Giuliano Capecelatro, Storie di Napoli ( discutendo con Francesco Barbagallo)

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da LIBERAZIONE 5 luglio 2008

Giuliano Capecelatro

«A Napoli, di fronte a tanto sfacelo
risalta ancora la modernità di Nitti»

NELLA FOTO L´area dismessa dell´ex Italsider a Bagnoli chiusa definitivamente nel 1991.

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Cent’anni, un secolo. Il futuro virtuale, quello che poteva essere, che è persino stato per un periodo, giace inerte, devitalizzato, nella piana che da Fuorigrotta raggiunge il mare. Strutture rugginose, cadenti, ciminiere mute spuntano su prati spelacchiati; guardano sconfitte, da un lato, crescenti cumuli di rifiuti che invece trionfano, dall’altro le attrattive senza tempo della baia. Cent’anni ha, avrebbe, oggi l’ Ilva, poi Italsider e di nuovo Ilva, che a Bagnoli pose le basi per un luminoso futuro industriale. Con la firma di Francesco Saverio Nitti, statista lucano di Melfi, meridionalista strenuo, fautore della legge speciale per il Risorgimento di Napoli con cui il governo Giolitti, nel 1904, tentava il miracolo di arrestare il declino dell’antica capitale.

Quel futuro abortito, più angoscioso se osservato dall’esclusiva, rigogliosa residenzialità di Posillipo, è il presente di Napoli. Il suo destino, forse. Sospeso tra capannoni fatiscenti e strombazzati progetti di riqualificazione urbana – parchi e insediamenti turistici – di cui non v’è traccia. Il Comune possiede i terreni; è nato un consorzio, ma la bonifica non è mai stata avviata.

Bagnoli chiuse definitivamente nel 1991. Una sconfitta, a trentotto anni dalla morte, per il liberale radicale Nitti e il suo ambizioso disegno.

«Sconfitto Nitti? Per niente – ribatte deciso il professor Francesco Barbagallo, ordinario di Storia contemporanea all’università Federico II di Napoli -. Se qualcosa di positivo è stato fatto nel ‘900, è proprio la fragile industrializzazione seguita alla legge speciale. Risultati parziali, certo, ma molto importanti per la modernizzazione di Napoli. Non solo l’Ilva, impianto moderno e avanzato, ma anche la nascita di un polo industriale nel settore orientale della città. Che portò alla formazione di un nucleo importante di classe operaia. Quella di Nitti è stata l’unica idea che abbia consentito una positiva trasformazione economico-sociale di Napoli».

Nitti è un tema molto sentito da Barbagallo. Una ventina d’anni fa gli dedicò un libro. Nei giorni scorsi a Napoli ha partecipato, con un’ampia relazione, a un convegno sullo statista organizzato dall’Istituto italiano per gli studi filosofici.

«Saltato il modello nittiano – prosegue -, che nel dopoguerra ha promosso l’intervento straordinario, la riforma agraria, cos’è rimasto? Nulla. La deindustrializzazione degli anni Ottanta ha fatto tabula rasa. Non c’è un nuovo modello in cui convivano l’industria e i servizi avanzati, come accade nei paesi sviluppati. Con tutti i suoi limiti, quel processo è quanto di meglio abbia visto Napoli. Cosa c’è ora in quelle zone ex industriali? Camorra. Soltanto la camorra».

Colpa di una classe dirigente che continua a vegetare, come ha fatto nel corso dei secoli. Un ceto che Nitti disprezzava e fustigava.

«Lui era una mosca bianca. Il Sud ha prodotto individualità di grande spessore artistico, culturale. Mai, però, un ceto amministrativo di qualità. Un’analisi delle vicende della Campania dall’Unità ad oggi, sotto questo aspetto, mette i brividi. Nessuna realizzazione significativa. Nel dopoguerra, Lauro; il centrosinistra ha poi proseguito quell’esperienza di speculazione edilizia. Una parentesi si è avuta con le giunte di sinistra, il sindaco Valenzi, e con la prima giunta Bassolino, che annoverava tecnici di notevole valore. Poi più niente. E Napoli è entrata nel 2000 con tutti i suoi problemi aggravati».

Il parassitismo delle classi dirigenti, denunciato da Nitti, sembra essere stato ereditato dalla camorra. Che si nutre di denaro pubblico.

«Il peso della criminalità a Napoli è enorme. E in crescita. Il cinquanta per cento degli esercizi commerciali sono espressione di gruppi camorristici. Ma la camorra non è un organismo parassitario. In Italia la criminalità si è trasformata in criminalità imprenditoriale. Capace di stare sui mercati internazionali, perché qui da noi non si è riuscito ad impedire il congiungimento dei mercati legali e illegali. Così la camorra occupa tutti i settori legali dell’economia e diventa una concorrente praticamente invincibile per l’imprenditorialità non criminale. Perché? Perché può finanziare se stessa. Ha una liquidità immensa, non deve sottostare alle banche per i prestiti. La possibilità di operare sui mercati legali e illegali rende la criminalità organizzata più competitiva e aggressiva. E tutt’altro che parassitaria. Investe. L’industria edilizia è controllata dalla criminalità. La ‘ndrangheta si è comprata un intero quartiere di Bruxelles. Penetra all’Est. In Cina l’imprenditoria criminale è arrivata molto prima di Montezemolo e Prodi. Il clan Di Lauro smerciava in Europa prodotti hi-tech, provenienti dalle aziende cinesi che li fabbricavano per gli Stati uniti. Agiscono a tutto campo, dal racket ai traffici internazionali ai settori più avanzati».

E’ in un piccolo Eden lussureggiante, adagiato sui fianchi del Vomero, che vive il professor Barbagallo. Un folto d’alberi da cui si scorgono squarci fantastici della città, del golfo. Regno incontrastato di Pedro, un dalmata espansivo e giocherellone, epigono convinto di Maradona. Qui tutto sembra lontano, un incubo che l’incanto del luogo mette in fuga. Lontana la tetra Italia di oggi. Napoli con i suoi drammi antichi e recenti: l’immondizia che sommerge le strade.

«I rifiuti sono l’epifenomeno. Non un episodio, ma l’espressione di una difficoltà strutturale. E’ impressionante che, a vent’anni di distanza dalla scandalosa ricostruzione post-sismica guidata dalle amministrazioni di centrosinistra, abbiamo dovuto assistere a una gestione scandalosa del ciclo rifiuti, ad opera di tutte le forze politiche, dall’estrema destra all’estrema sinistra. Di fronte a tanto sfacelo risalta la modernità di Nitti. Quando si batte per la legge speciale, afferma che il problema è morale prima ancora che economico. Morale».

Morale. Termine che sa di antico. Di antiquato, addirittura. Ossidato e ricoperto di incrostazioni del tempo. Un attrezzo inservibile.

«In ogni sua iniziativa, si avverte una forte tensione etica. Con tutti i limiti storici che sappiamo. E’ un esponente del ceto liberale, che si illude di poter controllare Mussolini. E’ un teorico della sviluppo capitalistico, di cui tenta di modificare il meccanismo. Paladino di un riformismo di matrice europea, propugna in nome dello sviluppo l’innalzamento dei salari e l’organizzazione dei lavoratori, in un paese che ha sempre sfruttato i bassi salari, storia che si ripete. Vuole inserire il Sud in questo processo, ridurre lo squilibrio col nord».

E ha parole piuttosto aspre per il settentrione, che accusa di depredare il Mezzogiorno, vessato da un maggior carico fiscale.

«Be’, quelle sono le pagine meno interessanti. Riecheggia un po’ il pensiero dei liberisti meridionali dell’epoca, alla De Viti De Marco. In realtà, l’unità d’Italia fu un avvenimento del tutto casuale. Cavour, d’accordo con Napoleone III, non aveva intenzione di andare oltre i confini del granducato di Toscana. Lo Stato della Chiesa non doveva crollare. E neppure il Regno delle Due Sicilie. Ma avvengono fatti, rivolte contadine, l’intervento di Garibaldi, che mandano all’aria i giochi. Il quadro economico, di protezionismo e industrializzazione, vedeva il nord molto più avanti. Il sud aveva un tessuto industriale? Più che altro aveva alcuni imprenditori stranieri, che prosperavano protetti dal regime borbonico. In realtà, il sud arranca e non regge il ritmo dello sviluppo».

Però Nitti tenta di correggere lo squilibrio. Con la carta dell’industrializzazione. E, con parole quasi profetiche, dice che Napoli museo o grande albergo non avrebbe senso.

«Non proprio così. Lui dice che una metropoli come Napoli, allora la più grande città italiana e una delle maggiori d’Europa, non poteva puntare solo su quei settori, erano insufficienti. Con l’industria vuole avviare un circuito virtuoso in cui trovi spazio anche altro, come un’ agricoltura moderna, specializzata. In lui è centrale l’attenzione al problema delle acque pubbliche, delle bonifiche, dell’irrigazione, della sistemazione dei fiumi. E mostra una notevole sensibilità ai temi del territorio, dell’ambiente».

E dell’emigrazione, che vede il Mezzogiorno alle prese con una diaspora biblica, per allontanare lo spettro della povertà, delle fame.

«Ed è la prova dell’interdipendenza tra nord e sud. Le rimesse degli emigrati diventano un polmone finanziario, un volano per lo sviluppo. Quando, nel 1907, la Fiat si trova in crisi di liquidità, il direttore generale della Banca d’Italia, Bonaldo Stringher, prese le rimesse degli emigrati e le consegnò all’azienda di Torino, che poté risollevarsi. Per questo Nitti considerava l’emigrazione un fattore di sviluppo. Sempre in un orizzonte etico. Che si scontra con la storia che vince, che si realizza. Meno solida sul piano delle premesse etiche».

Ma l’etica non scompare dalla storia d’Italia con Nitti. «Fino agli anni Settanta – è l’amara precisazione -. La Resistenza e l’antifascismo danno spessore etico alla repubblica. Un fervore etico anima personalità politiche come Moro, La Malfa, Berlinguer, che muore in nome della questione morale. Poi prevale lo sbeffeggiamento dell’etica.Comincia con Craxi; vuole ribaltare l’equilibrio Dc-Pci, e provoca uno sfondamento etico. La politica diventa mercato, gioco di potere, schermaglia. Così Nitti,incarnazione di un modello politico-culturale a fondamento etico, che ha pagato le sue scelte con ventun anni di esili ci parla non solo di Napoli, ma di una storiache arriva a oggi.

Giuliano Capecelatro, Storie di Napoli ( discutendo con Francesco Barbagallo)ultima modifica: 2008-07-05T18:54:22+02:00da mangano1
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