Alessandro Bertante,” La visione del cieco”di Girolamo De Michele

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da LIBERAZIONE, 24 giugno 2008

Alessandro Bertante
Il uovo romanzo di Girolamo De Michele: fotografa la miseria civile dell’Italia contemporanea

“La visione del cieco”
bello ma non chiamatelo noir

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lSul finire degli anni Novanta il clima asfittico della narrativa italiana fu attraversato da una nuova e importante tendenza che rifacendosi all’esempio ellroyano (era da poco stato tradotto il suo capolavoro American Tabloid ) cercava di interpretare la contemporaneità attraverso le mutevoli cifre stilistiche del noir. In breve tempo assistemmo a un proliferare di scrittori che nell’ambito di una narrativa ancora legata al genere, cercavano nelle dinamiche sociali di una realtà in divenire – fatta di nuova immigrazione, emarginazione, precariato, centri sociali e via dicendo – la loro forte distinzione tematica nei confronti della tradizione del giallo classico.

Questo fenomeno purtroppo durò molto poco e alla metà del decennio in corso si poteva già definire concluso, dimostrando il proprio fiato corto e la propria sostanziale inconsistenza, specie a livello stilistico. Come se nulla fosse successo, gli investigatori tornarono a essere disillusi, retorici e border line, lo sguardo sociale si annacquò nel conformismo e, con buona grazia dei critici entusiasti, la maggior parte degli autori ripiegò sulle formule consolidate della narrativa poliziesca, spesso desolante nei suoi esiti puramente letterari.

Ma ora leggendo La visione del cieco , il nuovo romanzo di Girolamo De Michele (Einaudi, pp. 290, euro 16) mi rendo conto che potrebbe essere in atto una decisa inversione di tendenza. Ambientato in una amena provincia italiana a ridosso del confine svizzero, non riconoscibile ma certo plausibile nelle sue dinamiche sociali, il romanzo ha come protagonista Andrea Vannini, l’ex poliziotto già al centro dei lavori precedenti di De Michele, Tre uomini paradossali e Scirocco . In montagna per curarsi dall’asma – presa nel 2001 a Genova grazie al criminale uso di gas lacrimogeni – Vannini, che si fa chiamare Giulio Magri per ragioni che non è opportuno svelare, è testimone di uno spaventoso delitto. Una bambina viene trovata morta, aperta a metà con un arma da taglio. La piccola comunità è sconvolta dall’omicidio e inizia a interrogarsi su chi possa essere il colpevole. E intanto altri delitti si sovrappongono al primo, aumentando le paure e l’incertezza. Suo malgrado, Vannini viene coinvolto nelle indagini dall’ufficiale dei carabinieri del luogo, scoprendo una realtà agghiacciante, nascosta dietro l’apparente quiete borghese.

Chiariamo subito un punto fondamentale. Nonostante la trama possa indurre a pensarlo, questo romanzo non è un noir. Usando il gesto criminale come pretesto, De Michele dà vita a una storia che fotografa la miseria civile dell’Italia contemporanea. E lo fa in modo implacabile. Il protagonista non indaga. Piuttosto capita nelle situazioni. Il suo è uno sguardo freddo, antiretorico, lontano dagli stilemi dell’investigatore marginale che nel suo fare disilluso e piacione cerca di insegnarti a vivere. Vannini è un testimone. Sta immobile di fronte allo sfascio. La lacerazione della classe media che si officia quotidianamente e in tutti gli ambiti della vita, pubblica e privata. La provincia italiana qualsiasi, ed è un qualsiasi sintomo di sconfitta, diventa in questo modo lo specchio dell’Italia contemporanea. I nanetti schierati nei giardini delle ville, il suo tragico simbolo di inadeguatezza.

Non ci sono vittime ma solo colpevoli: padroni sfruttatori, faccendieri, avvocati senza scrupoli, piccoli uomini e donne orribili, tutti impegnati in un’abbuffata di malversazione, corruzione, sesso mercenario, squallore, solitudine, competizione e droga. Sono esaurite “le umane sorti e progressive”, non ci resta che aspettare l’inevitabile consunzione. E per rendere più vivido questo affresco, De Michele usa una lingua complessa, forte di diverse contaminazioni stilistiche. L’autore gioca con i dialetti, confonde il lettore, lo provoca, si concede momenti lirici e sfrutta la sua capacità di rendere immediati i dialoghi per dare potenza e ritmo alla narrazione. De Michele evoca, apre spiragli, ma non da soluzioni. Indirizza il lettore verso la verità ma non si preoccupa di svelarla. Non ce ne è bisogno. Perché è di fronte a tutti.

La visione del cieco è lo sguardo lucido e impotente dello scrittore verso la decadenza. Una presa di posizione ferma, drammatica e bellissima.

24/06/2008

Alessandro Bertante,” La visione del cieco”di Girolamo De Micheleultima modifica: 2008-06-24T17:58:17+02:00da mangano1
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