Serena Intelisano, Volontariato e felicità

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Volontariato: quali spazi
nell’epoca del capitale?
di Serena Intelisano

In un volume edito da Meltemi
espressa la necessità di tener vivi
e riscoprire valori fondamentali

Che ruolo ha oggi il volontariato, in una società dominata da una dottrina economica che si pone come obiettivo principale quello del raggiungimento della massima utilità in termini di remunerazione? Attorno a tale quesito si muovono i contenuti delle lezioni tenute nel corso de La Scuola di Volontariato 2008, che ha avuto come tema Agire gratuito e felicità, raccolte nel libro curato da Paolo Venturi Volontariato e felicità (Presentazione di Pier Luigi Stefani, Meltemi, pp. 160, € 18,00). Il porre l’accento sul concetto di felicità indica la necessità di concentrarsi oggi sulle motivazioni che originano e orientano l’agire volontario.

La nostra società è cambiata, l’avvento della globalizzazione ha comportato l’abbattimento di barriere (culturali, economiche, sociali) e di distanze. Ma ha anche accentuato le diseguaglianze sociali, chi era ricco lo è diventato ancora di più, chi era povero si è impoverito sempre di più, ed è venuta a mancare una via di mezzo tra le due “classi sociali”. L’economia ha premiato un modello basato sulla legge del più forte, del più spregiudicato, abbandonando i più deboli. L’individualismo, l’egoismo, l’interesse esclusivo per il profitto, le forze della competizione hanno iniziato a prevalere fino a ridurre quegli spazi dell’attività economica che si reggono su tradizioni e norme sociali.

Chi è che si può contrapporre a questa logica se non il mondo del volontariato e della cooperazione? I suoi valori portanti, quali la fiducia, la capacità di fare rete, la solidarietà e la reciprocità possono risollevare le sorti della nostra società, a maggior ragione oggi che abbiamo assistito al clamoroso fallimento della società capitalistica, crollata dove meno ci si aspettava, nel cuore del capitalismo: gli Stati Uniti d’America.
Alla luce di questi avvenimenti si sente il bisogno di tornare ad una dimensione più umana, di mettere l’uomo e le sue relazioni al centro delle nostre azioni.

È Stefano Zamagni, docente di Economia Politica all’Università di Bologna e Presidente dell’Agenzia per le Onlus, ad aprire la riflessione con il suo Volontariato e bene comune. L’idea di fondo del suo intervento è che oggi il mondo del no-profit debba farsi propagatore del principio di reciprocità e della cultura della fraternità. È necessario che il no-profit non si accontenti di svolgere ruoli di supplenza delle pubbliche istituzioni se non vuole avviarsi verso una lenta eutanasia. Il volontariato può riuscirci perché la sua azione gratuita non è mera filantropia, ma è un’azione carica di significato. La differenza tra la gratuità del volontariato e la generosità del filantropo sta nel fatto che il volontario, pur non pretendendo la restituzione, non rinuncia a coltivare un interesse, ovvero l’interesse per l’altro che nasce dal desiderio del legame.
Zamagni ricorda che già Giambattista Vico aveva compreso questa idea, quando previde che «il declino di una società inizia nel momento in cui gli uomini non trovano più dentro di sé la motivazione per legare il proprio destino a quello degli altri; quando, cioè, viene a scomparire l’’inter-esse». E sottolinea, infine, come purtroppo «la nostra cultura sia talmente intrisa di economicismo che ogni qualvolta sentiamo parlare di relazione biunivoca tra due soggetti siamo istintivamente portati a leggervi un sottostante, sia pure indiretto, rapporto di scambio di equivalenti».

Il capitale sociale è l’argomento del contributo di Pierpaolo Donati, docente di Sociologia presso l’ateneo bolognese, definendolo come l’insieme di determinate relazioni che permettono a dei soggetti di mobilitare specifiche risorse, in uno stretto rapporto causa-effetto. Nel momento in cui le risorse si configurano come relazioni sociali, anziché beni materiali o beni che ammettono equivalenza monetaria, si ha il “nucleo costitutivo” del capitale sociale. Ovvero «quella forma di relazione che opera la valorizzazione di beni o servizi attraverso scambi che non sono né monetari, né politici, né clientelari, né di “puro” dono, ma scambi sociali di reciprocità».
Dal momento che nell’associazionismo la relazione sociale ha un valore in sé, diventa un “bene relazionale” (beni e servizi sono incorporati in essa, e non hanno né valore materiale né pecuniario) configurandosi quindi come capitale sociale.

Il saggio che dà anche il nome al libro, Volontariato e felicità, è stato redatto da Leonardo Becchetti, docente di Economia Politica presso l’Università “Tor Vergata”, che analizza il nesso tra l’atto del volontario e la felicità che ne consegue. Perché ciò avviene? La ragione è duplice: da una parte, c’è la soddisfazione di chi compie gesti di gratuità, e, dall’altra, il contributo che il volontariato dà per costruire una serie di beni immateriali importanti come fiducia o autostima, i quali a loro volta contribuiscono alla felicità dei beneficiari, oltre che al progresso economico e sociale.

È solo il no-profit ad occuparsi dei “beni relazionali” in quanto si tratta di beni molto fragili, che per essere realizzati hanno bisogno, come si può ben intuire, di un particolare tipo di unione di due o più individui. Nel mondo di oggi, dove il tempo “costa”, dove necessita ottimizzare la produttività economica, sempre meno gente è disposta, per motivi vari, ad investire in “beni relazionali”, che, per quanto portino felicità, non permettono di “monetizzare” il tempo speso.

Il volume, inoltre, pone anche interessanti riflessioni attraverso i contributi di Leonardo Benvenuti, Giovanni Buri, Guido Dall’Orso, Massimo Giusti, Carlo Romeo, Pier Luigi Sacco, Carlo Vimercati e quello a “sei mani” di Angelo Bergamaschi, Tiziana Mozzoni e Paolo Zoni, che si occupano di analizzare altri importanti aspetti, come il ruolo dei comitati di gestione, della pubblica amministrazione e delle fondazioni bancarie.

Risulta ben evidente, dalla lettura del libro, che il mondo del volontariato ricopre oggi un ruolo-chiave nella società, anzi potremmo addirittura argomentare che, con il “peso” della sua storia e del suo bagaglio etico, ha il dovere di promuovere i suddetti valori di mutualità, fraternità, solidarietà e fiducia. Perché il futuro dell’umanità è racchiuso nelle loro relazioni e in quei sentimenti che li differenziano da ogni altro essere vivente.

Serena Intelisano

(www.excursus.org, anno II, n. 10, maggio 2010)

Serena Intelisano, Volontariato e felicitàultima modifica: 2010-05-01T19:38:02+02:00da mangano1
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