Bruno Arpaja, Il fallimento dell’economia

Il fallimento dell’economia

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21/07/2012
Anche oggi non c’è quasi altra scelta che sgranare il rosario della crisi. Ormai senza più pudore rispetto alle promesse elettorali e in un accesso di commovente e tragica ingenuità, il governo spagnolo dichiara di essere praticamente in bancarotta, probabilmente per preparare il terreno ad altri inutili interventi di macelleria sociale. E per fortuna gli spagnoli scendono ancora, di nuovo, in piazza a protestare. Gli italiani, no. Stanno ancora tirando un sospiro di sollievo perché non sono più costretti a vedere in televisione le brutte facce dei ministri del governo Berlusconi e forse temono che qualunque movimento possa aiutare a riportare in sella il Cavaliere. Eppure, non è che il governo di Mario Monti abbia prodotto grandi risultati. Anzi. A parte un po’ di credibilità internazionale riconquistata, gli italiani sono sempre più poveri, con molto meno stato sociale e con lo spread a livelli altissimi. Sono, insomma, anche loro sul bordo del baratro ed esposti agli assalti del signor Mercato.

L’altro ieri uno studio della Confcommercio ha assegnato all’Italia un (altro) pessimo record: è il Paese in cui si pagano più tasse al mondo, visto che la pressione fiscale al netto dell’evasione arriva al 55 per cento dei redditi. E almeno ci fossero in cambio i servizi sociali danesi o svedesi… Da anni ci ripetono che «viviamo al di sopra delle nostre possibilità», ma ormai ci sarebbe da abbattere chiunque lo dica. A me che pago regolarmente le tasse pare di star vivendo molto al di sotto delle mie possibilità, perché, se nelle casse dello Stato entrassero tutti i 154 miliardi di imposte evase o non pagate ogni anno a partire almeno da un ventennio fa, l’Italia avrebbe un debito pubblico irrisorio e ci sarebbero i soldi per lo sviluppo, per il Welfare e perfino per la cultura e la ricerca…

La verità è che questa crisi è talmente profonda, investe tanto alle radici il nostro sistema di vita e la nostra identità di europei, che probabilmente non esistono più misure strettamente economiche che possano salvarci. Nonostante il dispiegamento di cervelli e di improbabili soluzioni di cui questa pretesa scienza sta facendo sfoggio, assistiamo insomma al fallimento dell’Economia, soprattutto dell’Economia che si è appropriata della politica, dell’Economia che, come diceva Karl Polanyi, invece di essere «incastonata nelle relazioni sociali», ingloba surrettiziamente le relazioni sociali: un fatto, diceva sempre Polanyi, «assolutamente inedito nella storia del genere umano».

Non ci restano, dunque, che la cultura e l’immaginario, e soprattutto l’immaginario riversato nella politica, nel governo della polis. Servirebbe una capacità di immaginazione che affronti con rigore, ma in maniera radicale (nel senso etimologico di andare «alla radice»), gli enormi problemi che ci troviamo di fronte. Servirebbe uno scatto elaborativo che ribalti il comune punto di vista su ciò che sta accadendo nei paesi che sono stati la culla della civiltà occidentale, che ridia vigore a un’Europa vecchia e stanca, prossima a una (del resto, naturalissima) estinzione. Ma non c’è da essere molto ottimisti. Il panorama offerto dalle sinistre o dalle forze che potrebbero e dovrebbero contribuire a questo sforzo è davvero desolante. La campana sta suonando per tutti noi.

 
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Bruno Arpaja, Il fallimento dell’economiaultima modifica: 2012-07-21T18:20:38+02:00da mangano1
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