprendersi la piazza, nel tentativo di disperdere i manifestanti la polizia ha gravemente ferito Scott Olsen, giovane veterano dei marines per due volte in Iraq, che partecipava all’occupazione. Questo episodio di gratuita violenza poliziesca ha di fatto messo sotto scacco l’intera macchina politica della città. Il movimento è riuscito così a riconquistare la piazza e l’accampamento di circa 200 tende si è ricostituito, dandosi forme organizzative davvero molto interessanti.

La parola d`ordine “noi siamo il 99%” allude alle drammatiche diseguaglianze economiche degli Stati Uniti, dove secondo un rapporto ufficiale pubblicato proprio in questi giorni dal Congressional Budget Office, tra il 1979 e il 2007 l’1% più ricco della popolazione ha visto aumentare i propri redditi del 275%, mentre per il quinto più povero il reddito è rimasto praticamente fermo.

Questo movimento ha una struttura estremamente varia, che include i militanti che si sono formati negli anni di Seattle e delle grosse manifestazioni contro i summit globali dei primi anni Duemila, così come attivisti di ben più vecchia data – gli ‘hippie’ degli anni Sessanta e Settanta – e gente comune. Ma ha anche una composizione interna che ben rappresenta la geografia sociale ed economica di Oakland: giovani afroamericani e latini che subiscono quotidianamente la violenza della polizia nei loro quartieri degradati; famiglie che hanno perso la casa (il numero delle case requisite dalle banche in questa città in seguito alla crisi immobiliare è sconcertante). Ci sono disoccupati che si sono trovati, da un giorno all`altro, privi di qualsiasi assistenza sanitaria; madri singole che non hanno risorse per mandare i figli all`asilo e devono lavorare allo stesso tempo; studenti le cui scuole sono diventate infrequentabili perché i tagli all’istruzione hanno determinato aumenti delle tasse del 100% nel giro di pochi anni; reduci di guerra giovani e meno giovani che condividono le stesse tragedie personali, dall’impossibilità di curarsi al fatto di non avere casa e nessun tipo di sussidio.

Questo vasto assortimento di figure sociali si è manifestato prepotentemente nello sciopero generale del 2 Novembre: una manifestazione di massa che ha davvero sorpreso tutti, compreso il movimento. Nessuno si aspettava che decine di migliaia di persone si sarebbero riversate nelle strade, marciando dalla piazza centrale fino al porto, attraversando uno dei quartieri più difficili della città – il ghetto di West Oakland –  per poi occupare e e bloccare completamente il porto per un’intera giornata. Vale la pena di ricordare che questo è il primo sciopero generale negli Stati Uniti dal 1946, e l`ultimo aveva avuto luogo proprio qui, a Oakland. Tecnicamente non si è trattato di un vero e proprio sciopero generale, dato che non tutte le attività produttive della città si sono fermate, ma è stato un momento di fortissima partecipazione collettiva. E questo nonostante l’atmosfera fosse stata saturata dai messaggi allarmistici dei media: tutti avevano previsto una violenza che non si è manifestata, mentre nessuno aveva previsto una così ampia partecipazione.

A partire dalla manifestazione del 5 ottobre a New York, le Occupy statunitensi hanno iniziato a relazionarsi con i sindacati, tentando di costruire uno spazio condiviso. Qual è stato il rapporto con i sindacati a Oakland?

Negli ultimi trent’anni, la guerra contro le organizzazioni del lavoro e il movimento sindacale americano, iniziata con Reagan e proseguita dai Bush e da Clinton, è stata vittoriosa: oggi solo il 7% della forza lavoro americana del settore privato è sindacalizzata. Al contempo, però, l’intero movimento #Occupy statunitense è stato fortemente ispirato dalle lotte sindacali degli ultimi mesi. Per esempio, in Wisconsin tra gennaio e febbraio 2011 c`è stata una lotta asprissima dei sindacati del pubblico impiego per mantenere il diritto alla contrattazione collettiva che il governatore repubblicano aveva di fatto depennato con una legge da lui promossa e poi approvata dal congresso a maggioranza repubblicana dello stato. Un intenso ciclo di lotte durato diversi mesi, e che non si è di fatto ancora concluso.

Qui a Oakland diverse organizzazioni sindacali hanno dialogato con questo movimento. Purtroppo, il diritto di sciopero in sé è stato prosciugato negli ultimi tre decenni, in parte per via legislativa e in parte mediante lo smembramento della contrattazione collettiva. Per questo, in molti casi è difficile per un sindacato dichiarare lo sciopero. In alcune città americane i sindacati pubblici hanno praticamente perso il diritto di indire scioperi (nello stato di New York lo sciopero costituisce addirittura un reato penale per i sindacati del settore pubblico).

Anche a Oakland i sindacati incontrano ostacoli politici, economici e amministrativi all’esercizio di questo diritto, ma nonostante queste difficoltà i portuali hanno mostrato il loro sostegno e indubbiamente hanno contribuito al blocco integrale del porto di Oakland il 2 novembre. Ma ancora una volta la composizione di questo movimento va molto al di là dei sindacati e abbraccia un insieme di organizzazioni comunitarie, associazioni e gruppi che vanno delle Black Panthers ai collettivi LGBT. Insomma, un movimento davvero composito.

In questo contesto, quali sono le relazioni che Occupy Oakland intrattiene con le altre occupy che in questo mese sono nate a San Francisco e nelle altre città della Bay Area?

Le varie Occupy sono fiorite nell’ultimo mese e mezzo in modo significativo; San Francisco ha una sua iniziativa così come Berkeley e altre città minori della Bay Area; ci sono poi le Occupy-Cal (occupazioni studentesche molto determinate, che stanno nascendo nei vari campus universitari). Certamente Oakland, per una serie di motivi, ha conquistato il centro della scena politica del movimento. Credo non sia un’esagerazione dire che intorno alla giornata del 2 novembre  l’epicentro dell’intero movimento di occupazioni negli USA si è spostato da New York alla West Coast. Questo non ha significato per Oakland entrare in competizione con New York (proprio in questi giorni Occupy Oakland ha ricevuto una donazione di 20.000 dollari inviata da Occupy Wall Street durante i giorni del raid poliziesco). Tuttavia, per le forme in cui il movimento si esprime in questa città, Oakland ha assunto una posizione centrale all’interno del movimento americano.

Organizzativamente, Occupy Oakland ruota attorno a un’assemblea generale che si riunisce quattro giorni alla settimana, alle 18, nell’anfiteatro antistante la piazza occupata del municipio. L’assemblea segue un metodo di democrazia quasi diretta, con una regola di maggioranza del 90% per prendere tutte le decisioni. La sensazione è di una completa trasparenza della decisione; queste pratiche hanno l’obbiettivo di riconquistare margini di democrazia diretta attraverso la liberazione di spazi che la privatizzazione e la militarizzazione urbana hanno sottratto alla loro destinazione pubblica.

L’enfasi del movimento sull’assenza di leader è univoca, tanto che negli ultimi giorni l’assemblea ha rilasciato un’interessante risoluzione nella quale si diffida chiunque dal parlare (soprattutto ai media e ai politici locali) “a nome” del movimento. Questo è molto interessante, soprattutto alla luce delle questioni che i media mainstream continuano a porre al movimento. Le due principali domande poste agli occupanti sono le seguenti: chi sono i vostri leader? Che cosa chiedete? Entrambe le domande rivelano l’incapacità di cogliere l’elemento costitutivo di questo movimento, che non consiste in ciò che chiede ma in ciò che fa, e nel modo in cui lo fa.

Il messaggio di Occupy Oakland, e in generale del movimento Occupy negli Stati Uniti, sta nelle pratiche, nella sua capacità di occupare/costruire spazi pubblici e restituirli a una funzione democratica, nella sua capacità di deliberare collettivamente a partire da bisogni collettivamente espressi. In questo il movimento è caratterizzato da elementi di novità anche rispetto alle grandi mobilitazioni contro la guerra del 2003 e contro i summit dell`inizio del 2000. Questo movimento non ha leader e non ha un’agenda non perché non abbia istanze che porta avanti, ma perché queste sono assorbite nel processo democratico che il movimento ha messo in atto.

Inoltre, negli USA molto spesso la politica funziona su single issues. I gruppi e le associazioni esercitano pressione politica (e spesso economica) su questioni specifiche, e questo era in parte anche il limite della politica indipendente o di base: la specializzazione di ciascun gruppo su questioni specifiche. Questo movimento esprime una grossa novità perché di fatto supera questa logica rivendicativa da “gruppo di pressione”.

 Con la grande manifestazione del 2 novembre e questo salto di qualità prodotto da Oakland ci chiediamo cosa si prefigura per il futuro. Cosa ha intenzione di fare adesso il movimento delle Occupy?

Il problema che si pone adesso è quello delle forme di lotta che il movimento intende darsi. Fino ad ora il suo elemento di forza è consistito nella sua visibilità: l’accampamento in zone cruciali e strategiche delle città ha indubbiamente costituito un punto di forza, soprattutto quando associato – come a Oakland – a un metodo profondamente democratico. Tuttavia, tale visibilità dipende dalla forma di lotta dell’accampamento stesso nelle zone simbolo delle città, e va detto che per ragioni anche solo logistiche questa pratica potrebbe non durare all`infinito: il freddo insostenibile di alcune città del Nordest (New York, per esempio) non si concilia con le tende a tempo indeterminato e gli accampamenti potrebbero non essere più praticabili. Inoltre, c`è il rischio di ridursi ad una semplice presenza di tipo testimoniale, una forma di presenza simbolica alla quale la città si abitua, magari fino ad ignorarla.

C`è però uno sviluppo interessante a cui guardare: la sera dello sciopero generale ci sono stati alcuni scontri nati dal fatto che una parte del movimento aveva occupato un  edificio abbandonato al centro di Oakland, al cui interno fino a un mese fa lavorava un’associazione che forniva servizi e assistenza ai senza casa. Questa frangia del movimento aveva occupato il palazzo con l’intenzione di restituirlo a quest’associazione, che ne era stata sfrattata a seguito dei tagli ai finanziamenti pubblici che si sono verificati negli ultimi mesi. L’occupazione è durata però solo un’ora, fino a quando la poliza ha attaccato ancora una volta violentemente i manifestanti costringendoli ad abbandonare il posto. Negli ultimi giorni l’ipotesi di dare vita a un movimento di occupazioni (di case e di edifici al centro di Oakland) è circolata all’interno di Occupy Oakland, e buona parte del movimento si sta orientando in questa direzione: da un lato, famiglie senza casa o recentemente sfrattate che si riprendono le case requisite dalle banche, dall’altro, occupazione di luoghi centrali della città per costruire dal basso partecipazione e reti di servizi alla comunità che sono state distrutte dalle politiche di austerity. Resta il fatto che neanche un’ora dopo la polizia è intervenuta, per cui occorre verificare se questo movimento sarà in grado di intraprendere un percorso di questo tipo, dato che il movimento americano non ha una tradizione di occupazioni significativa. Si tratta però di qualcosa di cui si sta discutendo.

Un’altra questione che il movimento si è posto negli ultimi giorni è come diversificare il proprio intervento, non sciogliendo l’accampamento centrale in piazza, ma affiancando a questo una presenza nei quartieri di Oakland: forme assembleari che replicano il modello dell’assemblea generale, occupazioni simboliche o altri accampamenti. I modi potranno essere diversi, ma la questione fondamentale è come spostare il lavoro politico verso i quartieri. Se si considera la geografia economica e razziale di una città come Oakland, la questione può diventare molto interessante; non dimentichiamo che le Black Panthers nacquero all’interno di quartieri di Oakland che tuttora subiscono la segregazione, il degrado, la povertà e la violenza poliziesca. Se il movimento si rivelasse capace di raggiungere questi quartieri, si aprirebbe sicuramente una pagina nuova.

 

Strike, occupy, shut down! Occupy Oakland oltre lo sciopero generaleultima modifica: 2011-11-13T17:35:00+01:00da mangano1
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