Valerio Castronovo,Un secolo di Made in Italy

DA iL SOLE 24 ore

 

Un secolo di Made in Italy dalle officine al software

di Valerio Castronovo

 

 

juan-torre-211x300.jpg27 maggio 2010

Nella vicenda dell’industria italiana, di cui la Confindustria rappresenta da un secolo una componente rilevante, c’è una sorta di “filo rosso”. Ed è il fatto che le fasi più salienti del suo sviluppo sono avvenute nei periodi in cui, insieme a una favorevole congiuntura internazionale, hanno avuto un peso determinante, nell’ambito di libere istituzioni, sia le misure della classe politica a sostegno della crescita del sistema produttivo sia alcuni accordi fra le parti sociali.

Così è accaduto nel corso del primo quindicennio del 900, quando i provvedimenti assunti dal governo di Giovanni Giolitti dopo il risanamento delle finanze pubbliche (come la riduzione nel 1906 del tasso d’interesse e poi quella del carico fiscale sulle imprese, nonché l’incremento degli investimenti nelle infrastrutture) agevolarono il decollo industriale del nostro paese.
In questo stesso periodo, in cui venne varata anche una più adeguata legislazione del lavoro, si giunse al riconoscimento delle commissioni interne operaie e alla stipulazione tra alcune imprese metalmeccaniche e la Fiom dei primi contratti collettivi di lavoro. Fu così possibile agganciare in extremis l'”onda lunga” dello sviluppo capitalistico ed evitare che l’Italia subisse la stessa sorte di vari paesi del Mediterraneo e dei Balcani rimasti in condizioni d’arretratezza economica.

È pur vero che la sorte dell’industria italiana, dopo la grande crisi mondiale del 1929, sarebbe stata gravemente compromessa senza l’intervento del regime fascista per salvare il salvabile sia del sistema creditizio che di quello industriale, mediante la creazione dell’Iri.
Ma, di conseguenza, l’Italia di Mussolini divenne negli anni 30 seconda solo all’Unione Sovietica di Stalin per l’elevato grado di statizzazione (temporanea o meno che fosse) della sua economia. E se alcuni gruppi privati riuscirono a sopravvivere grazie alle loro posizioni oligopolistiche, la Confindustria fu commissariata e la nomina del suo presidente venne a dipendere dal duce.

Se dopo una guerra disastrosa l’economia italiana riuscì a risorgere, ciò fu dovuto non solo agli aiuti americani, ma a un grande sforzo collettivo, all’aspirazione degli italiani, al di là delle aspre divisioni politico-ideologiche di quel periodo, di tornare padroni del proprio destino. Risultò importante a questo riguardo, insieme all’opera di statisti come De Gasperi ed Einaudi, nonché del governatore della Banca d’Italia Menichella, la convergenza di fatto fra il presidente della Confindustria Angelo Costa e un leader sindacale come Giuseppe Di Vittorio, quali interpreti, ognuno nel proprio ruolo, della profonda volontà di riscatto che animava il paese.

Fu così possibile realizzare una rapida ricostruzione e porre anche le premesse del “miracolo economico” degli anni 50-60 e del nostro ingresso nel Mercato comune europeo. Ciò che consentì alla grande industria del Nord-Ovest di avvalersi dell’apporto di tanti immigrati dal Sud in cerca di lavoro e di un migliore tenore di vita per le proprie famiglie.
Ma è anche vero che fino ad allora la dinamica dei salari era rimasta largamente inferiore a quella della produttività. E che la politica di programmazione inaugurata dal centro-sinistra non era giunta a conseguire alcuni obiettivi d’interesse collettivo che pur si prefiggeva. Di qui il rincaro, sulle ali della speculazione, dei generi alimentari e dei canoni di locazione, nonché la scarsità di vari servizi pubblici. E, di conseguenza, la riduzione del potere d’acquisto della classe lavoratrice e una trafila di disagi sociali.

In pratica, sarebbe trascorso da allora oltre un decennio prima che si uscisse fuori dal tunnel dell’emergenza, fra una microconflittualità endemica nelle fabbriche, una spirale perversa fra stagnazione e inflazione (dovuta anche a due vertiginosi rincari del petrolio e delle materie prime) e le incursioni del terrorismo. Eppure, parve allora che potesse decollare un “patto dei produttori”, contro rendite di posizione e politiche clientelari, quale s’era delineato negli incontri fra Gianni Agnelli e Luciano Lama. E che avesse poi maggior fortuna il tentativo di Guido Carli, chiamato nel 1976 alla presidenza della Confindustria, di allentare la morsa dei “lacci e lacciuoli” che rischiavano di soffocare il sistema produttivo.
Di fatto, se le operazioni di ristrutturazione aziendale dei principali complessi e la diffusione di tante piccole-medie imprese concorsero successivamente, negli anni 80, a rilanciare le potenzialità dell’industria italiana, fu tuttavia il nodo del risanamento finanziario, quale “vincolo esterno” per corrispondere al trattato di Maastricht, a ricomporre in unità d’intenti classe politica, Confindustria e sindacati. Ciò che avvenne con l’intesa siglata nel luglio 1993 fra le parti sociali, con la regia del governo Ciampi. Poiché essa rese possibile l’avvio di una politica dei redditi e successivamente nel 1997 una dura manovra finanziaria per allinearsi ai requisiti richiesti per l’ingresso nella zona dell’euro.

Oggi c’è da augurarsi che si possa giungere a una nuova convergenza trilaterale. Occorre infatti misurarsi con le sfide cruciali imposte sia da uno scenario economico multipolare, sempre più interdipendente e mutevole, sia dalle pressioni dei mercati finanziari sull’euro e i paesi più indebitati della Ue. E se è d’obbligo una politica di rigore, altrettanto efficace che equa, è anche vero che essa va coniugata con adeguate riforme strutturali, essenziali per una crescita dell’economia reale. Ciò che sia la Confindustria che le centrali sindacali auspicano in buona sostanza, per lo sviluppo di un sistema-paese più efficiente e competitivo ma anche più saldo e coeso socialmente.

Valerio Castronovo,Un secolo di Made in Italyultima modifica: 2010-05-27T14:13:03+02:00da mangano1
Reposta per primo quest’articolo