Miro Renzaglia, Maschi, femmine, specchi e narcisi

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da mirorenzaglia archivio 12 febbraio2008

MASCHI, FEMMINE, SPECCHI E NARCISI
miro renzaglia

Afferma Geminello Alvi (Uomini del Novecento, Ed. Adelphi) che uno dei modi più certi per mettersi nei guai è quello di dubitare che uomo e donna siano mentalmente uguali… Leggo Narcisi, (Ivana Castoldi, Ed. Feltrinelli) e mi trovo (come spesso mi accade…) d’accordo con lui: dubito… Non tanto perché le analisi in media res della Castoldi sulla crisi del maschio non siano in larga misura condivisibili e accertabili ad occhio nudo, quanto per le premesse e le conclusioni che la psicoterapo-autrice arriva a consegnarci e che lasciano il maschio e la femmina del genere umano in una condizione di sostanziale incomprensione e separatezza….

Dunque, le premesse… Il maschio, aduso a servirsi della donna per specchiarsi ed avere così conferma delle sua identità e rassicurazioni allo stesso proposito, sarebbe entrato in crisi con il sottrarsi della donna a quel ruolo di riflesso identitario, per la verità assai riduttivo (per la donna….). Stabilisce, la psicoterapo-autrice, nell’introduzione: “Narciso rappresenta il prototipo dell’individuo egocentrico, insensibile alle sollecitazioni emotive e ai bisogni del prossimo, incapace di amare qualcuno all’infuori di se stesso. Un individuo sempre intento a rispecchiarsi e a compiacersi della propria immagine.”

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Primo dubbio: quale fu la vera “colpa” di Narciso?
Secondo dubbio: l’atteggiamento narcisista appartiene solo al maschio?
Terzo dubbio: l’istinto a specchiarsi nell’altro è sintomo di una malattia psichica?

Quale fu la vera “colpa” di Narciso?

Riprendiamo il mito più accreditato, anche dalla Castoldi (ma ne esistono altre versioni…): Narciso, non ricambiando l’amore della ninfa Eco, provocò che la medesima si sfinisse malinconicamente in una lamentosa voce. Si attirò, per ciò, la vendetta di Afrodite la quale, in evidente spirito di solidarietà femminile, indotto il bel giovine a specchiarsi in una limpidissima acqua, lo condannò a innamorarsi perdutamente della propria immagine finché, nel tentativo di ricongiungersi ad essa, vi annegò… Dunque, “la colpa” di Narciso non sarebbe stata quella di essersi innamorato della propria immagine (essendo questa parte funzionale della condanna a morte…) ma di non corrispondere all’amore di Eco…

Poteva benissimo darsi che Eco fosse bruttina; che fosse, anche già prima della metamorfosi, leggermente lagnosa e ripetitiva; che Narciso le preferisse la figlia molto umana del mugnaio; che, insomma, avesse un altro modello femminile per la testa… o che magari fosse gay: vai a stabilirlo! Fatto è che è dal suo rifiuto di unirsi a Eco che nasce la punizione, veramente geniale e perfida come si addice alla femmina, di Afrodite: non volendo (…o non potendo) amare la ninfa, fu condannato a non specchiarsi in altri che in se stesso, fino ad annullarsi.

Ora, se c’è una cosa che le donne non sopportano è essere rifiutate dal maschio al quale si offrono. Ma il maschio è forse in obbligo di accettare in ogni caso? Chi lo stabilisce? Afrodite? Venere? Il diritto naturale? Un laico spirito di carità verso l’altrui? E perché le donne sorde al richiamo del maschio innamorato (il che succede tanto più spesso del contrario…) non subiscono la stessa punizione, e non sono almeno imputabili di egocentrismo, insensibilità alle “sollecitazioni emotive” ecc…ecc…? Mah…

L’atteggiamento narcisista appartiene solo al maschio?

Solo i maschi sono narcisi? Non mi sembra. Non mi risulta. Il narciso, in una delle accezioni derivate dal mito e che ormai usiamo più frequentemente, è colui che ha assunto il proprio aspetto fisico come fonte di autocompiacimento e di gratificazione usandolo (anche…) per confermarsi nelle sue più basiche pulsioni virili verso la donna… La quale, del resto, non (sempre…) sembra gradire. Riferisce la Castoldi, in un capitolo del libro significativamente intitolato La femminilizzazione dell’uomo (io avrei scritto del “maschio”) come il fenomeno, reso vieppiù evidente proprio in conseguenza della emancipazione femminile, è vissuto dalla donna come una sorte di “nemesi divina”: “Abbiamo voluto la parità? Eccoci servite: gli uomini se la sono presa…”. Ripeto: lo afferma la Castoldi, non io…

I maschi, fino a ieri, puntavano su altri fattori seduttivi, ora si sono ridotti (non tutti, per fortuna…) a voler “essere protagonisti sulla scena anche per le loro qualità estetiche”. Esattamente come le donne, per essere protagoniste, hanno assunto, spesso peggiorandoli, atteggiamenti a attributi maschili (tale ultima metafora non è usata a caso…). Un ulteriore “segno dei tempi” – direbbe Guènon: il rovesciamento dei ruoli e la loro confusione… Ma se tanto è, il narcisista sotto specie post-mitica è un cattivo imitatore di un atteggiamento che appartiene tipicamente alle femmine del genere umano (e non solo a questo…).

L’istinto a specchiarsi nell’altro è sintomo di una malattia psichica?

La crisi del maschio sarebbe avvenuta per quel noto fenomeno di emancipazione femminile che le stesse donne (le più avvedute…) guardano già con qualche dubbio sul merito e sui vantaggi che avrebbe loro arrecato: rifiutandosi di essere semplice suppellettile riflettente dell’arredamento affettivo del maschio, hanno provocato in lui i dissesti identitari ormai noti…

Intendiamoci: sono assolutamente convinto che a questo ruolo era giusto, e necessario anche storicamente, che la donna si ribellasse… Ma quella funzione specchiante, era da annullare del tutto? Non procurava qualche sicurezza identitaria anche a lei (la donna)? Non era un modo perché anche lei (la donna…) si confermasse in qualche istinto basico della propria costituzione femminile? Mi esento dal tentare una risposta perché mi sono arreso da tempo all’insondabile mistero della donna, soprattutto quella moderna… Ma se il maschio è in crisi – e lo è – non mi sembra che la donna (…moderna) scoppi di salute psichica…

La possibilità di specchiarsi nell’altro offre all’uomo – maschio e femmina – la possibilità di conoscersi, valutare qual è il proprio stato di salute, migliorarsi nell’aspetto e nei modi, aprirsi a esperienze cognitive che gli fanno superare in maniera molto naturale la finitudine della sua condizione individuale… Tutto ciò è un male? Afferma la Castoldi: “Vedersi riflessi e piacersi è una vera fortuna e rende più comprensivi e accettanti anche nei confronti degli altri. Le persone che non sanno accettarsi risultano, infatti più chiuse severe meno sicure e indulgenti verso i propri simili.” E anche se quel particolare specchio che sono gli occhi di una donna è “deformante” (lo definisce così la Castoldi, non io…), la stessa autrice ammette serenamente che: “(…) per molto tempo hanno contribuito ampiamente a migliorare e risanare l’immagine maschile. Hanno colmato vuoti, smussato angoli e abbellito facciate. Hanno esaltato pregi e qualità ma, soprattutto, hanno corretto imperfezioni e mancanze…”. Se poi, tale opera benefica ha trasformato per contrappasso “un numero consistente di uomini in narcisi fragili e immaturi, insensibili alle esigenze delle loro compagne…” la responsabilità deve ricadere solo ed esclusivamente sul maschio, ma non depone in favore dell’abolizione dello specchio… (Che, infatti, quando viene meno e il rapporto va in crisi, è talvolta surrogato con quello dello psicoterapeuta…).

Sarebbe stato forse più saggio cambiare il gioco prospettico di luci e riflessi, modificare l’angolazione del punto di vista, essere prismatiche semmai. Non frammentarsi. Perché questo, infine, è accaduto: la donna non ha sottratto lo specchio all’uomo: l’ha frantumato… Poi, come sempre: chi rompe paga e i cocci sono i suoi…

Conclusioni

Al maschio in stato di progressivo sbandamento (anche…) per il venire meno dell’immagine che lo specchio-donna gli offriva e non gli offre più, la psicoterapo-autrice propone lo stesso rimedio consigliato, in un altro libro, alle donne: Meglio sole (Ed. Feltrinelli).

Intendiamoci: io credo che qualsiasi tipo di dipendenza sia assolutamente limitatrice delle possibilità di espansione della propria personalità e della conoscenza del proprio essere-chi-si-è… (e la dipendenza da altre persone, inclusa quella dal proprio analista, è una delle più perniciose…). E, anzi, credo insieme alla Castoldi che, proprio in conseguenza delle modalità del rapporto maschio-femmina come si è andato sviluppando nelle attuali contingenze epocali, è meglio, molto meglio stare o imparare a stare soli… Di più: credo che la solitudine offra possibilità cognitive e autocognitive di rilevanza superiore a un accoppiamento qualsiasi come fuga alla incapacità di stare da soli… Ma – mi e vi chiedo – la solitudine è il rimedio alla disintegrazione della coppia? Può essere la condizione ideale del monaco eremita, ma chi ha deciso di rimanere nel mondo può votarsi felicemente a questa condizione? Può verificarsi la necessità che un certo periodo di ritiro dal girotondo sentimental-erotico-affettuoso offra l’occasione di un ripensamento della propria condizione esistenziale e anche del modo di rapportarsi all’altro/a… E può essere che qualcuno/a ci prenda veramente gusto e decida di mantenersi in condizione singolare… Ma, in questo caso, a costo di quali rinunce?

La conquista di nuovi ruoli nella società da parte della donna è salutare e irreversibile: il suo contributo arricchisce per innate qualità creative uno scenario che il maschio ha condotto ad un punto epocalmente morto… Ma questo esclude che maschio e femmina non debbano rientrare in godimento del tradizionale gioco dello specchio che ha garantito al loro rapporto, nei secoli, un qual certo salutare equilibrio? Non propongo di tornare indietro ma di verificare nei nuovi spazi aperti (dalla donna…), e con regole nuove (da stabilire insieme…), una dinamica di conoscimento e riconoscimento al quale – mi ostino a credere – non è stato giovevole per nessuno rinunciare.

Se la guerra è diventato un esercizio di calligrafia terroristica; la religione una vacanza sulle vette di plastica della new age; l’arte un emporio dell’usa e getta e il sesso una ginnastica dopolavoro, la rinuncia al rapporto fra maschio e femmina significa anche farsi mancare la più originaria e naturale forma di sperimentazione dell’altro da sé.

Inoltre – e qui mi spingo all’estremo – il gioco dello specchio è imprescindibile per quel particolare rapporto fra maschio e femmina ormai entrato in uso definire di tipo “fusionale” (e per la cui chiarezza, preferisco rinviare ad Aldo Carotenuto in Amare Tradire, Ed.Bompiani, il quale, detto per inciso, lo sconsiglia assolutamente).

Trattasi – è bene dirlo – di una delle esperienze più profonde e rischiose che ancora sia possibile all’uomo (maschio e femmina…) dell’età moderna per trascendere (o per cogliere degli aspetti che trascendono) i limiti della contingenza meramente individuale: per sperimentarsi oltre lo specchio è necessario che lo specchio ci sia, così come per andare oltre una data condizione limite è necessario che il limite esista (en passant: oltre il limite ci si può perdere talvolta, ma ci si perde sempre quando non c’è limite…).

Per la fortuna dei molti che non potrebbero permettersela senza restarne spezzati, è un’esperienza molto difficile da realizzare: se non altro perché è necessario che le due metà della mela platonicamente spaccata tornino a riconoscersi e a com-baciarsi al millesimo (…e la volontà, sia per riconoscersi che per com-baciarsi, non può nulla: la “cosa”, semplicemente, accade se accade…).

Il rapporto fusionale, eterno sotto specie metafisica, è soggetto, infatti, alle stesse fragilità di qualsiasi altro tipo di rapporto d’amore secolare (perché lo resta a tutti gli effetti…). Solo che quando si rompe questo si va dall’avvocato e ci si separa civilmente, con qualche sofferenza, certo, ma senza gravi conseguenze… ma quando va in crisi il rapporto fusionale, si aprono abissi i cui lampeggiamenti dal fondo alludono in maniera molto realistica all’inferno. Che ci si possa salvare è molto dubbio. Ma Hölderlin sapeva che: “La salvezza cresce là dove cresce il pericolo”.

miro renzaglia

Miro Renzaglia, Maschi, femmine, specchi e narcisiultima modifica: 2008-07-17T16:38:41+02:00da mangano1
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