Federico Rampini, L’aquila e il pollo fritto

da LA REPUBBLICA 13 OTTOBRE
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FEDERICO RAMPINI
Esce “L’aquila e il pollo fritto” di Vittorio Zucconi

Una magnifica lettura che sfugge agli stereotipi sulla fabbrica mondiale dei sogni
America tra odio e amore
Viaggio tra le pieghe del gigante
Lo sguardo dell’autore svela le imposture dei liberal e trova valori in territorio nemico

INFETTATO dal virus della “finanza creativa” made in Usa, il mondo vive nella paura di essere alla vigilia di una nuova Grande Depressione. I nostri risparmi sono contaminati dai titoli tossici, le armi di distruzione di massa elaborate da Goldman Sachs e Morgan Stanley, Merrill Lynch e Bear Stearns. I capi di quelle banche, licenziati con disonore, si godono liquidazioni che noi non potremmo maturare lavorando onestamente per cinquemila anni.

Questa è l’America che è impossibile non odiare. E’ la nazione dove ogni cittadino consuma più risorse naturali di cinque cinesi o dieci indiani messi assieme. E’ la presunta civiltà superiore che ha imposto al mondo intero il suo modello economico, con il titolo di Max Weber come etichetta: L’etica protestante e lo spirito del capitalismo. Salvo scoprire che l’etica protestante non vale per l’establishment di Wall Street, la razza predatrice al di sopra di tutte le regole.

Ma fra meno di un mese questa odiosa nazione potrebbe mandare alla Casa Bianca il nipote di un capraio africano, la cui nonna paterna vive in un villaggio del Kenya e il fratellastro in una baraccopoli di Nairobi. In mezzo alla tempesta, nell’ora più buia, mentre le classi dirigenti del mondo intero brancolano alla ricerca di una soluzione alla grande crisi, gli Stati Uniti possono avere lo scatto decisivo, il coraggio di uno strappo inaudito: generazionale, culturale, etnico. Allora scopriremo di nuovo che l’America ci è essenziale; e che l’America non si può non amare.

E’ questa continua tensione fra l’amore e l’odio, il rispetto e il disprezzo, l’attrazione e la repulsione, che anima il nuovo saggio di Vittorio Zucconi, L’aquila e il pollo fritto, in questi giorni in libreria (Mondadori, pagg. 300, euro 18,50). Non è un pamphlet politico, né un’opera a tesi: quelle Zucconi le lascia volentieri agli “esperti”, una categoria che tiene a distanza di sicurezza dopo aver vissuto i disastri progettati dai cervelloni neoconservatori come Wolfowitz (Iraq) o neoliberisti come Greenspan (l’iperbolla speculativa). Il suo è un grande viaggio d’avventura, l’esplorazione di tutte le pieghe più nascoste dell’America, una proiezione di paesaggi fantastici, una galleria di ritratti animata da personaggi orridi o commoventi, teneri o inquietanti.

E’ una magnifica lettura che sfugge agli stereotipi e alle semplificazioni. Zucconi conosce troppo bene questo paese per cascare nella trappola delle “due Americhe”: da una parte il paradiso della tolleranza che consente i matrimoni gay, investe nell’energia solare, sforna premi Nobel; dall’altra un asfissiante universo bigotto e razzista, violento e imperialista. Lo sguardo ironico di Zucconi è pronto a svelare incongruenze e imposture della cara America liberal, e a trovare umanità e valori in territorio nemico, là dove le invettive di McCain e Sarah Palin scaldano i cuori e mandano in delirio le folle.

“E’ facilissimo odiare l’America – scrive l’inviato di Repubblica a Washington – . La tentazione è costante, quotidiana, per chi la guarda da lontano e le attribuisce ogni male, dall’abbattimento degli alberi in Amazzonia alla diffusione dell’Aids, arrivando persino a sospettare che siano loro stessi, gli americani, ad autoaggredirsi l’11 settembre 2001”. E’ diventato un alibi permanente per noi europei, classi dirigenti e cittadini: ogni nostra perversione è naturalmente il frutto di un’americanizzazione. Ogni nostro errore si spiega con l’adozione acritica del loro modello, ribattezzato anche “pensiero unico”.

Perfino i nostri banchieri, poverini, invocano l’attenuante del plagio: hanno polverizzato i nostri risparmi, ma in fondo erano vittime anche loro, costretti a seguire l’esempio di Wall Street, a imitare i Padroni dell’Universo.

L’aquila e il pollo fritto non fa sconti all’America. Mette a nudo senza pietà tutte le vergogne di una democrazia dimezzata. Le affluenze alle urne scandalosamente basse, i tassi di rielezione “sovietici” dei parlamentari uscenti. Le campagne elettorali stravolte dall’influenza delle lobby e dal potere del denaro. I brogli a non finire. L’ipocrisia dilagante, presuntuosa, insopportabile: “L’America con la quale bisticcio ogni giorno è la cantante che prima di ogni partita di football, di basket, di baseball gorgheggia l’inno alla “terra dei liberi”, mentre tiene un abitante su cento in galera, come neanche a Cuba e in Iran.

E’ la scialacquatrice indebitata fino ai capelli che si fa prestare dai cosiddetti comunisti cinesi mille miliardi di dollari per fumarseli nel polverone iracheno, eppure non vuole spendere 35 miliardi in più per ampliare la copertura sanitaria da 6 a 10 milioni di bambini in casa propria: sarebbe, Dio non voglia, una zaffata di sanità socializzata”. E’ il paese provinciale, autoreferenziale, dove appena il 16% degli abitanti ha il passaporto, e la geografia s’impara solo per invadere nazioni lontane.

Questo spiega perché l’America – un tempo leader mondiale nell’efficienza, nella produttività, nella qualità del servizio al consumatore – sia precipitata in basso a tutte le classifiche, con infrastrutture pubbliche e private che cascano a pezzi, oligopoli inefficienti, arretratezze tecnologiche che affliggono i telefonini e il trasporto aereo, le ferrovie e l’energia. E’ un paese che ha poca curiosità verso il resto del mondo. Raramente s’interroga su cosa debba imparare dagli altri.

Eppure è questa nazione che continua ad essere la fabbrica mondiale dei sogni, uno straordinario laboratorio di idee, la fucina di “informazioni e opinioni che danno il tempo al discorso internazionale”. La Cina monopolizza i mestieri manifatturieri, ma nell’economia immateriale fondata sulla capacità d’innovazione la leadership è ancora degli Stati Uniti. Una spiegazione della loro forza – Zucconi lo dimostra in modo convincente – è nella capacità di rinnovamento delle classi dirigenti; è la stessa flessibilità che consente di metabolizzare le spinte antipolitiche che esistono in ogni democrazia. Un’altra risorsa ancora ineguagliata nel resto del mondo è l’insalatiera multietnica: proprio quella che ha sedotto Zucconi e ne ha fatto un cittadino bi-nazionale, con “una vita sospesa tra la mia Italia e la mia America, come un lenzuolo steso ad asciugare in un basso napoletano fra due facciate, che non può staccarsi né dall’una né dall’altra, senza afflosciarsi e cadere”.

Il libro inocula dosi inebrianti dell’America-droga, quella che ti cattura per sempre una volta che ti entra sotto la pelle. E’ il Giardino dell’Eden per chi fa la professione del reporter, perché “un giornalista in America è come un bambino lasciato solo in un negozio di giocattoli: non bastano mai le mani, per afferrarli tutti”. Quest’America è anche un gigante inquieto, su cui incombe la fine della breve èra unipolare, l’inizio di un secolo segnato dall’ascesa di nuovi rivali. E’ riflettendo sugli scenari del futuro che i terribili difetti dell’America appaiono, di colpo, relativi.

A che cosa assomiglierà un mondo dove la leadership americana sarà sfidata, sfiancata, forse superata, da un’egemonia della Cina? Di fronte all’idea che il nostro futuro possa essere segnato da dieci, cento, mille drammi tibetani, Zucconi sente un brivido di angoscia, e arriva a sopportare perfino i due americani obesi, inevitabili compagni di viaggio che lo soffocano nel seggiolino di mezzo dell’aereo, sgranocchiando per ore porcherie indescrivibili.

(13 ottobre 2008)

Federico Rampini, L’aquila e il pollo frittoultima modifica: 2008-10-13T19:28:00+02:00da mangano1
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