Francesco Merlo, Le impronte dei bimbi rom e il silenzio della Chiesa

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• da La Repubblica del 27 giugno 2008, pag. 1

FRANCESCO MERLO, Le impronte dei bimbi rom e il silenzio della Chiesa

A Maroni vorremmo suggerire di prendere le impronte delle mani (e dei piedi)
ai neonati cinesi di Milano, che sono già, notoriamente, tutti ladri di identità.
Inoltre, per coerenza, potrebbe impartire l’ordine di misurare la lunghezza
degli arti ai bimbi di Corleone che crescono (si fa per dire) con il ‘criminal
profiling’ di Totò u curtu. Ed è inutile spiegare a un pietoso uomo d’ingegno
come il nostro ministro degli Interni che i minori dell’agro nocerino sarnese e
della piana del Sele andrebbero – per proteggerli, badate bene! – sottratti alla
patria potestà e affidati alla Dia o, in subordine, allo scrittore Roberto
Saviano. E contro il bullismo nelle scuole cosa ci sarebbe di meglio che
prendere le impronte, al momento dell’iscrizione, anche ai genitori che sono
sempre un po’ complici?
Ecco, preferiamo mostrarvi il lato grottesco di questa proposta perché
sappiamo bene che Roberto Maroni, credendo di essere astuto, lavora per
provocare i nostri buoni sentimenti, e dunque non vogliamo cadere nella sua
rozza trappola e farci rubare i pensieri. Insomma a noi viene facile assimilare
il bambino ai deboli, agli sfruttati, a tutte le altre vittime dell’umanità adulta. Ma
contro l’indignazione i leghisti sono bene attrezzati. Dunque rispondono
rinfacciandoci la paura della gente, agitano il valore della sicurezza, e ci
eccitano perché vorrebbero che in risposta al loro razzismo scomposto noi
santificassimo i rom, negassimo qualsiasi rapporto tra campi nomadi e
criminalità, tra immigrazione e delitti.
E invece non è in difesa dell’accattonaggio, né per esaltare la presunta
bellezza esotica e imprendibile della zingara Esmeralda che protegge il
povero gobbo di Notre Dame, non è insomma in nome della retorica
rovesciata dei miserabili che noi diciamo a Maroni che prendere le impronte
digitali a bimbi rom è un segno di inciviltà razzista, che neppure ci sorprende
perché non è il primo, non è l’ultimo e purtroppo non sarà neppure il
peggiore.

Il punto è che, insieme con l’ossessione di Berlusconi per la Giustizia, in
questo governo c’è anche l’ossessione leghista per la sicurezza. Ma una cosa
è il problema e un’altra cosa l’ossessione. Ebbene, incapace di risolvere il
problema che lo ossessiona, Maroni vorrebbe che, per reazione, noi
negassimo il problema. Invece noi gli ricordiamo che già il suo predecessore,
il mite Giuliano Amato aveva segnalato che in tutte le comunità criminali sta
crescendo, anche in Italia, l’uso orribile dei bambini. Ci sono, per esempio, le
baby gang. E il libro Gomorra racconta di ragazzini utilizzati nelle vendette
trasversali. E in Calabria sono in aumento gli omicidi compiuti da killer
ragazzini pagati solo poche centinaia di euro. Ma che facciamo, ministro
Maroni, schediamo tutti i bimbi calabresi?
Ecco perché non merita i nostri buoni sentimenti, il ministro Maroni. Perché
non è vero che in Italia c’è un dibattito tra rigoristi cazzuti (loro) e lassisti
rammolliti (noi). Maroni non c’entra nulla con il dibattito europeo, difficile e
importante, tra il rigore e l’accoglienza.
Nei Paesi più civili d’Europa la sicurezza, la serietà e la responsabilità non
sono valori di destra. I socialisti francesi e spagnoli, i socialdemocratici
tedeschi, i laburisti inglesi e, aggiungiamo, anche i sindaci italiani di
centrosinistra hanno maneggiato con durezza l’argomento dell’immigrazione
irregolare e della criminalità. Ma senza sparate comiziali, senza colpi di teatro
razzisti, senza i paradossi, gli ossimori e le miserie culturali dei leghisti che –
come dimenticarlo? – sono quelli che chiamavano gli immigrati di colore
bingo bongo, che parlavano di musi di porco e teste scornificate, che
invitavano la Marina “a sparare sulle carrette dei clandestini”, e
denunziavano l’Europa “in mano ai massoni, agli ebrei, ai musulmani e alle
mafie degli immigrati”. Perché dunque dovremmo stupirci che, arrivati al
governo, vogliano prendere le impronte ai bambini rom?
Da anni, ad ogni elezione nelle valli padane, i leghisti affiggono manifesti “giù
le mani dai nostri bambini” appropriandosi appunto del vecchio pregiudizio
razzista sul misterioso popolo dei ladri di neonati, agitando la leggenda della
corte dei miracoli. Si sa che in tutta l’Europa centrale, che registrava il tasso
più alto di popolazione zingaresca, per ben tre secoli decreti e leggi furono
emanati per “liberare” i bambini degli zingari dai loro genitori naturali, sino
alla soluzione finale nazista e dunque all’internamento di adulti e pargoli. Ne
furono sterminati più di cinquecentomila. Ebbene, oggi nel rilancio dell’antico
pregiudizio con in più la certezza che i bambini rom non siano bambini ma
complici, solo criminali in miniatura e dunque più pericolosi e più sfuggenti,
c’è la vecchia idea che tutti i bambini del mondo sono allevati per ereditare “la
scienza” di papà. E dunque: la criminalità è un destino che il bambino rom
ritrova in fondo a se stesso come una roccia.
E va bene che il bambin Gesù non era rom, ma la chiesa che in Italia fonda la
sua forza molto più sull’immagine dolce del bambinello che su quella del
crocifisso, potrebbe almeno dire che i bambini non si toccano. La Chiesa sì
che può (deve) permettersi i buoni sentimenti. Non era Gesù che voleva che
lasciassero i bambini venire a lui? La Chiesa, che punisce e scomunica in
materia di sesso e di scienza, perché tollera e accetta le volgarità dei leghisti
contro i marginali e contro la gente da marciapiedi, contro i disperati dei
semafori e dei campi, contro i loro bambini? La Chiesa, che è l’ecclesia dei
naufraghi, dei diseredati e dei dannati della Terra, perché non interviene?
Forse perché i bimbi rom non fanno beneficenza come il terribile boss della
Magliana Renato De Pedis che – lo ha raccontato mercoledì Filippo
Ceccarelli – è stato sepolto nel più esclusivo cimitero del Vaticano, “sarcofago
di marmo bianco, iscrizioni in oro e zaffiro, l’ovale della foto” e “un attestato di
grande benefattore dei poveri…, che ha dato molti contributi per aiutare i
giovani, interessandosi in particolare per la loro formazione cristiana e
umana”. I bambini rom, non avendo avuto la fortuna di essere educati da quel
sant’uomo di De Pedis, sono rimasti ladruncoli e tutti infedeli, mentre Maroni,
come De Pedis, si dichiara fervente cattolico.
Quando Berlusconi nominò Maroni all’Interno pensammo subito che aveva
affidato l’Ordine al Disordine. Il ministero dell’Interno serve a controllare,
appunto dall’interno, la tenuta unitaria del Paese contro tutte le cellule
disgregative, tanto sociali (delinquenti) quanto politiche (eversori). Ebbene, si
sa che la Lega secessionista è una subcultura politica che da più di venti
anni attenta, per come può, all’unità del Paese e alla sua legge. Berlusconi,
che pensa di essersi liberato del lavoro più sporco affidandolo al suo
ministro-mastino, ha in realtà ceduto il controllo dell’eversione all’eversore da
controllare. E Maroni, che nella Lega è il più pericoloso perché forse è il
meno brutto e il meno ridicolo (ha fatto pure le scuole), sta usando gli aspetti
più odiosi del ministero dell’Interno – carcere, manette, impronte digitali – per
sollevare nuvole di propaganda, per creare effetti placebo alla paura e alle
emergenze sociali, in modo da guadagnare ancor più consenso
all’eversione.

Francesco Merlo, Le impronte dei bimbi rom e il silenzio della Chiesaultima modifica: 2008-06-27T23:58:31+02:00da mangano1
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