da materialiresistenti (25/10/2008 -) dal MANIFESTO
VANNI CODELUPPI, IL BIOCAPITALISMO, BOLLATI BORINGHIERI, PP. 115, EURO 11,50 Le merci al mercato degli stili di vita
Un saggio sul «biocapitalismo»
di BENEDETTO VECCHI
VANNI CODELUPPI, IL BIOCAPITALISMO, BOLLATI BORINGHIERI, PP. 115, EURO 11,50 Una montagna di miliardi di euro e
Che questa dinamica sia entrata in crisi è oramai cosa nota. Ma occorre comprendere se il crollo dei listini di borsa sgombererà il campo di quelle caratteristiche assunte, nel ciclo neoliberista, dal processo lavorativo, che vedevano il sapere e la conoscenza come forza produttiva. Per alcuni studiosi, quella era un’anomalia che andava rimossa, anche se nessuno poteva immaginare che si potesse raggiungere tale obiettivo attraverso una crisi economica di questa portata. Ma
Vanni Codeluppi non usa il termine biocapitalismo nell’accezione che il britannico Nikolas Rose sviluppa nel suo libro finalmente tradotto da Einaudi La politica della vita. Rose, infatti, faceva discendere il termine biocapitalismo da quella propensione a considerare la vita come l’oggetto di un processo di valorizzazione capitalistica, ma anche oggetto dell’azione normativa dello stato. Detto in altri termini, la vita diventava, come documenta l’interessante libro «Biocapital: The Constitution of Postgenomic Life» dell’economista Kaushik Sunder Rajan, attraverso le biotecnologie, la mappatura del Genoma Umano, una materia prima che andava manipolata e doveva fornire profitti. Allo stesso tempo, era una materia prima molto particolare che doveva essere strutturata da un insieme di leggi e norme che regolamentavano i comportamenti individuali e collettivi. Per lo studioso italiano, invece, si può parlare di biocapitalismo a partire da quella «colonizzazione dell’immaginario» operata nell’ultimo secolo che ha fatto diventare le forme di vita, le emozioni e le relazioni vis-à-vis la leva per alimentare il consumo di merci tanto materiali che immateriali. Dunque, si vende una merce, ma anche lo stile di vita che essa rappresenta. Per fare questo, il capitalismo ha dovuto rimuovere tutte le rigidità che il sistema della grande fabbrica prevedeva. Da qui il decentramento produttivo, l’uso intensivo e estensivo delle macchine informatiche, la centralità della comunicazione intesa come un’interfaccia tra la realtà sociale e il processo lavorativo. Per questo motivo, l’innovazione di prodotto diventa un elemento fondamentale per mantenere un margine competitivo in un ambiente turbolento e caratterizzato da sovrapproduzione e ridotti margini di profitto. Il just in time non è che la forma più sofisticata per personalizzare il prodotto e ridurre al minimo le scorte di magazzino.
Ma Vanni Codeluppi è uno studioso attento soprattutto alla comunicazione come esito delle relazioni sociali. E in questo libro sono forti gli echi delle riflessioni di Jean Baudrillard sulla società dei consumi, laddove il filosofo francese riteneva che il consumo perdeva, appunto, la connotazione di soddisfare un bisogno primario, ma acquisiva le caratteristiche di ostentazione di status e di senso di appartenenza a una comunità di pari. In altri termini, nella modernità entrava in crisi la classica distinzione tra valore d’uso e valore di scambio con la scomparsa del valore d’uso. Una lettura, quella di Baudrillard, dalla forte tonalità apocalittica, che nel biocapitalismo è tradotta in quel credito al consumo che ha fatto aumentare l’indebitamento individuale e trasformato il consumo in agire sociale che definisce identità e senso di appartenenza a una comunità.
La «colonizzazione dell’immaginario» è ovviamente una delle tendenze in atto, così come il credito al consumo, ma va detto anche che un’analisi del capitalismo che prescinde dai rapporti sociali, e dunque dalla loro articolazione nel processo lavorativo, consumo e finanza, conduce l’analisi nel tranquillizzante terreno della critica etica al «biocapitlismo». Terreno tuttavia terremotato anch’esso dalla crisi economica in atto. E che conduce semmai a misurarsi con le analisi di Nikolas Rose e Kaushik Sunder Rajan, quando indicano nel settore della «manipolazione della vita» – in quanto settore produttivo – il laboratorio che forse meglio di altri potrebbe aiutare a comprendere le possibili via d’uscita dalla crisi economica che segni una discontinuità con il neoliberismo.
il manifesto