M.Belpoliti, La rivoluzione dei jeans sdruciti

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La ragazza che mi viene incontro sul marciapiede indossa un paio di calzoni di colore verde intercalati da una serie fitta di strisce orizzontali rosa. Quando è oramai vicinissima mi rendo conto che le strisce sono dei tagli nel tessuto attraverso cui s’intravede la carne sottostante. Due giorni dopo, incrocio una donna matura: ha i medesimi tagli in un paio di fuseaux di colore nero. Una nuova moda? Da diversi anni, in particolare tra i giovani e i giovanissimi, si è diffusa la consuetudine di realizzare a bella apposta tagli orizzontali sui jeans.

All’inizio, probabilmente, era il tessuto logoro che cedeva, e i ragazzi li continuavano a indossare ugualmente. Una forma di provocazione, di spregio, verso il bon ton. Negli anni Ottanta i primi a farlo sono stati i punk; poi la consuetudine si è diffusa, ed è stata catturata dalle varie griffe che ci hanno marciato. I jeans, prima ben stirati e cuciti, sono stati stropicciati a bella posta, o tagliati all’altezza delle cosce.

Lo scopo era quello d’invecchiare deliberatamente i capi di abbigliamento. Il filosofo Günther Anders già negli anni Ottanta aveva notato in un suo libro, «L’uomo è antiquato», questa moda d’immettere sul mercato calzoni «riparati» con toppe e cuciture, un modo per anticipare la loro «vita breve».

Paradossalmente, scriveva il filosofo tedesco, i blue jeans sono stati sempre prodotti con una stoffa di qualità scadente, soprattutto quando erano il vestimento dei lavoratori manuali, operai e contadini americani. Nel momento in cui diventano un capo di moda vengono anche sfrangiati, slavati, stropicciati, rattoppati, tagliati, per simulare il vecchio.

Per quale ragione? Anders si rispondeva: i jeans sono i calzoni dei ribelli, dei contestatori, dei dissacratori: portatori dei jeans di tutto il mondo unitevi! In questa foggia, che simula di essere vecchia, usurata, scriveva il filosofo tedesco, c’è qualcosa di conservatore. Oggi possiamo dire, col senno di poi, che si tratta della «rivoluzione conservatrice» della moda: cambiare sempre per non cambiare mai. I jeans indossati negli anni Settanta e Ottanta dai ragazzi, e non solo da loro, funzionavano come un’affermazione d’uguaglianza: «We are the people». Ora l’artificialità è diventata uno stile: «Yes, we can»

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