duemila ragioni

Mario Domina, Ideologie dell’emergenza

da La Botte di Diogene – blog filosofico

Lunedì 28 Luglio 2008 by mario domina

IDEOLOGIE DELL’EMERGENZA

Karl Marx considerava l’ideologia una sorta di deformazione ottica, una vera e propria costruzione teorica volta a distorcere e falsificare i rapporti e la realtà sociale. La “verità” della classe al potere che naturalizza ciò che è socialmente determinato, eternizza ciò che è in divenire, universalizza ciò che è particolare: una straordinaria macchina retorico-filosofica volta a giustificare il potere e le ingiustizie sociali. Molti trovano che Karl Marx sia ormai passato di moda, ma io penso che la sua concezione dell’ideologia sia più valida oggi di quanto non lo fosse ai suoi tempi (un mio amico disse una volta che in Marx ci sono verità che saranno vere soltanto dopodomani, altre che lo erano già ieri, alcune che non lo saranno mai…).
Si provi, ad esempio, ad applicare il suo concetto di ideologia a quanto va accadendo oggi nelle società occidentali, e nella italiana in particolare: il rovesciamento interpretativo che ne verrebbe fuori è impressionante. Lascio per ora da parte il tema (scottantissimo) della bioetica/biopolitica e della relativa ideologia della vita, per concentrarmi sulla questione più generale dell’emergenza. Da alcuni anni il potere (locale, nazionale, globale), con la complicità dei media da esso controllati, si manifesta in prima istanza nella prassi emergenziale del suo esercizio: emergenza clandestini/immigrati, emergenza terrorismo, emergenza ambiente, emergenza inflazione, emergenza petrolio, emergenza rifiuti, fino alle emergenze spicciole o stagionali (caldo, maltempo, inquinamento delle città, bullismo, zanzare, guidatori ubriachi, ecc. ecc.).

Questo non vuol dire che buona parte delle cose elencate non sussistano o non siano dei problemi; vuol dire semmai che la classe politica al potere traduce tutte le questioni – attraverso il meccanismo dell’ideologia – nella nuova semantica dell’emergenza. Innanzitutto si tratta di “semplificare” e ridurre i problemi alla dinamica amico/nemico, noi/loro, interno/esterno (in ultima analisi a una logica di guerra: l’attuale governo italiano, ad esempio, nel proclamare lo “stato d’emergenza” sulla questione immigrati, ha utilizzato non a caso il termine “contrasto”).
Credo che ciò sia tra l’altro funzionale ai diversi possibili sviluppi o scenari della situazione socioeconomica: lo stato d’emergenza può essere esteso e applicato in qualsiasi momento alle situazioni di conflitto che via via si presenteranno (è successo in Campania e presto succederà sul fronte sindacale e lavorativo). A maggior ragione qualora poi la crisi economica dovesse aggravarsi.
Ma la logica emergenziale non può reggere in uno stato moderno se non si fonda su un certo livello di consenso: credo che oggi questo vada ravvisato nella paura sociale diffusa. Anche qui nulla di nuovo, noi sappiamo che il potere – ce lo insegna Spinoza – ha bisogno del timore sociale. Ma ancor più, come sostiene Hobbes nel Leviatano, del “terrore”:

“egli dispone di tanta potenza e di tanta forza a lui conferite, che col terrore da esse suscitato è in grado di modellare le volontà di tutti i singoli in funzione della pace, in patria, e dell’aiuto reciproco contro i nemici di fuori” (Lev. cap. XVII).

Coesione interna, pace sociale, scarica esterna delle tensioni (un “esterno” che, come ho già scritto più volte, in epoca globale è paradossalmente un “interno”). Paura ed emergenza vanno qui di pari passo, si tengono, alimentandosi a vicenda. Ma paura di che cosa? Forse di perdere i privilegi, il lavoro, la casa, la famiglia, la vita, le ricchezze, anche se si abita una fortezza blindata? Dove si annidano i pericoli?
Poco importa, o meglio importa che siano disseminati un po’ ovunque. E’ cruciale innanzitutto che il pericolo e l’insicurezza siano “percepiti”, avvertiti, e che si insinuino quotidianamente nella vita sociale, goccia a goccia, a piccole dosi omeopatiche. Lo si deve credere. La risposta a questa credenza sarà sempre lo stato di emergenza, ed ecco che il gioco è fatto e l’ideologia trionfa sul reale, il simbolico sul materiale. Un ideologico e un simbolico che con quel materiale possono anche non avere niente da spartire. Meglio quindi che tutto stia fermo, immobile, così com’è e che gli eventuali disagi vengano deviati all’esterno e fatti pagare agli “altri”: pace in patria e guerra all’esterno, come ci avverte Hobbes.

Vi sono poi due risvolti della logica emergenziale che vanno sottolineati: la sistematica non-risoluzione dei problemi e l’incombenza di percorsi politici autoritari. Gestire le questioni solo in termini emergenziali significa cioè non affrontarle mai in maniera razionale e ponderata, con la discussione pubblica e l’elaborazione dei progetti risolutivi che il metodo democratico di governare (e di autogovernarsi) richiederebbe. C’è poi la questione temporale: i tempi dei governi e quelli della complessità sociale sono spesso divergenti; la politica in senso alto che richiede lungimiranza e periodi lunghi deve fare i conti con l’affarismo bottegaio della classe (pseudo)politica al potere (su questo tema tornerò presto).
E da ultimo, ma primo per gravità e importanza: quel che in verità vedo “emergere” all’orizzonte giorno dopo giorno, decreto dopo decreto, emergenza dopo emergenza, è il profilo di una nuova possibile dittatura che sguazzerà nel marasma dovuto alla non-risoluzione dei problemi, che invocherà la logica del “ci penso io, basta che mi lasciate lavorare” e che ci porterà a nuovi disastri. Dopotutto sia Mussol

Mario Domina, Ideologie dell’emergenzaultima modifica: 2008-07-30T14:41:00+02:00da
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