Giorgio Conconi, Edith,l’altra voce del mio 68

33074a642304c997952b4fef024bb366.jpg
Giorgio Conconi
Edith,l’altra voce del mio 68
dal CORRIERE DELLA SERA ,domenica 27 Aprile

«L’ altro giorno – mi confida Angelo, l’ amico clochard – in Largo Richini, fra gli studenti, ho incrociato una signora della mia età con una bambina per mano. Abbiamo indugiato con gli sguardi, la signora e io. Poi ognuno per la sua strada. Una cinquantina di metri e la memoria mi ha dato un forte scossone. Era Edith, la voce del ‘ 68, come la chiamavamo all’ università. Minuta, ma dotata di un’ energia incredibile, aveva una voce forte e suadente. Nelle assemblee quando si alzava per parlare era l’ unica a ottenere il silenzio di tutti. Non è che dicesse cose nuove o straordinarie. Dopo i primi mesi non c’ era nulla da aggiungere. C’ erano soprattutto la piazza, la gioia di essere liberi, di non chiederci chi eravamo, quali fossero le nostre famiglie. Respiravamo la speranza di una società più giusta, come solo a quell’ età si sa fare. Ma era la voce di Edith a dare certezza e vigore alle cose risapute. Eravamo entrambi iscritti a Filosofia e con spontaneità ci trovavamo sempre vicini di posto alle lezioni e alle assemblee. Fu così che quando dopo qualche settimana mi invitò a casa sua, mi sembrò del tutto naturale. Due locali all’ ultimo piano di una vecchia casa di Porta Venezia. Mi aspettavo sulle pareti i ritratti di Che Guevara o di Marx o, che so, la riproduzione del Quarto Stato. Invece nulla di tutto questo. Pareti bianche come se aspettassero qualcosa. Cenammo come se fossimo sempre vissuti insieme. Dopo volle sentire un po’ di musica. Amava Edith Piaf. Ma la voce della mia compagna era ancora più appassionata. Fu una notte dolcissima. Ci addormentammo quando già la luce del nuovo giorno filtrava dagli scuri. Mi svegliai per primo. La vita mi apparve bella. Andai nella cucina d’ angolo. Preparai il caffè, trovai delle brioche e sistemai il tutto su un vassoio. Avremmo fatto colazione insieme. Quando entrai nella stanza. Edith dormiva ancora, sorridendo. Ebbi un flash del nostro futuro in quei due locali, in attesa di un mondo che sarebbe stato migliore, ma che già intuivamo lo sarebbe stato per qualcuno soltanto. Tornai sui miei passi, feci colazione da solo e a piedi nudi me ne andai. È da allora che non metto più le scarpe». E il clochard ha una risata che vorrebbe essere allegra. Non ho parole. «Chissà – mi dice lui – forse non sarei dovuto fuggire».

Giorgio Conconi, Edith,l’altra voce del mio 68ultima modifica: 2008-04-28T15:32:54+02:00da mangano1
Reposta per primo quest’articolo