Edmondo Berselli, SINISTRATI

Edmondo Berselli SINISTRATI, storia sentimentale di una catastrofe politica, Mondadori, pagg. 208, euro 17
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UNA INTERA PUNTATA DELLA TRASMISSIONE DI GAD LERNER SUL
TEMA CON L’AUTORE , CHE NE PENSI?

[…] E Sinistrati si intitola la “storia sentimentale di una catastrofe politica” che
Edmondo Berselli ha scritto per Mondadori (pagg. 208 pagine, euro 17, dal 4
novembre), secondo la felice e sperimentata formula del cabaret sull’orlo del
baratro e il piglio degno del moralista che non se la sente di fare la morale ad
alcuno, tanto è inutile, l’importante semmai è smettere per un attimo di fare i
cinici, i furbi e i vanagloriosi, sempre che sia umano e possibile –
conveniente, in politica, no di certo.
Ecco dunque un pamphlet spietato e onesto, beffardo, tenero e per certi versi GAD LERNER.jpg
anche costruttivo, fin dal primo capoverso:
«Dopo che ci è arrivato addosso il tram, in quel fatale e crudelissimo mese
d´aprile, ci abbiamo messo un po´ di tempo per capire che cosa era
successo. Sulle prime siamo rimasti seduti fra le rotaie, frastornati. Poco dopo
ci siamo rialzati, non ancora del tutto coscienti. Poi ci siamo spolverati i
pantaloni a testa bassa, poi lentamente ci siamo avviati verso casa
stringendo i denti, cercando di mostrare un atteggiamento disinvolto e
indifferente, come Fantozzi dopo una martellata sulle dita, e sperando che la
gente intorno non ridesse».
[…] L’appartenenza affettiva a quel mondo consente un giudizio più netto,
senza lo schermo dell’autolesionismo. Deludente fusione a freddo è stata,
quella del Pd. Per giunta priva di messaggio, che non fosse «una tonalità
intellettuale, una sfumatura emotiva, un intero spettro di nuances
sentimentali». Il dubbio è che tuttora si tratti di una forza politica “fuori dal
mondo”, un “partito ipotetico”. Uscito di scena Prodi, il gruppo dirigente
democratico ha affrontato le elezioni come un “gioco d´azzardo”. E alla prova
delle urne lo schema di Veltroni, pure rapito dall’incantesimo del Cavaliere, si
è risolto in un tragicomico paradosso: «L’operazione è riuscita, ma il paziente
è morto».
Non solo, ma a questo punto «per giorni e settimane Walter si è trastullato
con i decimali e con la confortante, per quanto oggettivamente strampalata,
idea di aver vinto o quasi le elezioni e di essere al governo insieme a
Berlusconi». Ovvio che adesso tutto si potrà fare meno che guardarsi alle
spalle. Non salveranno la sinistra le vecchie zie, né le nonne che ormai
perseguono un’etica da fiction, dicono “autostima” e parlano come la tv.
«La prima cosa che la sinistra deve fare – azzarda Berselli avviandosi
allegramente sconfortato alla conclusione – è imparare a dire la verità. Il che
non è semplice perché la sinistra crede di essere la verità e quindi non sente
il bisogno di dirla».
E sembra di riascoltare il grido del Circo Massimo: «Siamo due milioni e
mezzo». Ecco, magari molti, molti di meno, comunque sinistrati, anzi
sinistratissimi.

I sogni l’inganno: autocritica a sinistra. Edmondo Berselli: poco realisti
Incapaci di ascoltare la società
• da Corriere della Sera del 10 novembre 2008, pag. 35
di Dino Messina

Di sinistra si nasce. Ed Edmondo Berselli modestamente lo nacque.
Così, parafrasando Totò, il brillante critico del nostro costume chiude la sua
più recente e forse più sofferta fatica, Sinistrati (Mondadori, pagine 189, €
17,50). Un tormentone umoristico, un flusso di battute intrise nell’amarezza di
chi ha davvero sofferto nell’assistere alla caduta di Romano Prodi nel 1998 e
di vedere ripetere la stessa masochistica scena dieci anni dopo. A un certo
punto un intellettuale di sinistra, un giornalista impegnato, uno studioso che
è anche direttore della rivista Il Mulino, non può fare a meno di porsi alcune
domande, le più crudeli.

Com’è che il governo Prodi dopo aver seriamente anche se litigiosamente
operato per un paio d’anni, s’è ritrovato a raccogliere «pernacchie»?
Com’è che il nuovo Partito democratico, in cui alla vigilia delle elezioni
circolava la voce «non diciamolo troppo in giro ma stiamo
rimontando, mancano due o tre punti percentuali», all’indomani del voto si è
ritrovato come uno di quei pugili suonati sconfitti per ko e che si rialzano
senza aver realizzato la batosta, senza sapere nemmeno dove stanno?

Una esilarante risposta Berselli la trova nella teoria elaborata da Marcello
Marchesi, il signore di mezz’età che riassumeva così il dramma del
tecnico: capire un tubo, e nient’altro. Proprio come gli -intellettuali di sinistra
che, mentre la destra recuperava terreno, riuscivano ad andare allo
scontro come a un pranzo di gala. Attenti a costruire un programma che
tenesse insieme «l’eolico e l’atomico», per «contemperare ogni
contraddizione possibile» e non scontentare nessuno. «Mercato e solidarietà,
libertà e tutela, concorrenza e protezione». Un’operazione di
«realismo magico» in grado di lasciar tiepido l’elettorato di centro e nello
stesso tempo perdere tutti, ma proprio tutti i pezzi della sinistra radicale- Così
quei «sinistrati» non necessariamente comunisti che ai tempi di Craxi
dichiaravano «socialista sì, ma lombardiano» e che oggi vedono interi pezzi
del partito di Craxi nella compagine berlusconiana, quei cattolici in dubbio tra
Ratzinger e Habermas, quegli eredi di Berlinguer che ti zittiscono con aria di
sufficienza perché «ben altro è il problema», tutti insieme sono costretti a
chiedersi: dove abbiamo sbagliato? Tra una battuta corrosiva e un’altra, che
non risparmia la «destra da Bagaglino» dei La Russa e Gasparri, Berselli
accompagna la pars destruens del suo discorso a una pars
construens. Insomma, il suo libro non è scritto soltanto per fustigare e
divertire. Il suggerimento dell’autore, in estrema sintesi, è di abbandonare i
vizi da «casta» in cui è caduta la sinistra e ritornare ad ascoltare la società, a
essere vicini ai suoi bisogni.

C’è una certa specularità, suggerisce l’autore quando abbandona il tono
scanzonato e sarcastico che abbiamo già apprezzato in altre opere
come Venerati maestri, tra un Paese invecchiato in cui i giovani sono relegati
a un ruolo marginale e il teatrino politico che ripropone per esempio lo stanco
duello D’Alema-Veltroni, come se dai tempi della Federazione giovanile
comunista non fossero passati trent’anni. Consideriamo tuttavia, suggerisce
Berselli, che quando la sinistra attraversa la strada c’è sempre di mezzo un
tram.

I sogni, l’inganno: autocritica a sinistra. Riccardo Barenghi: tutti colpevoli
Sempre pronti a tendersi agguati
• da Corriere della Sera del 10 novembre 2008, pag. 35
di Ranieri Polese

Dopo le elezioni dell’aprile scorso, parlando di Veltroni, Jena aveva
scritto: «Bisognerà dargli atto di aver conseguito una vittoria
assolutamente straordinaria: ha distrutto la sinistra». Jena altri non è che
Riccardo Barenghi, già direttore del manifesto e ora editorialista alla
Stampa. Su Veltroni Jena-Barenghi non ha cambiato idea. La sua scelta di
lasciare la segreteria del Pds per diventare sindaco di Roma (2001) fu
esiziale; e l’anno scorso, la creazione del Pd che «correrà da solo» è stato il
colpo di grazia per il governo Prodi. Che, certo, non era un
granché: coalizione pasticciata di tutto e il contrario di tutto (da Mastella a
Bertinotti), nato su un programma di ben 300 pagine che nessuno degli
elettori poteva leggere, viveva sull’impossibile principio di dare un
contentino a tutti. Da qui la cifra esorbitante dei 103 sottosegretari.

A un mese di distanza dall’antologia, uscita da Fazi, dei corsivi scritti da Jena
in questi ultimi otto anni, sempre Fazi pubblica il nuovo libro di
Barenghi, Eutanasia della sinistra (131 pagine, €14). E’ il
pamphlet amarissimo di uno che nella sinistra ci credeva, ma poi si è
dovuto accorgere che i suoi politici di riferimento sono totalmente incapaci di
capire il presente, di parlare alla gente, convinti che la colpa è sempre degli
altri (i famigerati poteri forti, la stampa ecc.) e sempre pronti a tendersi
agguati. Così oggi la vede Giovanni, una specie di alter ego di Barenghi,
cresciuto nella cultura del Pci e animato dal desiderio di un Paese più
giusto. Non vuole pensare che la sinistra si sta annientando, ma alla fine
disperato va perfino al «vaffaday» di Beppe Grillo.

Per spiegare ai tanti Giovanni come siamo arrivati a questo risultato,
Barenghi torna indietro nel tempo per rileggere tutti gli errori che ci hanno
portato a oggi. Dalla nascita di Rifondazione (`gi) al fallimento
della Bicamerale alle varie primarie «finte», l’elenco è lungo e impietoso. Il
principio della fine è nel 1998, quando Bertinotti (alcuni dicono d’accordo
con D’Alema) fa cadere il primo governo Prodi. Poi, 2001, grazie anche al
«sindaco» Veltroni, il Paese finisce nelle mani di Berlusconi. Dopo i cinque,
lunghissimi anni del governo di destra si arriva alle elezioni del 2006. Vince
Prodi, ma per soli 24 mila voti. E la sinistra commette un altro errore, quello di
mascherare una sconfitta da vittoria. Ed è insensato non voler prendere atto
della rimonta di Berlusconi, del suo istinto populista di saper dire le cose
che la gente vuol sentire. Il nuovo governo traballa in Senato, sta insieme
solo per l’idea di essere «contro» Berlusconi, ma non sa proporre niente di
concreto, il carico fiscale tocca livelli altissimi, sul piano dei diritti civili (i Dico)
non si fa niente, poi arrivano le intercettazioni delle telefonate con Unipol
di D’Alema e Fassino e anche tra i più fedeli ormai si fa strada
l’anti-politica, l’odio della casta. Alla fine ecco Veltroni con il suo Pd: i giorni di
Prodi sono contati. Dopo l’uscita di Mastella, il governo cade. Si va alle
elezioni, con i noti risultati.

Di questa sinistra, Barenghi non salva nessuno: non certo Bertinotti in
versione salotto continuo, e neppure Diliberto che propone la Costituente
dei comunisti. Con Prodi, dormiglione bofonchiatore, è spietato. Le ambizioni
contrapposte di Veltroni e D’Alema portano solo disastri. Il primo crede
solo alle sue illusioni (Yes, we can), l’altro solo nella sua astuzia. E intanto
Berlusconi non ha solo conquistato il potere ma ha anche l’egemonia
culturale del Paese.

Edmondo Berselli, SINISTRATIultima modifica: 2008-11-11T00:18:00+01:00da mangano1
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