Vandana Shiva, Reinventare il futuro

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da LIBERAZIONE, 3 giugno 2008

«Siamo sull’orlo di un precipizio
dobbiamo reinventarci il futuro»

INTERVISTA DI Giuliano Battiston a Vandana Shiva

Punto di riferimento per la galassia altermondialista che si oppone alla mercificazione dei beni comuni, fondatrice nel 1982 della Research Foundation for Science, Technology and Ecology e poi del movimento Navdanya per la salvaguardia della varietà delle sementi, Vandana Shiva conduce da anni una battaglia per «conseguire giustizia, sul piano economico e sociale, sostenibilità ecologica, pace, democrazia e libertà d’espressione per le diverse culture». Al nuovo colonialismo della globalizzazione neoliberista e alla monocultura della mente che erode la diversità culturale e biologica Vandana Shiva oppone una forte passione, un intenso attivismo sociale e una prolifica attività di saggista (tra i suoi libri ricordiamo Monoculture della mente , Il mondo sotto brevetto, Vacche sacre e mucche pazze, Terra Madre, Le guerre dell’acqua, Il bene comune della Terra ). L’abbiamo incontrata a Firenze nel corso di “Terra Futura”, la mostra-convegno “dedicata alle buone pratiche di sostenibilità ambientale, economica e sociale”.

Una volta lei ha scritto: «Nel corso degli ultimi tre decenni ho provato a vivere trascendendo le polarità tra le persone e il pianeta, tra la scienza moderna e il sapere indigeno, tra l’ambiente e lo sviluppo, tra il nord e il sud, tra il locale e il globale». Tutta la sua attività sembrerebbe animata proprio dal tentativo di trascendere il dualismo che caratterizza la cultura scientifica moderna e gran parte del sistema di pensiero occidentale…

Le polarizzazioni e il dualismo sono tra le maggiori fonti della violenza, e si riflettono nei sistemi di pensiero, nei sistemi politici e in quelli di distribuzione del potere; non solo creano conflitto, ma impediscono pure che emergano soluzioni possibili, e in questo senso credo che trascendere questo falso dualismo sia un imperativo etico e politico, perché altrimenti rimarremmo schiacciati nelle polarità che dividono chi domina da chi è dominato e nelle quali per definizione chi è senza potere deve essere soggiogato. Oggi è il futuro stesso a essere soggiogato: le donne sono state soggiogate ma rappresentano il futuro; la natura è stata soggiogata dalla scienza ma rappresenta il futuro; il sud è stato soggiogato dal nord ma è il futuro. Il trascendimento di queste polarità è un passo necessario se vogliamo che l’avventura umana abbia un futuro.

Lei ha analizzato spesso il contesto sociale della scienza e della tecnologia: in “Terramadre”, per esempio, sostiene che la scienza e lo sviluppo non siano categorie di progresso universali, ma «progetti peculiari al moderno patriarcato occidentale». Cosa intende?

Proprio perché anch’io sono una scienziata – sebbene educata sulla base della teoria dei quanti – sono testimone di come la scienza riduzionista e meccanicista sia stata creata per dominare la natura e le persone. Basta guardare ai testi dei cosiddetti padri della scienza moderna: per Bacone questo nuovo tipo di conoscenza avrebbe dovuto basarsi sul saccheggio della natura, mentre Cartesio suggeriva la necessità di fuggire la nostra condizione di esseri ancorati a un mondo materiale. La scienza meccanicista nega inoltre che la Terra abbia capacità auto-organizzative e auto-creative, e trasforma la Terra Mater in terra nullius, ritenendola priva di intelligenza creativa ed energia, un semplice materiale grezzo a disposizione dell’uomo. I risultati sono evidenti: da una parte i cambiamenti climatici, frutto dell’idea che la Terra sia una fonte di energia senza costi; dall’altra la scomparsa della biodiversità e la crisi alimentare, frutto dell’idea riduzionista per cui se il suolo non è fertile di per sé, la fertilità deve essere creata con le tecnologie e l’industria. La scienza riduzionista è legata alla tecnologia meccanica che guarda ai sistemi biologici come artefatti meccanici, e questo legame conduce alla mercificazione della vita e dei bisogni primari.

Lei ha dedicato diversi testi al legame tra femminismo ed ecologia. Ci vuole spiegare in che termini il «femminismo inteso come ecologia può rappresentare l’energia per una nuova fondazione della politica e dell’economia»?

Sia il femminismo come riconoscimento di pari dignità e uguaglianza tra uomini e donne che l’ecologia come riconoscimento che la natura come sistema “conta” e “produce” sono stati negati dal sistema patriarcale dominante. Il patriarcato assume ovviamente forme diverse, ma quello a cui mi riferisco è il nuovo patriarcato della globalizzazione economica, alimentato dalla scienza, dalla tecnologia e dalle istituzioni patriarcali come le corporation che hanno contribuito a legittimare l’idea che le donne non hanno intelligenza né sono produttive, e che per questo devono essere trattate come un secondo sesso. Lo stesso accade con la natura, cui si nega la capacità di produrre e organizzarsi. Attorno alle donne e alla natura dovremmo invece ritornare a costruire le idee di conoscenza, produzione e politica: solo le donne possono insegnarci come avviare la transizione verso un mondo giusto e sostenibile; solo le donne sanno come produrre più cibo usando meno risorse; solo le donne sono capaci di mostrare il valore della diversità, della multifunzionalità, del pluralismo, della cooperazione invece che della competizione. E’ arrivato il momento di pensare a modi diversi di pensare il potere con i quali sia possibile reclamare nuovi spazi democratici.

Già nel libro “The Violence of the Green Revolution” lei sosteneva che il terrorismo è spesso il prodotto di politiche economicamente ingiuste e antidemocratiche. Oggi invece sostiene che “le nuove forme di privatizzazione introdotte dal colonialismo della globalizzazione economica” portano ad estremismo e terrorismo…

Il terrorismo e gli estremismi sono la risposta di coloro che si ritrovano completamente esclusi, coloro a cui vengono sottratte le risorse, i mezzi di sostentamento e la stessa possibilità di prendere decisioni. Prima lo “sviluppo” come progetto, ora la globalizzazione hanno causato danni incredibili, permettendo per esempio che la terra dei contadini venisse trasferita alle grandi industrie agroalimentari. Le violenze di chi viene escluso rappresentano in questo senso il simbolo più evidente della chiusura di ogni spazio democratico di rivendicazione; dovremmo esaminare con attenzione ogni conflitto che viene presentato come un conflitto etnico o di religione perché ci accorgeremmo che si tratta invece di conflitti per le risorse e lo sviluppo. Anche il conflitto in Medio Oriente andrebbe valutato in questa prospettiva.

Da molti anni lei si occupa dei pericoli legati alla brevettabilità delle forme di vita: perché ritiene che «le enclosures dei beni biologici e intellettuali rappresentano una reale minaccia per il futuro delle persone” e i brevetti siano “una nuova forma di colonialismo»?

I brevetti non sono un’invenzione recente, ma l’espansione dei brevetti – che concedono il diritto esclusivo di produrre, vendere, distribuire, possedere un processo o un prodotto – alle forme di vita risale soltanto agli anni Ottanta del secolo scorso, quando la General Electric ha ottenuto un brevetto per un batterio ottenuto grazie all’ingegneria genetica. In seguito, alcune corporation si sono coalizzate per dare vita presso il Wto a un nuovo trattato noto come Trips (Trade Related Intellectual Property Rights); in particolare a causa dell’articolo 27.3 (b) dedicato a piante, semi e biodiversità, quel trattato obbliga gli stati membri a brevettare la vita, i micro-organismi e gli organismi dell’ingegneria genetica. E’ una legge illegittima ottenuta con un procedimento antidemocratico che consente e promuove il monopolio sulla vita e chiude le porte al futuro. Sia che si guardi alla biodiversità erosa dalla enclosure dei beni biologici, sia che si guardi alla libertà di scegliere quale cibo coltivare e mangiare, sia che si guardi al futuro dei contadini costretti a indebitarsi – e spesso al suicidio – per acquistare semi su cui vige il monopolio, il risultato è un futuro a rischio. Per questo nel 1987 ho dato vita al movimento Navdanya, e per questo continueremo a crescere i nostri semi, a conservarli, a scambiarli, e disobbediremo a queste leggi in nome della più alta legge della natura e della morale.

Recentemente ha scritto: «Credo che Gandhi sia l’unico che sapesse cosa sia la vera democrazia – non la democrazia come il diritto di andare e comprare ciò che si vuole, ma come responsabilità nei confronti di ogni persona che ci sta vicino». Significa che per costruire quella che lei chiama una “democrazia della terra” i doveri collettivi dovrebbero essere anteposti ai diritti personali?

L’idea che libertà individuale debba essere ottenuta a scapito di quella collettiva ha contribuito in modo determinante a instaurare la dittatura del potere economico e del capitalismo patriarcale sul nostro pianeta. Per contraddire questa convinzione abbiamo bisogno di ridefinire il concetto di libertà: i diritti non risiedono negli individui frammentati e atomizzati, che esercitano tali diritti senza conseguenze sul pianeta a cui appartengono e sugli altri esseri che lo abitano; piuttosto, derivano dalla responsabilità, che è la condizione essenziale per la nostra stessa esistenza su questo pianeta. Senza responsabilità verso la terra non potremo mantenere le condizioni ecologiche che rendono la vita possibile, e senza responsabilità per il benessere di ogni uomo e per i beni comuni non saremo in grado di riprodurre nel futuro la società umana: per la prima volta nella storia ci troviamo sul bordo di un precipizio, e non sappiamo se continueremo a vivere come specie. Solo la specie umana deve reinventare il proprio futuro. Per farlo i doveri devono essere anzitutto doveri verso la terra e verso gli altri.

Vandana Shiva, Reinventare il futuroultima modifica: 2008-06-03T18:09:07+02:00da mangano1
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