Aldo Giannuli, Perchè la corruzione

da www.aldogiannuli.it

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Per capire il perchè della corruzione in Italia.6. Anni 2000: iper corruzione finanziaria.

Dopo le turbolenze del periodo 1992-1996 il sistema politico trovava un suo assestamento con nuovi partiti e schieramenti politici. Per la verità, la promessa di governi stabili di legislatura –che il sistema elettorale maggioritario avrebbe dovuto garantire- è stata sostanzialmente mancata: in  16 anni, dal 1994 ad oggi, si sono succeduti 9 governi  di durata media di circa 515 giorni per uno, considerato che nel periodo della prima repubblica la durata media fu di 352 giorni, siamo ad una maggiore durata che resta molto al di sotto dei 1.825 giorni che dovrebbe avere un governo di legislatura. In compenso, è cresciuto in modo esponenziale l’indice di distorsione del sistema elettorale, per cui il nostro Parlamento è uno dei meno rappresentativi del Mondo democratico: la coalizione di centro destra con circa il 45%  sul totale dei votanti (ed il 36% sul totale degli elettori) si è aggiudicato il 54% dei seggi, mentre 3 milioni e mezzo di elettoti ( il 9% circa dei votanti) è restato completamente privo di rappresentanza parlamentare.

Ma qui rilevano di più altri aspetti. Le riforme elettorali (e la legislazione di contorno) avrebbero dovuto avere anche un’altra serie di effetti collaterali come la riduzione del costo delle campagne elettorali e l’eliminazione del fenomeno del fazionalismo interno ai partiti (le deprecate correnti). Per la verità anche su questo piano i risultati sono stati assai diversi dalle aspettative: per quanto riguarda il costo delle campagne c’è stata effettivamente una riduzione del costo delle campagne individuali dei candidati (in particolare con l’ulteriore riforma elettorale del 2005 che ha istituito il sistema delle “liste bloccate”) ma l’effetto è stato ampiamente compensato e sopravanzato dal forte aumento del costo per i partiti. Peraltro, lil voto di preferenza è rimasto nelle consultazioni comunali, regionali ed europee dove, ancora, il costo di una campagna “vincente” resta decisamente alto anche a causa delle nuove forme di comunicazione politica. Infatti, la propaganda elettorale ha introdotto modalità assai costose: dagli spot televisivi e radiofonici ai manifesti 3×6 e il tutto è curato da agenzie pubblicitarie che vengono pagate molto profumatamente.

D’altra parte, il crollo dei tassi di militanza ha indotto i partiti a servirsi di personale avventizio pagato per attività prima svolte a titolo gratuito da iscritti ed attivisti: dalle  feste di partito al semplice volantinaggio, dall’affissione dei manifesti  alla raccolta delle firme per referendum  e presentazione di liste per le quali si fa sempre più ricorso alle agenzie interinali. Ed è anche emerso che, in qualche occasione, anche i partecipanti a grandi manifestazioni di partito (in particolare grandi appuntamenti nazionali) ricevono qualche piccolo “gettone di presenza”.
Nello stesso tempo, a latere del personale politico funzionariale e di quello elettivo, è comparsa una terza figura professionale del ceto politico: quello dei consulenti (sondaggisti di opinione, pr, ghost writer, commercialisti, avvocati, psicologi incaricati di “motivare la squadra” di una qualche giunta, esperti di organizzazione del lavoro o di urbanistica ecc.) pagati a prestazione dal singolo partito o, indirettamente, da una qualche pubblica amministrazione ma su input politico. Spesso sono questi i  compensi più rilevanti che spesso nascondono qualche tangente

Nè si può trascurare la tendenza al vertiginoso aumento dei compensi istituzionali: ormai sono  retribuiti anche i consiglieri di circoscrizione o di zona, mentre gli stipendi degli assessori regionali ammontano a molte decine di migliaia di euro all’anno ed, in alcun casi, raggiungono le centinaia di migliaia. Anche gli stipendi dei funzionari di partito hanno subito una levitazione: negli anni ottanta, gli stipendi del personale dei partiti (in verità più numeroso di ora) avevano come parametro di riferimento quello del personale direttivo di livello medio/medio-alto della pubblica amministrazione. Con l’affermarsi dei nuovi partiti il parametro è diventato piuttosto quello di un dirigente di azienda di  media ampiezza. Tutto questo ha abituato il ceto politico allargato (rappresentanti istituzionali, amministratori, funzionari e consulenti) ad un livello di vita molto dispendioso difficilmente mantenibile senza la carica politica. D’altra parte, se, per i singoli esponenti politici, i  congressi di partito ed (in parte) le campagne elettorali  non sono più l’onere gravoso di un tempo, è però vero che,  non di rado, essi sono chiamati a concorrere alle spese di partito  (magari con il meccanismo dei “cene di autofinanziamento” che possono costare anche 10 o 15.000 euro per una occasione). E, comunque, sussiste sempre la necessità di mantenere un apparato personale per reggere la concorrenza dei rivali di partito (segreteria, circoli, associazioni sportive ecc.).
Infine, la diversa selezione del ceto politico, gli elevatissimi compensi, la precarietà strutturale dovuta al tasso di ricambio parlamentare indotto dal maggioritario,la caduta dei tassi di militanza ed il carattere  “pragmatico” dell’attuale impegno politico hanno fortemente incoraggiato pratiche di arricchimento personale, anche per far fonte ai periodi susseguenti ad una mancata rielezione.
Dunque, nel complesso, i costi della politica non sono affatto diminuiti, anzi sono ulteriormente cresciuti e non di poco.

Conseguentemente, la propensione a pratiche tangentizie è andata di pari passo, così come le trasformazioni più generali del fenomeno corruttivo sono corrisposte alle trasformazioni del sistema politico.
La spiccata prevalenza dell’esecutivo sul legislativo, la scomparsa dei partiti di partecipazione, sostituiti da partiti di natura “patrimoniale” o di tipo leaderistico, hanno prodotto una forte spinta alla centralizzazione politica, per cui i centri di imputazione del potere decisionale sono diventati sempre più rarefatti ed inaccessibili. E questa tendenza è stata ampiamente esaltata in particolare dal passaggio a sistemi eletorali altamente disrappresentativi –come dicevamo poco prima- che hanno avuto l’effetto di “blindare” le forze politiche esistenti, scoraggiando eventuali sfide innovatrici, contribuendo, nello stesso tempo, a rafforzare il potere dei vertici di partito nei confronti dei livelli subordinati del ceto politico: il sistema feudale si è trasformato in monarchia assolutista.
Parallelamente, la corruzione è andata strutturandosi su più livelli, corrispondenti ai diversi accessi al potere decisionale, accentuando le tendenze già presenti dagli anni settanta e portando alle estreme conseguenze il carattere sistemico della corruzione.
Al livello più basso –grosso modo coincidente con quello degli enti locali minori- c’è ancora un’area (tutto sommato residuale) delle consuete pratiche tangentizie su forniture, appalti edilizi per opere minori e prestazione di servizi. A questo livello persiste anche la collusione con il personale dell’amministrazione.
Ad un livello intermedio (regioni ed enti nazionali di minore peso) l’illecito si concentra in particolare sulla sanità (che è il capitolo di spesa più rilevante per ogni amministrazione regionale) come dimostrano i frequenti scandali in materia.
Al terzo livello (governo, grandi enti di Stato, autorità di controllo in particolare nel settore bancario) i ripetuti scandali degli ultimi anni segnalano una forte predominanza del settore bancario-finanziario (ricordiamo appena i casi Antonveneta, Bnl, Pamalat ecc.), nelle grandi opere e nel settore delle Telecomunicazioni (si pensi al caso Telecom e, più recentemente Fastweb).
Da questo punto di vista, è sintomatica la sintonia con quanto accade in altri paesi: si pensi alla similarità fra caso Parmalat e caso Enron, per fare un solo esempio. Tutto ciò riflette le innovazioni indotte dalla globalizzazione e dalla correlata ideologia neo liberista: deboli controlli statali, forte libertà di movimento dei capitali, moltiplicazione del rischio da “capitale fittizio”, centralità della moneta e prevalenza del capitale finanziario su quello industriale, tendenziale fusione fra ceto élite finanziaria ed élite politica.

Conclusioni provvisorie:

Un po’ più di un mese fa, Ernesto Galli Della Loggia ha scritto un articolo sul tema della corruzione, nel quale giungeva sconsolato alla conclusione che Mani Pulite era fallita e che la corruzione è un male endemico nel nostro paese perchè qui è troppo poco radicato il senso civico, non c’è cultura delle istituzioni e della legalità ecc. Insomma: il problema dell’Italia è l’Italia, anzi, questi incorreggibili italiani. L’osservazione non è priva di fondamento ed anzi ha dalla sua forti premesse come la mancata riforma protestante nel nostro paese, il prevalere delle ideologie particolaristiche (anzi “particularistiche”, direbbe Guicciardini), ma ha il difetto di una eccessiva unilateralità che preclude la comprensione delle dinamiche più profonde del fenomeno. Il problema è l’Italia, certo, ma non tanto per ragioni di carattere culturale (che pure ci sono) quanto riferiti alla struttura sociale del paese che non ha mai operato una vera rottura rispetto all’epoca pre-moderna.E su questo si innesta oggi la ventata neo liberista foriera di nuove forme di arricchimento illecito. E non sembra che nella società calvinista degli Usa le cose vadano granchè meglio. Anzi… (ma a questo orecchio il valente opinionista del “Corriere della Sera” non sente).
La persistenza del fenomeno corruttivo in questo paese  (al di là della grande varietà di forme e soggetti che si succedono nel tempo) indica che  si tratta di qualcosa che ha a che fare con le strutture profonde della società italiana di cui particolarismo e tendenziale anomia sono solo il sintomo, ma non la malattia.

Aldo Giannuli

Aldo Giannuli, Perchè la corruzioneultima modifica: 2010-07-08T16:12:30+02:00da mangano1
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