Gaetanina Sicari Ruffo,Elio Vittorini e il sogno di un rinnovamento

Elio Vittorini e il sogno
di un rinnovamento
di Gaetanina Sicari Ruffo

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Aperture internazionali e radici:
una convergenza di prospettive
per un riscatto civile e morale

Che lo scrittore siciliano Elio Vittorini si sia interessato prima dell’America e poi della Sicilia è acclarato [1]. Dopo una serie di traduzioni di capolavori di scrittori statunitensi quali Caldwell, Faulkner, Poe e Steinbeck, pubblicò presso Bompiani, nel 1941 (lo stesso anno di Conversazione in Sicilia), l’antologia Americana [2]. Ciò evidenzia quanto i due luoghi, così lontani tra loro, furono invece vicini alla sua attenzione ed alla sua analisi perché rappresentavano il sogno l’uno, la realtà l’altro, due aspetti fondamentali del suo carattere e della sua cultura: l’idealità degli eroici furori e la concretezza quotidiana fatta di dure esperienze e di vibranti proteste. Questi due elementi rimasero come due poli fondamentali a cui Vittorini fece costante riferimento nel difficile compito che si era prefissato della rigenerazione della nazione italiana.

La corrispondenza con Hemingway
Prova ne è il fatto che la persona a cui spiegò i motivi della rottura con i compagni del Partito Comunista, in seguito alla polemica con Togliatti sul Politecnico, fu Hemingway. Ciò si evince dal secondo volume dell’epistolario [3], e in particolare dalla lettura della lettera, diversa da tutte le altre e sufficientemente documentata, che contiene un condensato della sua autobiografia che per nessun motivo Vittorini avrebbe così autenticamente sviscerato ai suoi lettori. La missiva ha infatti un carattere privato e testimonia la speciale amicizia e l’aperta stima che egli nutriva per lo scrittore americano, il quale rappresentava, più che la via del sogno, l’immedesimazione dell’abbandono e della confidenza, rispetto alle composizioni riservate al pubblico, intrise di ufficialità programmata e per questo, generalmente, di tono molto distaccato. Gli confidava qual era stato fin dal primo momento della sua attività culturale il suo rapporto con la politica, tema molto delicato su cui era stato sempre riservatissimo:

«Ho cercato di convincere i politici a riconoscere che se una parte della cultura (la divulgativa, la giornalistica, l’applicata, l’arte nella sua accezione minore) lavora direttamente per la civiltà e può come tale piegarsi alle esigenze politiche, un’altra parte della cultura (la cultura nel suo senso maggiore, e specialmente la poesia, le arti) lavora principalmente per la verità, per la ricerca della verità e non può dunque assecondare le esigenze immediate della politica, senza il rischio di perdere ogni senso ed ogni valore. I politici mi hanno risposto riconfermando la loro consueta concezione strumentalista della cultura, così io ho considerato fallito il mio tentativo ho mandato al diavolo la mia rivista [si riferisce alla sua direzione del Politecnico dal 1945 al 1947, Nda] e non m’interesso più di politica che nella misura minima d’un cittadino qualunque che esercita il suo diritto di voto» [4].

Parole di alta dignità morale che si commentano da sole, anche per il particolare momento storico cui si ricollegano, caratterizzato da una forte unità degli intellettuali chiamati ad assolvere una precisa funzione sociale. Qui le citiamo non tanto per analizzare quella difficile congiuntura, quanto per capire il senso della lontana proiezione dello scrittore in quella America nella quale intendeva riflettersi con totale e giovanile fiducia. Questa idealizzazione dunque non fu solo un espediente artistico-retorico per rinnovare l’interesse di un orizzonte letterario giunto al capolinea, ma qualcosa di più: essa testimonia un intreccio di tensioni umane che coinvolgevano lo scrittore siciliano emotivamente oltre che razionalmente, l’affermazione di una identità che egli voleva proiettare oltre lo spazio nazionale e provinciale. A detta di Pavese, che condivise il suo entusiasmo, l’America «era il gigantesco teatro dove con maggiore franchezza che altrove veniva recitato il dramma di tutti […]. La cultura americana ci permise in quegli anni di vedere svolgersi come su uno schermo gigante il nostro stesso dramma» [5].

La moda dell’americanismo
Il riferimento agli Stati Uniti prendeva nella letteratura il posto del Decadentismo Francese e consentiva un più vasto panorama di riferimenti per esaltare i temi della libertà e dell’innocenza, in opposizione al cupo pessimismo e alla tragedia del periodo fascista. L’idea di una nazione rinnovata era a fondamento di questa scelta, come pure l’entusiastico desiderio di un nuovo modo di fare letteratura che s’intrecciasse con lo studio della società e ne fosse poi un tutt’uno. Lo richiedeva il momento storico che tendeva all’individuazione di una via di riflessione e di analisi fuori dai consueti cliché. Infatti fu solo una stagione, ma fervida di indicazioni e sviluppi, anche per guardare oltre i salotti delle élites borghesi. L’americanismo si diffuse poi anche in altri campi, nel cinema e nel giornalismo, specie in alcune riviste come Solaria, Letteratura, Cultura, Omnibus, quest’ultima fondata da Leo Longanesi.

Sicilia come salvezza
Diversa fu invece la rappresentazione della Sicilia, che costituì per Vittorini il naturale retroterra dentro il quale si sviluppò e si delineò tutta la sua articolata parabola di scrittore impegnato. Da Conversazione in Sicilia fino a Le donne di Messina del 1964 c’è un lavoro creativo di scavo su quello che l’isola rappresentava per lui, lavoro che appare sì grumoso e travagliato, ma denso di vita ritrovata, concreta e grave. Nel ritorno in Sicilia, intesa da Silvestro, protagonista di Conversazione, come il centro del mondo, prevale di più la funzione mitica dei luoghi e dei personaggi, che sembrano come sospesi in un allegorico colloquio con immagini di astratte idealità, ma poi via via lo scrittore si libera dell’urgenza di una poetica universale fino a lasciar parlare nel romanzo incompiuto Le città del mondo [6] le cose e gli eventi temporali come in una serie di flashes. Costante è il suo interesse per la sua terra natale, cui non ha mai riservato una posizione di privilegio rispetto al resto d’Italia, ma che ha ritratto sofferente ed afflitta da mali secolari come la povertà, l’arretratezza, attraversata però da una grande tensione sociale e da un forte desiderio di riscatto.

Il tema stesso del viaggio, non deve essere letto come il rinnegamento delle radici, che rimangono saldissime in quel territorio, ma conferma la volontà della ricerca di una libertà incondizionata e di una rifondazione dei valori di cui l’autore avverte la necessità, come anche nel nostro tempo ribadisce il coraggioso scrittore Saviano, autore di Gomorra. L’attualità di Vittorini sta proprio in quel tentativo di voler fare quanto ancora riesce difficile: scuotere le coscienze dei contemporanei tutti, senza particolari distinzioni di estrazione o di classe, e tentare strade diverse che però conducano ad un progresso civile. La ricerca della salvezza però non si configura come abbandono al flusso del reale, ma come disciplina della mente applicata sempre a trovare soluzioni possibili per migliorare le condizioni di vita.

Quale il messaggio?
Alla legittima domanda su quale sia il messaggio complessivo di Vittorini non si può che rispondere: lavorare e resistere, vivere e pensare. Il segreto del miracolo della sua creazione per cui ancora il suo ricordo non ci abbandona, sta proprio in questa sua lucida diagnosi di forte coscienza critica che auspica il dialogo tra le classi sociali, lo sviluppo della scienza e dei suoi mezzi innovativi, un nuovo umanesimo che non respinga la tecnologia, l’accordo che resta sempre molto problematico tra potere e cultura e l’istanza difficilissima di trasformare i problemi in risorse competitive. Lo sperimentalismo linguistico di cui tanto si è discusso ha un’importanza relativa rispetto alla grande carica di umanità di cui la letteratura deve farsi portatrice, se vuole incidere nell’ambito della conoscenza. Il suo Uomini e no, incentrato sulla Resistenza, è un testo di forte impatto emotivo che nulla concede ad artistiche sovrastrutture, ma lega la vita alla morte in una drammaticità urlata ed aperta. Passione e razionalità convivono insieme in un’ottica che contempla ampie visioni del mondo e rivela nel contempo una robusta disponibilità interpretativa nella disamina della realtà quotidiana.

Nessun altro scrittore neorealista assomiglia a Vittorini. Egli infatti non si limitò a narrare con lucidità i difficili momenti dell’incerto cammino del periodo postbellico, ma volle essere più che testimone, interprete e critico, interlocutore di tutta l’organizzazione culturale italiana che tendeva a riallacciare i contatti con gli altri Paesi Europei ed extraeuropei, da cui per tanto tempo era rimasta separata.
Ancora oggi la sua vocazione alla libertà d’espressione e di ricerca del vero è un solco che non può essere trascurato.

Gaetanina Sicari Ruffo

NOTE BIBLIOGRAFICHE

[1] Il primo approccio di Vittorini alla letteratura americana avvenne nel 1933 con un saggio su Melville. Conversazione in Sicilia uscì nel 1941 in un’edizione numerata di 350 copie, mentre le prime traduzioni comparvero nel 1935 con i racconti di D. H. Lawrence.
[2] Americana subì la censura fascista nel 1941: si procedette a cancellare le note critiche di Vittorini.
[3] Cfr. ELIO VITTORINI, Gli anni del «Politecnico». Lettere 1945-1951, a cura di CARLO MINOIA, Einaudi, Torino, 1977, pp. 230-235. La lettera a Hemingway è del marzo 1949.
[4] Ivi, p. 234.
[5] Cfr. CESARE PAVESE, Ieri ed Oggi in La letteratura americana ed altri saggi, Einaudi, Torino, 1951 (con una Prefazione di Italo Calvino).
[6] Iniziato nel 1952 dopo La Garibaldina, fu interrotto nel 1955 per la morte del figlio Giusto. Fu pubblicato postumo nel 1969. Era un romanzo “scenico”, scritto su sollecitazione di Nelo Risi che lo realizzò più tardi, dopo la morte dello scrittore, per la televisione. Narra la storia del calzolaio Matteo che intraprende un viaggio insieme al figlio Nardo alla ricerca d’un mondo migliore, ma scopre che non esiste una realtà diversa da quella già conosciuta in Sicilia. A giudizio del critico Sergio Pautasso è un testo che può competere e per alcuni tratti superare addirittura Conversazione.

Ps: Nell’immagine, la copertina del volume dei Meridiani Mondadori dedicato a Le opere narrative di Elio Vittorini (1974)

(www.excursus.org, anno II, n. 12, luglio 2010)

Gaetanina Sicari Ruffo,Elio Vittorini e il sogno di un rinnovamentoultima modifica: 2010-07-09T16:29:58+02:00da mangano1
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