Ilvo Diamanti, Nella morsa della sfiduci

DA la repubblica 12 ottobre

Il Paese nella morsa della sfiducia
Gli italiani pessimisti come mai prima
di ILVO DIAMANTI
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LE MAPPE. Sei italiani su dieci ammettono di non fare più progetti impegnativi
Fiducia giù per imprese e sindacati, ma il gradimento del governo è a livelli record
Il Paese nella morsa della sfiducia

E’ come essere in guerra. E forse è proprio così. Anche se gli attacchi aerei e missilistici sono rimpiazzati dagli indici Dow Jones, MIB, Nasdaq e CAC. Il che fa una bella differenza, ovviamente e per fortuna.

Ma è una vera guerra quella che si combatte ogni giorno sulle piazze finanziarie di ogni parte del mondo.
E come tale è rappresentata, sui media. A ogni ora un bollettino che annuncia i dati della catastrofe. Le borse che crollano dovunque. Mentre i grandi (?) del mondo si incontrano e si affacciano sulle tivù. Per spiegare che non c’è da preoccuparsi, nessuna banca fallirà, nessun risparmiatore perderà i suoi risparmi. Producendo l’effetto opposto. Perché è difficile non farsi prendere dal panico quando i grandi del mondo ripetono che non bisogna farsi prendere dal panico. Sentirsi tranquilli quando le autorità intimano che bisogna restare tranquilli, mantenere i nervi saldi e il sangue freddo. Se non vi fossero motivi di timore, perché affannarsi a rassicurarti a ogni minuto che passa?

La spiegazione principale di questa crisi finanziaria senza fondo, peraltro, è che sui mercati ormai domina la sfiducia. Nessuno si fida di nessuno. Com’è ovvio, visto quel che è successo nel sistema finanziario negli ultimi anni. Tuttavia, in questo caso, mercati finanziari e società si rispecchiano. Soprattutto da noi. In Italia. Certo, non viviamo in un paese da incubo (come ha opportunamente rammentato il cardinal Bagnasco alcune settimane fa). Però bisognerebbe spiegarlo al paese. Visto che in Italia si rilevano, da tempo, gli indici di pessimismo e di insicurezza più elevati d’Europa (come hanno mostrato i sondaggi di Eurobarometro). Un clima d’opinione che sembra essersi ulteriormente deteriorato.

Sei italiani su dieci pensano, infatti, che in questo momento non valga la pena di “fare progetti impegnativi per sé e la propria famiglia, perché il futuro è troppo carico di rischi” (sondaggio nazionale Demos, condotto nei giorni scorsi). Si tratta della misura più elevata registrata dal 2000 fino ad oggi. Il problema è che questo sentimento, al di là delle ragioni ragionevoli che lo ispirano, in Italia trova importanti moltiplicatori. In particolare, lo sbriciolarsi dei legami e delle solidarietà sociali, alimentato dalla decomposizione urbana. Il gioco dei risentimenti incrociati fra gruppi professionali, di cui abbiamo parlato qualche settimana fa. Professori, medici, avvocati, maestri, farmacisti, tassisti, broker, commercianti e commercialisti … Una lista infinita, destinata ad allungarsi. Tutti contro tutti. Deprecati a prescindere. Volta a volta: poveracci, privilegiati, evasori, fannulloni, ladri, incompetenti. Oppure, semplicemente, “nessuno”. Un’entità fantasmatica, come gli operai. Che fanno notizia solo quando muoiono sul posto di lavoro.

Lo sfarinarsi delle appartenenze professionali, d’altronde, è drammatizzato (e accelerato) dalla perdita di rilevanza delle grandi organizzazioni di rappresentanza economica (Demos, ottobre 2008). In particolare, il 27% dei cittadini esprime fiducia nel sindacato, il 25% verso Confindustria. Si tratta di indici fra i più bassi nella graduatoria dei principali riferimenti associativi e istituzionali in Italia. La fiducia nel sindacato, soprattutto, scivola al livello minimo degli ultimi due anni. Inoltre, scende più in basso della media nella base di riferimento: gli operai (22%). Mentre sale soprattutto fra i pensionati. Uno scenario simmetrico rispetto agli anni Novanta, quando sindacato e Confindustria avevano garantito consenso allo Stato, dopo il tracollo della prima Repubblica. Era la stagione della concertazione, a cui si oppone, oggi, una società “sconcertata”. Dove le tradizionali organizzazioni intermedie di rappresentanza non rappresentano più neppure i loro iscritti. La loro base professionale di riferimento. Come potrebbero, d’altra parte, supplire al deficit di fiducia delle istituzioni se esse stesse sono percepite come istituzioni e, per questo, sfiduciate?

Il collasso delle borse e del sistema finanziario, peraltro, rischia di accentuare ulteriormente le divisioni interne alla società. Di renderle profonde come baratri. Il 47% degli italiani (Osservatorio sul Capitale sociale di Demos-Coop, di prossima pubblicazione) afferma, ad esempio, di aver ridotto i consumi alimentari, in famiglia. Ma il dato scende sotto il 40% fra imprenditori, lavoratori autonomi e professionisti, mentre supera il 50% fra gli operai e i pensionati.

Da ciò il problema: come possa mantenere un grado accettabile di coesione una società così incoerente. Tendenzialmente dis-integrata. E come possa, a maggior ragione, non ri-esplodere quel dissenso politico che travolse, dall’autunno 2006, il governo Prodi e le forze che lo sostenevano. In una fase assai meno drammatica, economicamente, rispetto a quella attuale. Oggi, anzi, si osserva un orientamento contrario. Visto che la fiducia nel governo continua a crescere e ha raggiunto il livello più alto dal settembre 2002. (Al contrario dell’opposizione di centrosinistra, ormai ai minimi storici). La spiegazione più ragionevole sta, a nostro avviso, proprio nel clima di inquietudine e diffidenza che inquina il nostro mondo.

Questa società si sente sotto assedio. E le forze politiche, gli uomini di governo, lo stesso Presidente del Consiglio confermano le sue paure. Ne traggono motivo di consenso. Promettono di difenderla dai nemici che la minacciano. Immigrati, rom, prostitute, automobilisti e motociclisti ubriachi, tossici e spacciatori. Promettono, inoltre, di contrastare il disordine sociale, devastato dalla perdita di senso e di autorità. Combattono la morte del futuro e il collasso del presente attraverso il richiamo al passato. Attraverso i valori e i simboli pre-sessantottini. I grembiulini, il voto di condotta, i bambini che si alzano quando entra il professore. Attraverso lo Stato protettivo e protettore, gli impiegati pubblici che, finalmente, la smettono di poltrire, i professori che, finalmente, si fanno rispettare, i maestri, che, finalmente, tornano ad essere unici. Questa società sotto assedio (come la definisce Bauman) applaude l’esercito sparso sul territorio e nelle città, i vigili urbani che diventano poliziotti, i sindaci che si fingono sceriffi. I “ministri della paura”, geniale invenzione di Antonio Albanese (puntualmente superata dalla realtà). Questa società, di fronte al terrorismo delle borse, come dopo l’attacco alle torri nel settembre 2001, esprime domanda di certezza e di autorità. Così, si raccoglie, trepida, intorno al Grande Rassicuratore. Che, dagli schermi, dice ciò che tutti temono e tutti vogliono sentire. Non c’è motivo di avere paura. Cioè: abbiate paura, perché ce n’è motivo. Ma io – solo io – vi salverò. Dalle banche e dai banchieri, dai subprime e dai fondi tossici, dalle cattive azioni e dai cattivi maestri (sempre loro…). Dai broker armati, che vi minacciano: “O la borsa o la vita”. E se le borse non mi ascoltano io le chiuderò. Abbiate sfiducia negli altri. Paura del mondo. Il futuro è ieri. E’ il consenso triste del nostro tempo. Intriso di sfiducia e di paure. Prigioniero della nostalgia.
(12 ottobre 2008)

Ilvo Diamanti, Nella morsa della sfiduciultima modifica: 2008-10-13T19:30:00+02:00da mangano1
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