Clotilde Bertoni,Le “Polemiche letterarie” di Gilda Policastro

Le “Polemiche letterarie” di Gilda Policastro

 

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di Clotilde Bertoni
«La polemica mi rinfresca il sangue» scriveva a fine Ottocento un giovane Croce,  raccontando a un amico un suo ferocissimo diverbio (culminato in un duello, a “primo sangue” per fortuna) con Zumbini e i suoi allievi. E le polemiche questo ruolo lo hanno adempiuto sempre, certo nei modi più vari: seguendo una logica coerente o sfrangiandosi in conflitti ulteriori, risolvendosi nel dialogo o deflagrando nella totale frattura, sprigionando un’attrazione superiore a quella dei loro contenuti o persino (basta pensare alle risse prefabbricate dei varietà televisivi) da essi indipendente. Sul loro potere viene ancora da interrogarsi (tanto più mentre sono ancora accesi i riflettori sull’ultimo caso, la querelle Carofiglio-Ostuni): richiama perciò l’attenzione fin dal titolo il libro da poco uscito di Gilda Policastro, Polemiche letterarie. Dai Novissimi ai lit-blog (Carocci, pp. 207, E 18,00).
Ma proprio questo titolo può trarre in inganno. In effetti, se il lavoro prende le mosse dall’antologia del 1961 I novissimi. Poesie per gli anni 60, non intraprende poi una ricostruzione della scena culturale dello scorso cinquantennio: le prove poetiche e narrative della neoavanguardia, su cui il primo capitolo si incentra (e di cui l’autrice si è già occupata, con una monografia su Sanguineti), rappresentano non un punto di partenza cronologico ma un punto ideale di riferimento, perché la loro tensione sperimentale fa da sfondo allo sguardo sulla contemporaneità vero fulcro del discorso; dopo alcuni paragrafi, molto sintetici, su svolte dei passati decenni (l’avvento del postmoderno, le ridiscussioni del canone, il ritorno degli studi tematologici), Policastro traccia un’inquadratura degli anni compresi tra la fine del Novecento e i giorni nostri, non solo restituendone passaggi roventi (le invettive di Moresco contro i critici, il caso Saviano, le controversie sul New Italian Epic), ma anche mettendone a fuoco aspetti d’insieme.
Innanzitutto, il dominio delle holding editoriali, il controllo del commercio librario, la pervasività delle strategie di marketing, che sommuovono la discussione su più fronti: da un lato, in quanto variamente messi sotto accusa (il libro ripercorre diversi attacchi, da Editoria senza editori di Schiffrin, a Scritture a perdere di Ferroni al documentario Senza scrittori di Archibugi e Cortellessa), dall’altro, in quanto ormai insinuati nella produzione letteraria al punto da provocare infiniti errori di valutazione. Se da tanto capita che gli scrittori siano trasformati in divi, oggi sono promossi scrittori specialmente quelli al divismo più adatti, in virtù di meriti eterogenei (accattivante giovinezza, passato turbinoso, buona o, perché no, cattiva reputazione guadagnata in altri campi e così via) ma al talento sempre estranei; e se da tanto l’industria culturale riesce a fagocitare tendenze innovative (proprio il Gruppo 63 è per un po’ trasformato dal suo tempestoso successo in voga del momento, satura di epigoni definiti da Pasolini «giovanotti cretini e petulanti» che parlano «di antiromanzo come se parlassero di prosciutto di Parma»), ora le snatura dal principio: ad esempio, come indicano recenti contributi ricordati da Policastro (un numero di “Allegoria” del 2008, il saggio Senza trauma di Daniele Giglioli), l’attuale romanzo storico e noir, reclamizzato come esempio principe di ritorno al realismo e all’impegno, tende anziché ad affrontare la realtà a neutralizzarla, proponendone appetitose versioni sommamente improbabili e stereotipate.
Un altro problema di fondo consiste nell’impaccio del mondo intellettuale davanti a questa situazione. Oltre a sottolineare (sulla scia delle riflessioni di Segre, Lavagetto, Luperini) la crisi complessiva della critica –  la sua chiusura in specialismi asfittici, l’affievolimento del suo slancio contestatore, la sua perdita di peso sociale –  il libro si sofferma sugli imbarazzi della critica “militante” che con il presente più si misura: ad esempio, la spaccatura tra quelli che ignorano senz’altro la galassia dei bestseller (spesso insignita di fasulle patenti di qualità dalla giostra dei festival e dei premi), e quelli che provano a esaminarla caso per caso; e le lacerazioni create dai condizionamenti pratici e finanziari, che possono raggiungere gradi sconcertanti, come ha mostrato la disputa sollevata nel 2010 da Andrea Cortellessa intorno alla collaborazione di Paolo Nori a “Libero”. Disputa che Policastro riepiloga ampiamente, ma che andrebbe a mio avviso ulteriormente considerata, in quanto preoccupante cartina di tornasole: ne è emerso che l’autonomia intellettuale non è più concetto così scontato, dato che le obiezioni di Cortellessa e altri sull’opportunità di lavorare per un giornale asservito (e nel modo più spregiudicato) al potere berlusconiano, sono state confutate o con elucubrazioni sulla valenza iconoclasta che avrebbero i gesti di peggior piccineria, oppure con richiami al peso delle necessità economiche, certo validissimi, ma insufficienti a giustificare senz’altro la prostituzione della penna (a meno di non avallare la vecchia battuta di Longanesi sul «tengo famiglia» eterno motto di ogni italiano); e la tendenza nostrana a distorcere nei virtuosismi retorici la logica più elementare ha dato il meglio di sé, visto che sono stati bollati come «stalinisti» quanti rivendicavano l’indipendenza dai nuovi totalitarismi camuffati, mentre sono stati designati «libertari» quanti negavano in effetti valore a ogni libertà se non beninteso a quella di fare impunemente il comodo proprio.
Tanto l’intensità che gli sbilanciamenti di questo scontro hanno avuto nel web un fondamentale epicentro. Appunto il ruolo giocato dal web nella recente ripresa del dibattito critico è un altro degli argomenti più in rilievo: alle riviste on line, ai social network, ai blog, Policastro dedica pagine dense di una lunga esperienza diretta, segnalando sia il loro peso che le loro disfunzioni, mostrando come il nuovo mezzo autorizzi, quasi stimoli, gli interventi compulsivi, il narcisismo isterico, l’aggressività ribalda; e appunto il biasimo per queste derive prelude alla speranza in polemiche immuni da asti personali, su cui termina il libro.
Non si può che condividere questa speranza, a patto però di non esagerare in ottimismo. Perché se è vero che gli scomposti psicodrammi di Internet sono un fenomeno dei tempi nostri,  è vero anche che lo slittamento delle discussioni dal terreno solido del confronto a quello scivoloso del litigio, e le sovrapposizioni tra il piano concettuale e quello privato, sono fenomeni di tutti i tempi, troppo perché si possa ragionevolmente sperare di porre loro fine. Da Balzac a Hemingway e oltre, gli scrittori hanno sempre sbuffato sui critici; alla metà del Novecento un autore di destra attaccato da “Temps modernes” si chiedeva perché lo odiassero tanto visto che non lo conoscevano; lo stesso Cassola che Policastro, ricordando la sua cortesia verso Sanguineti, cita come esempio di correttezza, non dimostrava sempre uguale buon gusto (come prova un suo scambio al vetriolo con Bocca); in epoche disparate le contrapposizioni di scuola o di poetica finivano a pugni e schiaffi (magari, ecco, non sollecitati espressamente da un rinomato scrittore su un autorevole quotidiano: l’articolo uscito su “Repubblica”, con cui Pennacchi si inserisce nella querelle Carofiglio-Ostuni, riservando un «vaffallippa» ai sostenitori del secondo, e incitando contro di lui il primo con un «vagli a menà», è un caso di cui non è facile rintracciare precedenti).
   Ma si tratta di eccessi che val comunque la pena di rischiare. Perché le polemiche incoraggiano a oltrepassare gli steccati, mettono in rapporto, seppur tra diffidenze e insofferenze, mondi altrimenti inclini a ignorarsi, suscitano una curiosità forse gratuita come quella per le zuffe dei reality, ma che può portare a scoperte più interessanti; soprattutto, scongiurano il pericolo peggiore, l’indifferenza, l’autismo intellettuale. A volte possono, oltre che rinfrescare il sangue come avveniva a Croce, riscaldarlo troppo, mandarlo in ebollizione, inacidirlo, avvelenarlo, persino farlo scorrere; ma di certo lo rimettono in circolazione e, quel che più conta, rimettono in circolazione anche le idee.

Clotilde Bertoni,Le “Polemiche letterarie” di Gilda Policastroultima modifica: 2012-10-30T15:50:05+01:00da mangano1
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