di Eleonora De Concliliis. da LIBERAZIONE, 28 febbraioUn anno fa la morte del filosofo francese. A lui sarà dedicata una giornata di studi a Napoli. Un’occasione per rompereil silenzio su questo intellettuale, a lungo trascurato. Forse perché antiaccademico o troppo lontano dal nostro provincialismoJean Baudrillard, scomparso esattamente un anno fa, è stato uno dei pensatori francesi più originali del secondo dopoguerra. I suoi testi, sin dalla fine degli anni Sessanta, hanno scandito la riflessione sociologica sulla nostra contemporaneità: da Il sistema degli oggetti (1968) e Per una critica dell’economia politica del segno (1972), fino a Le strategie fatali (1983) e Il delitto perfetto (1995), passando per Della seduzione (1979) ed il fondamentale Lo scambio simbolico e la morte (1976).Eppure, dopo la relativa fortuna del suo pensiero tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, così come dopo l’ondata di commemorazioni più o meno emotive elaborata da amici (e nemici) all’indomani della morte, e fatta salva qualche sporadica iniziativa dei pochi specialisti in circolazione, in Italia su Baudrillard si scrive – quindi si parla – assai poco. Immaginiamo che ciò non sia dovuto alla sua scarsa incidenza teorica, quanto piuttosto alla sua inclassificabilità radicalmente anti-accademica, così lontana da un certo provincialismo culturale italiano, e forse anche al fatto che Baudrillard, esattamente come Foucault e a dispetto della nota critica che elaborò contro di lui (Foucault come teorico di un potere ormai inesistente e, insieme a Deleuze e Lyotard, prigioniero del desiderio e della produzione), concepiva la filosofia come giornalismo radicale: in una tarda intervista, Foucault ha detto: «Se vogliamo essere padroni del nostro futuro, dobbiamo porre fondamentalmente la questione dell’oggi. Perciò la filosofia è, per me, una specie di giornalismo radicale». Ebbene, Baudrillard stava sempre sul pezzo, come dimostrano, ad esempio, la sua lettura a caldo dell’11 settembre o gli articoli sulla rivolta nelle banlieu parigine; e non a caso il suo libro forse più ambizioso, Lo scambio simbolico e la morte , rappresenta un gigantesco corpo a corpo con Foucault sui temi del potere, del sesso, della psicoanalisi e dell’economia.È dunque nella speranza di rendere omaggio a questo ormai sempre più raro spirito capace di elaborare una “ontologia dell’attualità”, che si apre il 6 marzo a Napoli, a un anno dalla morte del pensatore francese, la giornata di studi organizzata dalla rivista di filosofia on line Kainos (www.kainos.it) e sostenuta dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Per illustrarne il senso, vorrei accennare brevemente al titolo, “L’Occidente allo specchio”, utilizzando l’immagine emblematica scelta per la locandina: le torri gemelle del World Trade Center di New York. Com’è noto, Baudrillard ha fornito un’analisi spietata dell’attacco alle torri gemelle (cfr. Lo spirito del terrorismo e Power Inferno ); ma già venticinque anni prima, le due torri avevano catturato il suo sguardo; proprio nello Scambio simbolico e la morte si legge questo passo, direi, profetico: “perchè ci sono due torri al World Trade Center di New York? … il fatto che ve ne siano due identiche significa la fine di qualsiasi concorrenza [tra grattacieli], la fine di qualsiasi referenza originaria … Affinchè il segno sia puro, occorre che si raddoppi in se stesso: è il raddoppiamento del segno a mettere veramente fine a ciò che esso designa [e qui c’è un significativo paragone con Andy Warhol, che realizza con la serie la fine dell’originale e la morte della rappresentazione]. Le due torri del World Trade Center sono il segno visibile della chiusura d’un sistema nella vertigine del raddoppiamento … e tuttavia significano un arresto della verticalità … si specchiano l’una nell’altra e culminano in questo prestigio della similitudine, [ma allo stesso tempo] sono cieche, non hanno più una facciata. Qualsiasi referenziale di abitazione, di facciata come viso, di interno e di esterno … è cancellato … scompare la retorica dello specchio”, cioè della possibilità dell’immagine di riflettere una realtà. È esattamente questa scomparsa, ciò su cui cerca di lavorare il titolo della nostra iniziativa. Baudrillard ha fluidificato la struttura del rispecchiamento: per lui l’immagine non è il riflesso del reale, perchè questo assume un carattere fantasmatico, illusorio, immaginario, rendendo indecidibile, ad esempio per il soggetto che guarda l’oggetto e se stesso nello specchio, l’indicazione dell’originale. L’unica cosa che resta è lo specchio medesimo, la sua funzione riflettente e allo stesso tempo nullificante, perchè ormai priva di referenzialità oggettiva. E in quanto lo specchio fagocita sia il suo “fuori” – il reale – che il suo “dentro” – l’immagine riflessa -, la metafora può essere applicata all’analisi che Baudrillard ha elaborato della civiltà occidentale. Da un lato, l’Occidente si riflette in uno specchio che esso stesso ha costruito: lo specchio (narcisistico) del virtuale, dell’economia globale e della globalizzazione mediatica, ma ne viene letteralmente risucchiato: non sa più qual è il riflesso e quale l’originale, il reale. Allo stesso tempo, la mondializzazione riassorbe in sè quelle esperienze dell’alterità che, sia attraverso la colonizzazione, sia attraverso i processi politici rivoluzionari interni all’Europa, avevano articolato la dialettica identitaria del rispecchiamento come rovesciamento. Non si può più, come sognava di fare il popolo delle fiabe, tornare al di qua dello specchio (fare la rivoluzione), poichè si è esiliati nell’immagine – resi trasparenti dal vetro sottile dello specchio – ma soprattutto perchè non c’è più una realtà a cui tornare – forse, direbbe Baudrillard, non c’è mai stata. L’Occidente ormai è il suo specchio, cioè servo e padrone di se stesso, medesimo e altro, ipertroficamente sdoppiato. La sua superficie apparentemente fantasmagorica, ma in realtà piatta, uniforme e opaca, blocca ogni possibilità di scambio simbolico …fino, appunto, all’evento catastrofico dell’11 settembre, che a Baudrillard sembrò distruggere lo specchio: rimettere in moto lo scambio simbolico restituendo un ruolo violento e mortale all’alterità. Di questo si discuterà nel corso della giornata di studi.D’altra parte, lo specchio funziona come metafora dell’operazione teorica che lo stesso Baudrillard ha compiuto nei confronti di questa situazione. Egli si muove continuamente attraverso lo specchio. La sua produzione può essere letta come superficie speculare – non solo aforismatica, ironica e decostruttiva (nietzscheana), ma anche sistematica e lessicale, cioè “marxiana” (soprattutto negli anni ’60 e ’70) – capace di riflettere e scomporre, come in un prisma, la civiltà occidentale e la struttura del tardo capitalismo. Il pensiero di Baudrillard è cioè esso stesso uno specchio capace di catturare l’immagine segreta dell’Occidente, la sua deformità rimossa, il suo desiderio del Male. Ma si tratta di uno specchio rotto: Baudrillard rinvia all’Occidente la propria immagine capovolta, frantumata, rimpicciolita o imbruttita – malefica – rispetto a quella che ad esempio i media elaborano per fagocitare e ‘clonare’ la realtà. Se la specularità del virtuale dissolve la differenza tra oggetto e immagine riflessa, il pensiero di Baudrillard tende a mostrare il lato insopportabile di questa dissoluzione, le sue crepe, le sue rughe, la sua banale mostruosità ma anche la sua inquietante, fatale bellezza. La bellezza, appunto, delle torri gemelle.28/02/2008
Baudrillard, il reale è morto.C’è solo l’immaginario
Baudrillard, il reale è morto.C’è solo l’immaginarioultima modifica: 2008-02-29T01:13:41+01:00da
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