dal sito POLISCRITTURE
Sono autore di libri per la scuola. Ho dedicato a questa attività gran parte delle mie energie e della mia fiducia in un futuro migliore. Ho conosciuto successi e fiaschi. Continuo a credere in questo lavoro, che è difficile e che considero nobile. E non ritengo di dovermene vergognare. Provo a spiegare perché.
Abbiamo in questo momento in Italia molte ragioni per essere preoccupati. Una delle più sconfortanti è la coincidenza fra un senso comune regressivo (con punte fasciste) e le posizioni del blocco di governo. Per chi pensi a un’alternativa sostanziale non mancherebbero però neppure significativi spiragli di ottimismo. Per esempio: l’alleanza fra destra e ceti popolari danneggia materialmente questi ultimi, che nonostante le televisioni potrebbero infine accorgersene. Ma anche: il senso comune che la destra in parte asseconda e in parte crea scientificamente è intriso di valori meschini, opposti a ogni idea alta di civiltà. Credo che questo secondo aspetto, diciamo culturale, non sia meno importante
Se ne sta avendo una prova sui temi della scuola e dell’università, rispetto ai quali il governo ha varato misure non di riforma ma di distruzione: meno soldi, meno lavoro, meno studio. E da sinistra siamo incapaci di denunciare la sostanza della posta in gioco, che non riguarda i dettagli ma l’insieme; e siamo incapaci di proporre un modello davvero diverso. Non mancano anzi prese di posizione cautamente favorevoli, come quella dell’ex ministro Luigi Berlinguer.
All’interno dell’attacco frontale (e strategico) alla scuola e all’università si colloca la delegittimazione del lavoro intellettuale; e si colloca la brutale aggressione all’editoria scolastica. Ecco: meno scuola, meno lavoro, meno studio; e dunque meno libri. Ora, senza dubbio alcune case editrici hanno gestito poco responsabilmente il proprio ruolo, in modi che potrebbero essere pacatamente denunciati e contenuti con accordi e interventi legislativi. Ma questo attacco ai libri di testo è nel suo insieme del tutto ingiustificato, ed esprime un’alleanza fra il senso comune più volgare e la strategia della destra. Il fatto che non una voce si sia levata per rivendicare la funzione di civiltà dell’editoria scolastica, e che anzi anche la stampa di opposizione abbia preferito lasciarsi trascinare nella stessa crociata ci aiuta a capire – sulla scorta di un dettaglio non del tutto secondario – perché la sinistra resti per ora destinata a una sconfitta così disastrosa.
Perché il governo Berlusconi attacca i libri di testo? Nessuno pare esserselo chiesto; ma la domanda, prima di dargli man forte, sarebbe stata opportuna. Le ragioni sono quattro. Uno: perché l’avversione alla cultura e alla scuola che domina oggi in Italia gli permette di raccattare demagogicamente qualche facile consenso. Due: perché è proprietario di una decina di importanti case editrici scolastiche e ha significativi interessi in gioco; mettendo alle corde i concorrenti (e soprattutto gli invisi editori scolastici puri) può fare altri passi verso il sognato monopolio (o duopolio al massimo). Tre: perché l’editoria scolastica è prevalentemente di sinistra. Ministro Storace, alcuni anni fa, si pensava a censure e visti governativi per i manuali di storia (ma qualcuno se ne ricorda?); ora si è trovata una strada più efficace e più radicale. Quattro: per distruggere un secolare modello di formazione, affidato al libro e alla cultura critica, e sostituirlo con una girandola di Internet, Tv e becchime di altro genere; così da creare meglio il gorilla ammaestrato che produce e consuma e non sa e non pensa.
Come sono fatti i libri di testo? Chi ne ha parlato tanto male dovrebbe dargli uno sguardo. Sono per lo più ben fatti; diciamo pure incredibilmente ben fatti, in un paese in cui funzionano sempre meno cose. Ricchi, aggiornati, gradevoli. Secondo alcuni: troppo ricchi (ma chi chiede meno pagine chiede meno sapere e meno profondità per i nostri giovani), troppo aggiornati (ma chi chiede meno edizioni rinnovate vuole un sapere e dei metodi ignari dei ritmi della globalizzazione), troppo gradevoli (ma un libro fatto di blocchi in bianco e nero oggi non troverebbe udienza nei ragazzi). Costano troppo? Non è vero. Al contrario. Si misuri il prezzo di copertina con quello di libri simili non destinati alla scuola: la metà o un terzo. Le alte vendite sperate e i tetti di spesa permettono e impongono questo risultato.
Si tratta però di una spesa che grava pesantemente sulle spalle delle famiglie. Vero, ma il governo potrebbe permettere la detraibilità fiscale dell’acquisto, e darebbe un aiuto concreto. E poi: in videogiochi gli italiani spendono il doppio che in libri per la scuola. Ma evidentemente i videogiochi sono ritenuti più formativi per i ragazzi. E non diremo dei cellulari, degli I-pod, dei pc, delle scarpe o dei jeans o degli zainetti griffati. Però l’idea di spendere per la cultura – e spesso i libri di testo saranno gli unici libri a entrare in certe famiglie – dispiace assai di più. E dispiace che ci sia un’imposizione di acquisto. Infatti il modello è: io voglio consumare quel che mi piace e soprattutto cose frivole. Un modello che ci ha portato alla tv che tutti vedono, alla destra al potere e all’Italia di oggi.
Gli editori e gli autori farebbero alle spalle degli studenti e delle loro famiglie affari d’oro. I fatti dicono che negli ultimi dieci o vent’anni sono falliti numerosi editori scolastici, che con la sola editoria scolastica un editore fa fatica a sopravvivere, cioè a pareggiare il bilancio (e infatti i grandi gruppi si reggono su attività trasversali: giornali, editoria varia, ecc.). Berlusconi ha potuto acquistare a poco case editrici prestigiose in difficoltà. Altro che speculazioni e affari d’oro! Quanto agli autori, per uno che ha successo, e che guadagna bene (ma ci cambierà la macchina, non ci diventerà ricco), ce ne sono cento che restano al chiodo, e intascano poco o nulla in cambio di anni di lavoro durissimo e altamente qualificato.
Accanto alla vergognosa speculazione di chi i libri li inventa e di chi li stampa starebbe la filantropica rivendita di libri usati. Nei fatti, gli autori di un libro (che spesso sono anche cinque o sei) si dividono una percentuale complessiva oscillante fra i 4 e il 10 per cento sul prezzo di copertina, interamente tassata, mentre i rivenditori di libri usati (che spesso gestiscono più di metà delle vendite totali) guadagnano non meno del 30 per cento senza aver né scritto né stampato il libro, e non di rado evadono ogni forma di tassazione. Siamo certi che siano dei benefattori?
Pietro Cataldi