Gustavo Pietropolli Charmet, Non sparate sui nuovi adolescenti

DA la Repubblica 8.11.08
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Intervista a Gustavo Pietropolli Charmet

Non sparate sui nuovi adolescenti

In un libro dello psichiatra il sorprendente ritratto di una generazione
denigrata dagli adulti che invocano il ritorno alla cultura del castigo
Se vogliamo motivarli allo studio, bisogna aumentare moltissimo
competenza e capacità educativa della scuola
È improbabile che si riesca a sottometterli al rispetto delle regole con lo
spauracchio di inflessibili punizioni

MILANO. Non è solo un intellettuale brillante, uno studioso serissimo, un
clinico da sempre in trincea: Gustavo Pietropolli Charmet sembra il cantore di
quella generazione così enigmatica, indecifrabile, composta da I nuovi
adolescenti (secondo il titolo di un suo libro pubblicato anni fa da Raffaello
Cortina). È uno psichiatra di formazione freudiana, ha settant’anni, ha
insegnato per una vita alla “Bicocca”, è ancora attivissimo a Milano con i suoi
giovani pazienti, quelli che lui definisce tristi – con disarmante semplicità.

Di Charmet è uscito un tascabile ricco di idee inconsuete ma molto fondate,
che traccia un sorprendente identikit di questi ex bambini prodigiosi, piccoli
imperatori vezzeggiati e ora confusamente immersi nella lunga cerimonia
dell’addio all’infanzia, ormai sulla ribalta del grande teatro della crescita. È un
librino molto denso nella sua agilità, rigoroso e chiaro, destinato soprattutto ai
tanti genitori e insegnanti spesso disorientati, spiazzati, allarmati dai
comportamenti “normali” ma non per questo meno oscuri e problematici dei
ragazzi alle prese con l’età incerta, fatta di rituali bizzarri, scarti, arresti, e poi
improvvise accelerazioni: s’intitola Fragile e spavaldo. Ritratto
dell’adolescente di oggi (Laterza, pagg. 126, euro 10).

Nelle conclusioni, Charmet accenna con qualche preoccupazione alle ricette
sbrigative dell’attuale governo per il sistema al collasso dell’istruzione
italiana. Non c’è traccia di un programma ma solo la volontà – malissimo
dissimulata – di destrutturare la scuola pubblica, con quei “tagli” massicci e
indiscriminati che colpiscono un ceto sociale squattrinato e debolissimo sul
piano del prestigio sociale. Oltre alla trovata risibile del ritorno al grembiulino,
alla riedizione di un’improbabile e non richiesta vicemamma nel ruolo di
maestra unica, c’è qualcosa di più nelle intenzioni di questa cultura di destra
che osanna la semplificazione contro il culto della complessità di una sinistra
intellettuale percepita come parolaia e inconcludente. Intanto si cerca di
ristabilire nelle aule un clima fondato sulla minaccia, dal ripristino del voto in
luogo del giudizio: un numero secco per inchiodare i ragazzi alla
mortificazione di un fallimento scolastico, alla bocciatura per il 5 in condotta:
un provvedimento che non spaventerà i bulli – quelli veri, disperati e
violentissimi.

Per Charmet, e non solo per lui, gli adulti hanno da un pezzo abbandonato il
sistema educativo della colpa e oggi con affanno si chiedono se la relazione
che gli adolescenti stabiliscono con l’autorità e soprattutto con la realtà sia
adeguata. «Si sente parlare ovunque – scrive – di nuove regole da proporre ai
giovani, di “paletti” da ricollocare negli snodi cruciali della crescita… C’è
l’impressione che sia avvenuta una diserzione di tutti coloro che avrebbero
dovuto sorvegliare affinché i paletti rimanessero al loro posto e non venissero
divelti da branchi di giovani inselvatichiti». Il punto è se sia possibile
ristabilire una comunicazione con questi adolescenti limitandosi a un puro
salto all’indietro. O se questa operazione sia forse rassicurante per il bisogno
di certezze che imperversa, e però del tutto illusoria. Da qui parte la nostra
intervista con Charmet.

Si può tornare alla cultura del castigo – come se i “nuovi adolescenti”
somigliassero anche solo vagamente a quelli degli anni Cinquanta?

«Mi sembra un discorso male impostato. Una scuola che parla retoricamente
di regole, di principi, di valori ma non è capace di costruire una quotidianità
fondata sulla relazione, sulla passione per la conoscenza, sulla
partecipazione attiva – una scuola così non va bene. Per il momento si
vedono solo “tagli” e trovate di sapore demagogico: nessun progetto culturale
o di rifondazione della scuola italiana».

Sì, professore, ma in attesa di un progetto appena credibile, un po’ tutti ormai
sembrano d’accordo sulla necessità di modelli educativi più forti, più severi:
magari quelli di una volta, degli anni precedenti alla “contestazione” e al
clima permissivo che ha prodotto…

«Non importa essere favorevoli o contrari al tentativo di ripristinare il vecchio
ordine, perché comunque per poterlo fare i ragazzi dovrebbero essere
disponibili a riconoscere alla scuola un significo etico e simbolico, ma non lo
sono affatto: è del tutto improbabile che si riesca davvero a sottometterli al
rispetto delle regole con lo spauracchio d’inflessibili castighi».

Cos’è allora che si dovrebbe fare per coinvolgere di più questi adolescenti
descritti come campioni di nichilismo, senz’altro spesso indifferenti e
svogliati?

«Se vogliamo recuperarli alla motivazione allo studio – e questo sì: a me
sembra davvero uno dei problemi più gravi che abbiamo in Italia – bisogna
aumentare moltissimo la competenza e la capacità educativa della scuola:
lasciata così, non è all’altezza di uno scenario globale che proprio non
consente scelte intellettualmente pigre. Della qualità degli studi, di
un’adeguata trasmissione dei saperi, di questo si sente parlare poco e niente,
mentre prevale la tendenza temibilissima a scivolare nelle semplificazioni più
aberranti e anche pericolose perché illudono sulla possibilità di risolvere i
problemi, e invece non fanno che rimandarli e dunque sostanzialmente
aggravarli… È tutto un gran chiacchiericcio politico e anche mediatico
rassicurante per la massa degli adulti più spenti, vuoti di ideali, perfettamente
robotici».

Leggendo i suoi libri – e quest’ultimo, in particolare – sembra molto più severo
con questi adulti che con i suoi adolescenti narcisisti, fragili e spavaldi. A lei,
questi ragazzi fanno simpatia. E infatti scrive: “Chi conosce i giovani, finisce
per apprezzarli”. Lei li conosce: cosa apprezza di loro?

«A rischio di apparire buonista o anche idealizzante, non sono favorevole
alla denigrazione massiccia che subiscono questi ragazzi che invece sì, io
tendo ad apprezzare. Quando sono dentro una relazione con un adulto
abbastanza competente, sono molto etici, s’impegnano sul piano della
narrazione di sé, mostrano una grande capacità di ricognizione della loro
mente. A dispetto delle apparenze, sono affettivi: ad esempio, la loro vita di
coppia è molto più evoluta di quella degli adolescenti di un tempo, hanno un
livello di autonomia reciproca elevato, non coltivano eccessivamente il
sentimento della gelosia, magari hanno smarrito il senso della grande
passione amorosa, onirica, a vantaggio però di una certa pacatezza e
stabilità. Soprattutto hanno introdotto una pariteticità reale tra maschile e
femminile che senz’altro avrà una ricaduta sui loro rapporti più maturi, sulla
genitorialità futura, sulla vita familiare e nei rapporti con i figli… A me non
sembra poco».

Ma chi è l’adulto “abbastanza competente”. I genitori no, gli insegnanti
neppure… Sarà lo specialista, il terapeuta, uno come lei?

«No, per questi adolescenti l’adulto competente è chiunque coltivi ed esprima
una forte passione per “qualcosa”. Ecco, quando individuano qualcuno che
secondo loro va bene, in base a criteri anche difficili da decodificare, possono
esserne soggiogati. Anche un docente un po’ svitato, ma realmente
appassionato della sua materia, diventa un punto di riferimento, una risorsa.
Gli altri adulti – quelli opachi – non sono contestati, non sono avversari da
abbattere, semplicemente rimangono del tutto irrilevanti».

Lei sta parlando dei ragazzi “normali”, non proprio di quelli che indulgono
nelle varie condotte a rischio e conquistano i notiziari… Sembra invece
piuttosto preoccupato da quello che definisce il fenomeno della reclusione
volontaria: davvero può esserci il rischio di un rifugio difensivo nel mondo del
virtuale?

«Sì, credo che il virtuale possa mettere al riparo dallo sviluppo di sintomi
psichici gravi. Nessuno deve vedere l’adolescente troppo fragile per reggere
lo sguardo dell’altro, mille volte meglio restare in relazione senza corpo: è la
celebrazione della più radicale delle difese rispetto all’eventualità di
sperimentare il sentimento sociale della vergogna. Sarà allora il caso di
incoraggiare gli adolescenti a incamminarsi verso la condivisione, a non
temere i traumi e le mortificazioni. Diversamente i nostri ragazzi seguiranno le
orme dei loro colleghi giapponesi: un milione di ragazzi spariti dalla
circolazione, chiusi nella loro cameretta a comunicare on line, come in un
ospedalino da campo nelle retrovie della vita».

Gustavo Pietropolli Charmet, Non sparate sui nuovi adolescentiultima modifica: 2008-11-08T20:56:00+01:00da mangano1
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