Guglielmo Militello,”Il cervello, la mente e l’anima” (E. Boncinelli)

“Il cervello, la mente e l’anima” (E. Boncinelli, Mondadori, Milano, 1999, pp.303)

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 da Guglielmo Militello

     La psicologia cognitiva di Neisser, le moderne scienze cognitive e il recentissimo campo di studi apertosi con le “neuroscienze” hanno profondamente mutato nella seconda metà del XX secolo il modo di analizzare il funzionamento del cervello e, più nello specifico, della mente. Sono cambiate molto le cose dagli anni ’30 e ’40 in cui tanto il Wittgenstein delle Ricerche Filosofiche e del Big Typescript, quanto il Ryle di The Concept of Mind, concordavano nel ritenere che fosse impossibile studiare il fenomeno “mente” dall’interno (analizzandone cioè gli eventi neurali), ma che lo si potesse affrontare, piuttosto, partendo dall’esterno: analizzando il comportamento dell’individuo (verbale o motorio) e inferendone i possibili eventi neurali che l’avevano originato. Con il suo libro Boncinelli mostra, invece, che uno studio della mente in termini di eventi neurali non solo è possibile, ma addirittura auspicabile, effettuando un lavoro sinergico fra campi di studio molto differenti: la biologia molecolare, la biofisica, la linguistica computazionale, la filosofia della mente, la filosofia del linguaggio e le scienze dell’informazione, inclusa la cibernetica.

 
     Il testo affronta un appassionante percorso che partendo dalla definizione del concetto di “flusso d’informazione” (uno dei concetti basilari della fisica che sta in un rapporto di proporzionalità inversa rispetto a quello di entropia) e passando per uno studio schiettamente biologico delle cellule nervose (neuroni e cellule gliali), delle vie nervose e delle aree associative poste nella corteccia cerebrale, arriva, in modo molto lineare e graduale, alla delineazione di ciò che usualmente chiamiamo “mente” e di quel fenomeno, ancor più straordinario, cui diamo il nome “coscienza”. Boncinelli è estremamente conscio di quelli che sono i limiti, ma anche le potenzialità delle odierne scienze cognitive e della biologia molecolare e ribadisce che ancora sul fenomeno “mente” c’è tanto da capire e tanto da studiare, ma che già molti progressi sono stati compiuti. L’idea basilare su cui il libro è stato costruito è che la natura consta di differenti livelli di aggregazione e che, nel passare dal microscopico al macroscopico, abbiano luogo quelle proprietà cosiddette “emergenti”. La mente e la coscienza, in fin dei conti, non sarebbero altro che l’insieme di proprietà che emergono da un aggregato di molecole e macromolecole e che non sono del tutto riconducili a esse. La tesi per cui la mente è una proprietà emergente è presente nel pensiero di Searle, di Nagel, dei coniugi Churchland, nonché in Daniel Dennett. La filosofia della mente di oggi appoggia, giustamente, questa nozione di matrice puramente biologica.

     Quello che emerge, leggendo il libro, è che la mente non è un oggetto estraneo ad un’analisi scientifica, e non si capisce, d’altronde, per qual motivo dovrebbe esserlo!, ma che, anzi, può esser trattata esattamente come è stata trattata l’analisi del DNA o dell’RNA nei termini di polimeri di acidi nucleici. Si faccia molta attenzione al seguente punto (a mio avviso di estrema rilevanza per una persona che si interessi di filosofia della mente): un conto è affermare che il fenomeno “mente” può esser trattato in termini fisico-matematici e in termini molecolari, perché oggigiorno possediamo le conoscenze per poterlo fare, e un altro conto è dire che il fenomeno “mente” e poi ancora quello di “coscienza” possa esser trattato solo e unicamente e in modo completo in termini fisico-matematici o molecolari. Boncinelli è sufficientemente intelligente per non cadere in un errore così grossolano. Nel leggere Il cervello, la mente e l’anima ci si accorge che il fenomeno “mente”, e ancora quello di “coscienza”, sono così complessi e così ricchi di variabili al loro interno che immaginare di poterli descrivere una volta per tutte e in modo completo, soprattutto, è un’autentica follia. Nessuno scienziato e/o filosofo della mente consapevole dei limiti della propria disciplina potrebbe mai compiere una fallacia del genere. Volere comprendere in modo totale il funzionamento della “mente” sarebbe assurdo tanto quanto il voler comprendere in modo totale, ad es., che cosa siano e, soprattutto, in che modo funzionino concetti fisici quali “energia”, “forza”, “entropia” e via dicendo; la lista è lunga. Tuttavia, l’opposizione netta che taluni filosofi, specie di matrice continentale, oppongono a una naturalizzazione della mente dimostra la loro incapacità (talvolta direi anche “malafede”) nel comprendere che nell’affrontare il fenomeno “mente” possono essere utilizzati linguaggi differenti, ugualmente coerenti gli uni con gli altri, e che l’applicazione di quello fisico-matematico, nonché di quello molecolare a esso non solo può rivelarsi proficuo (l’abbiamo già visto, d’altronde, con l’applicazione della matematica alla fisica o della chimica alla biologia), ma può solo arricchire, senza annullarlo, un linguaggio naturale di tipo filosofico. Perché mai una persona che si occupa di epistemologia – un tempo si sarebbe detto “gnoseologia”- dovrebbe aver paura di una naturalizzazione della mente? Come si è detto prima: esso è un fenomeno talmente tanto complesso e ricco di sfaccettature che una sua analisi può essere affrontata con linguaggi e strumenti molto differenti gli uni dagli altri. L’unica cosa da preservare è che i diversi linguaggi non entrino in contraddizione gli uni con gli altri, perché il fenomeno “mente” è uno e soltanto ad esso devono conformarsi i diversi linguaggi atti a descriverlo. Boncinelli analizza problematiche tipiche della filosofia della conoscenza occidentale: la percezione (declinata soprattutto nelle due forme della percezione somatosensoriale e in quella visiva), il Sé, il rapporto mente-corpo (ossia in che modo io riesco ad avere una rappresentazione mentale di me stesso, dello spazio che occupo e di tutti gli altri oggetti che mi circondano), il riconoscimento dell’altro essere umano come mio simile, dunque come essere dotato di intenzioni al pari di me, l’esperienza, il ragionamento logico e il ragionamento quasi-logico nel nostro modo di ragionare quotidiano, la nostra capacità di simbolizzare e di comprendere simboli, la nozione di “eredità culturale” e il linguaggio, la natura prototipica del concetto, il rapporto tra la memoria e l’ippocampo e il modo in cui la memoria a breve termine può trasformarsi in memoria a lungo termine attraverso il potenziamento sinaptico (interessanti riferimenti al celebre esperimento di Bliss e Lømo del 1973), la cognitività delle emozioni, l’intenzionalità della mente, il fenomeno della coscienza e una possibile definizione di essa.

     Estrema rilevanza da’ Boncinelli, in perfetta linea con le ricerche neurofisiologiche di Damasio, al valore cognitivo delle emozioni e delle passioni nella vita umana. Dice Boncinelli: ‹‹Le emozioni e il loro apprendimento sono magna pars dell’esperienza stessa. […] Le emozioni hanno un correlato somatico più o meno accentuato e più o meno percepibile che interessa quasi sempre anche il sistema nervoso neurovegetativo. I sentimenti, poi, affondano le loro radici nelle emozioni, ma coinvolgono quasi invariabilmente la coscienza. Noi esseri umani possiamo vivere, e anche morire, per qualcosa che non c’è, che non è accaduto e che magari non accadrà mai. E questo qualcosa può anche essere a sua volta un sentimento, una convinzione. Quando l’oggetto di un complesso di sentimenti prende il sopravvento e polarizza una parte cospicua dei nostri atteggiamenti disposizionali e proposizionali si parla di passione. Le passioni sono alla base della nostra vita emotiva ma anche di quella cognitiva, e rendono la vita coinvolgente nonostante la piattezza del quotidiano››. Boncinelli si confronta altresì con le moderne teorie dell’intenzionalità (quella proprietà della mente per cui essa è sempre direzionata verso un oggetto, verso un  determinato contenuto) arrivando ad affermare: ‹‹ Un tratto essenziale dei fenomeni mentali è quello di possedere un oggetto. Ogni nostro atto mentale ha di necessità un oggetto, nasce connesso con quello, non può prescindere da quello e soprattutto non può presentarsi alla coscienza scisso da quello. In tal senso la coscienza è inseparabile dall’intenzionalità››. Boncinelli si sofferma molto poco sulla nozione di “anima”; di essa si limita a dire che essa “è forse il risultato della sintesi dell’aspetto computazionale e di quello fenomenologico della mente e contenente almeno una provincia necessariamente cosciente e accessibile all’introspezione”. Complessivamente il testo appare estremamente scorrevole e di piacevole lettura, dal momento che cerca di analizzare il fenomeno “mente” sotto diversi aspetti  avvalendosi di un linguaggio divulgativo. Coloro che s’interessano a campi quali la neurofisiologia, la filosofia della mente, la filosofia del linguaggio, la linguistica e la psicologia possono trovarvi certamente spunti interessanti.

 

Guglielmo Militello,”Il cervello, la mente e l’anima” (E. Boncinelli)ultima modifica: 2012-12-04T12:00:35+01:00da mangano1
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