TRE DISCORSI DIVERSI, A FUTURA MEMORIA

TRE ANGOLAZIONI DIVERSE PER DISCUTERE DI STUDENTI ETC
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1 dA liberazione

«Noi non abbiamo
paura»

Piero Sansonetti

Che difenderà la riforma Gelmini “in armi”?
Ieri a Roma si sono svolti i funerali di Vittorio Foa, uno dei più grandi protagonisti del movimento operaio dell’ultimo secolo (aveva 98 anni).
Ricordando la sua figura, Pietro Marcernaro ( sindacalista e uomo politico 48737466.gif
torinese, allievo di Foa) ha raccontato un aneddoto fantastico della vita di
Foa. Successe che non so bene chi stava preparando un libro di
testimonianze, intitolato “perseguitati dal fascismo”, e chiese a Foa un ricordo
personale (avendo Vittorio passato in un carcere fascista gli 8 anni più belli
della sua gioventù, dai 25 ai 33 anni). Vittorio Foa rispose stupìto alla
richiesta. Disse: «Ci deve essere un equivoco, io non sono stato perseguitato dal fascismo, io ho perseguitato il fascismo. E lo ho perseguitato così tenacemente che alla fine loro, impauriti, sono stati costretti a mettermi in
prigione…»
1583817545.jpgLa mobilitazione degli studenti sta davvero mettendo in crisi la politica e la sua agenda. L’opposizione alla riforma Gelmini, innanzitutto, è formidabile.
Difficilissima da aggirare. E per il governo Berlusconi il rischio di perdere la  riforma Gelmini ( o addirittura di vedere il ministro costretto alle dimissioni) è un vero incubo. Perché il rischio è che si rovescino tutti i fattori positivi che  hanno segnato questi primi sei mesi della legislatura. Che si inverta il flusso dell’opinione pubblica e si blocchi l’idea che siamo entrati in una fase nella quale chi governa può fare quello che vuole, senza ostacoli e senza dover rendere conto. Chi è il più preoccupato di tutti, per questa nuova situazione?
Prima ancora del premier è preoccupato il “gotha” della borghesia italiana,  diciamo Confindustria. La quale sa benissimo che se si apre il ciclo delle lotte e dei conflitti, e se il governo perde la “bacchetta magica”, chi ci va di mezzo è il disegno di restaurazione che Confindustria contava di portare a termine col favore del berlusconismo. Riduzione dei salari, ma soprattutto riduzione dei diritti e colpo mortale ai sindacati che permetta, per un lungo periodo, la prospettiva del potere assoluto degli imprenditori. Passaggio fondamentale l’accordo con Cisl e Uil sui contratti, al quale con fatica si sta opponendo la Cgil. Il movimento degli studenti può dare una spinta, spostare il clima, condizionare lo stesso movimento sindacale, spingerlo a sinistra, dargli forza. E far saltare i sogni di Confidustria. E se succede questo tutta la partita politica italiana riparte da zero, si torna a prima del grande successo  elettorale berlusconiano di aprile. Berlusconi lo sa che questo è il rischio. Più
o meno successe così anche nel 2001, quando prima il movimento no global poi la grande mobilitazione della Cgil tagliarono le gambe al suo disegno, lo sconfissero alla radice. Per questo reagisce pensando alla polizia.
Immaginandosi di poter abbattere il movimento in pochi giorni. Come andrà a finire? Dipenderà tutto da quel misterioso “teorema di Foa”. E cioè dalla domanda: E’ Berlusconi che sta perseguitando gli studenti o gli studenti che perseguitano lui?

23/10/2008

2 Un nuovo sessantotto? No, la protesta è infrasistemica

i Carlo Gambescia – 23/10/2008
Fonte: Carlo Gambescia [scheda fonte]

Quel che finora non era riuscito a una sinistra alla camomilla, sembra stia ora
riuscendo, per riproduzione sociale spontanea della protesta, al mondo della
scuola (professori, studenti, famiglie: la protesta contro il decreto Gelmini, sta
dilagando dalle scuole superiori all’Università. Mentre Berlusconi va
assumendo nei riguardi dei manifestanti un tono “muscolare”
(http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/scuola_e_universita/servizi/scuola-2
009-2/parla-premier/parla-premier.html) .
Un nuovo Sessantotto? Assolutamente no. La protesta è di tipo
infrasistemico, dunque moderata : ci si oppone a tagli e provvedimenti che
vanno a ledere la qualità dell’insegnamento. E soprattutto, come nel caso
delle “classi ponte”, la parità dei diritti dei cittadini, a prescindere dal colore
della pelle, religione e lingua parlata. Un valore, quest’ultimo, oggi acquisito a
livello di mentalità diffusa, a parte alcune pericolose sacche di razzismo,
soprattutto politiche.
Un nuovo Settantasette? Sì e no. E spieghiamo perché.
La protesta pur essendo infrasistemica, a causa della crisi economica in atto,
potrebbe assumere altre direzioni. Anche se, non sussistono legami culturali
antisistemetici con i valori del Sessantotto e del Settantasette. Infatti la
differenza culturale di fondo tra i primi due movimenti e quelli successivi,
dagli anni Ottanta in poi, è stata nel tempo dettata dal diverso atteggiamento,
soprattutto a livello diffuso, nel riguardi dell’introduzione nelle università del
numero chiuso(1). Scelta “borghese” largamente condivisa (a parte alcune
eccezioni) dalla sinistra istituzionale e studentesca. Nel senso che se altri
movimenti vi sono stati, questi non si sono riprodotti socialmente con la
stessa intensità (qualitativa e quantitativa) di quelli del Sessantotto e del
Settantasette e soprattutto in nome di un’ottica di tipo egualitario e, se ci si
passa l’espressione, socialmente antiborghese.
Questa volta, come dire, la variabile di ritorno è invece rappresentata dalla
crisi economica in atto e da un ceto medio, i professori e soprattutto le
famiglie. Soggetti, se ci si passa la caduta di tono, che si meritano la Gelmini:
perché hanno accettato, da “bravi borghesi”, a suo tempo, il numero chiuso,
condiviso dalla stessa arciborghese sinistra governativa… Un ceto medio,
dicevamo, che ora vede, minacciata la propria sicurezza economica, anche
attraverso, per semplificare, la proletarizzazione dei figli… Di qui la possibilità
– solo la possibilità e certo non nell’immediato – qualora si puntasse a
risolvere con la forza, come auspica muscolarmente Berlusconi, il pericolo,
come rivoluzionari e sociologi sanno, del rischio del passaggio dalle armi
della critica alla critica delle armi. Di qui le tristi assonanze con il
Settantasette. Che a differenza del Sessantotto aveva alle spalle la lunga crisi
economica degli anni Settanta e il conseguente blocco del mercato del lavoro
per le generazioni nate nella seconda metà degli anni Cinquanta.
Esageriamo? La parola ai lettori. Si spera, comunque, che Berlusconi ci
ripensi.
.
(1) Per il nostro atteggiamento nei riguardi dei numero chiuso si veda qui:
http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/2007/09/universit-perch-il-nu
mero-chiuso-non.html
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3 Università: perchè non vedete la responsabilità dei Rettori e del baronato
accademico?
di Stefano Zecchi – 23/10/2008

Fonte: il giornale

La cosa più indecente delle proteste universitarie è l’atteggiamento dei rettori.
Se, per ipotesi, fossero stati aumentati i finanziamenti per l’università, i rettori,
in coscienza, potrebbero sostenere che i loro atenei funzionerebbero meglio?
E cioè, riterrebbero, in coscienza, che aumenterebbe la qualità della
formazione e della ricerca accademica?
L’università italiana di oggi è come l’Alitalia: più soldi ci butti dentro e peggio
è, perché aumenti il clientelismo, il nepotismo, la dequalificazione del corpo
insegnante. I concorsi universitari per il reclutamento dei docenti, banditi tra
metà luglio e Ferragosto, in modo che pochi sapessero della loro esistenza
affinché fosse protetto chi è già predestinato a vincerli, sono un esempio di
malcostume e di arroganza.
Perché i rettori non denunciano quest’indecenza? Risposta: perché altrimenti
24 figli di rettori probabilmente non sarebbero andati in cattedra. Perché gli
studenti non vanno a vedere chi sono i loro docenti in una facoltà, per
esempio, come quella di medicina e chirurgia della Sapienza di Roma? Qui è
stato eletto rettore il 3 ottobre il professor Luigi Frati, preside per 18 anni nella
facoltà di medicina e chirurgia. In questa facoltà, come ordinario, insegna
storia della medicina la moglie Luciana Angeletti, la quale era prima una
semplice insegnante di lettere: un bel salto acrobatico chissà da chi facilitato.
E i figli del rettore dove li mettiamo? Naturalmente nella stessa facoltà di
medicina dove insegnano mamma e papà. Ecco infatti un buon posto di
associato per il figlio Giacomo nella sede distaccata di Latina. La figlia Paola
era un po’ più difficile da sistemare perché è laureata in giurisprudenza. Ma
l’amore di padre non ha ostacoli: e, infatti, anche per la figliola Paola si trova
un bel posto di ordinario in medicina. Questo accade a Roma, università
Sapienza: l’unità della famiglia è garantita, non so quanto sia garantita la
scientificità della ricerca.
Il rettore della Normale della Pisa, Salvatore Settis, cita come esempio da
seguire il presidente francese Sarkozy, che in una situazione di crisi
economica come quella che stiamo passando, ha aumentato i fondi
all’università invece di tagliarli. Non spiega però, il rettore, che i soldi sono
destinati a un numero ristretto di università, una decina in tutto, e non
all’intero mondo accademico, peraltro scassato anche se non come il nostro.
In Francia, il Centro nazionale della ricerca, il polmone
economico-amministrativo, che opera in contiguità con le università, funziona
ancora; il nostro Cnr è stato smantellato dall’ex ministro Berlinguer, e il
tentativo di riforma che fece Adriano De Maio, consulente dell’ex ministro
Moratti, pur essendo né più né meno in linea con quelli europei, fu
drasticamente bloccato dai sindacati, che ora sono quelli che decidono a chi
vanno i quattrini. Sarkozy va seguito proprio dove indica la necessità di
differenziare e sostenere le università di qualità. Ma l’introduzione di questa
meritocrazia gestionale fa inorridire i nostri rettori perché finirebbero per
dover fare i conti con la qualità della ricerca dei propri atenei, cosa a cui non
sono abituati o chiamati a fare. E infatti qualcuno si limita a fare il burocrate
per cercare di pagare gli stipendi e le bollette della luce, qualcun altro più
scaltro pensa alla famiglia o alla carriera politica.
La sinistra manda in piazza gli studenti e occupa le università con il vecchio
cinismo del tanto peggio tanto meglio. Ci sono famiglie umili che si svenano
perché i propri figli abbiano con la laurea una promozione sociale. Credono
nell’università, credono che la formazione accademica del figlio gli consenta
un buon lavoro, un dignitoso stipendio. Adesso Veltroni e compagni fanno
credere a questi genitori che il governo vuole distruggere i loro sogni, e non
hanno il coraggio di dire che il colpo di grazia all’università l’hanno dato
proprio i governi di sinistra con i ministri Zecchino e Berlinguer. La sinistra
non ha l’onestà di dire che questa università non è in grado di offrire ai
giovani una vera formazione. La sinistra non ha il pudore di denunciare i
disastri di una sindacalizzazione dell’università, che non ha mai voluto
lavorare per la qualità e il merito, ma ha preteso concorsi farsa per il
reclutamento dei docenti, posti fissi e avanzamento di carriera come
nell’esercito piemontese.

TRE DISCORSI DIVERSI, A FUTURA MEMORIAultima modifica: 2008-10-23T18:13:00+02:00da mangano1
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