G. De Rita, Il declino del conflitto

•CORRIERE DELLA SERA: 24 NOVEMBRE
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IL TEMPO DELLE «EMOZIONI BLANDE»
Il declino del conflitto

di Giuseppe De Rita

In un cupo soliloquio della Tosca, Scarpia esprime con volgare voluttà il
concetto che «ha più forte sapore la conquista violenta che il mellifluo
consenso».
È un concetto che gli amanti dell’opera lirica recitano spesso, anche se
sempre più raramente lo mettono in opera.Ma è un concetto però cui restano
affezionati i teorici e i militanti del conflitto sociale e politico, sempre convinti
che la storia e il potere si conquistano facendo rivoluzioni o almeno
esercitando la forza. E anche quando, com’è attualmente, la forza e leg de rita1.jpg
rivoluzioni sono solo mediatiche e virtuali, l’ispirazione resta la stessa: il
conflitto innanzitutto.
Chi osservi invece le cose italiane di questi ultimi tempi scopre che di conflitto
ce n’è poco: non ce n’è in fabbrica e nei campi come retoricamente si è
spesso declamato; non ce n’è negli uffici pubblici, visto che neppure
l’aggressività brunettiana è riuscita a far scattare rivolte anche minimali; non
ce n’è in tutto il vasto settore dei servizi alle imprese e alle persone, ormai
segnato da professioni (dal pubblicitario alla badante) che sono
strutturalmente negate alla mobilitazione collettiva, figurarsi al conflitto. Può
spiacere a qualcuno, ma l’attuale composizione sociale non presenta grandi
componenti conflittuali.
Si potrà dire che l’affermazione è contraddetta dalle recenti agitazioni di
piazza degli studenti e dai recenti scioperi del trasporto aereo; ma credo che
un po’ tutti abbiano avvertito la loro carica altamente corporativa e la loro
incapacità di creare valenza generale e mobilitazione politica. Come
potenziali minacce conflittuali sono stati «lasciati cadere»; e non solo dalle
sedi del relativo potere decisionale, ma anche dalle sedi tradizionalmente di
lotta e potenzialmente di alleanza (il sindacato, ad esempio). Tutto quindi è
tornato nell’ordine.
Nell’ordine. Che significa oggi questo termine? In superficie sta a significare
che abbiamo più voglia di istituzioni funzionanti che voglia di trasformarle,
riformarle, rivoluzionarle. Vince il pragmatismo del quotidiano, non un’idea di
futuro migliore; può esser triste ammetterlo, ma tutto ciò porta a una bassa
popolarità anche del riformismo, del resto da sempre visto solo come
alternativa pacata al conflitto, non come ideologia autonoma e
autopropellente.
Resta allora il «mellifluo consenso». È probabile che alla parte più
combattiva della nostra classe dirigente venga un attacco di bile di fronte a
tale locuzione, magari nel sospetto che essa riveli una più o meno cosciente
berlusconiana strategia di dittatura morbida. Ma nei fatti dobbiamo verificare
che oggi il consenso si conquista facendo ricorso a emozioni blande e non
violente; e anche quando si scende in piazza, le emozioni devono restare
blande, come sono quelle dei megaraduni, dei tour elettorali, dei girotondi,
delle false primarie, dove tutto è mellifluo, anche se a lungo andare falso, non
affidabile.
Perché, come ha acutamente notato Natalino Irti, viviamo un tempo in cui non
c’è più rappresentanza (di interessi, di bisogni, di opzioni collettive) ma
«rappresentatività esistenziale», di messa in comune di emozioni e
sentimenti individuali coltivati nella dimensione dell’esistenza, senza passioni
e spessori di essenza. Non a caso, limitando la riflessione al puro campo
politico, hanno oggi più successo le formazioni che si rifanno al disagio
esistenziale (il leghismo, il dipietrismo) che quelle che devono (per
necessitata ampia consistenza) far riferimento alla rappresentanza di
interessi, bisogni e opzioni di carattere collettivo, più che ai turbamenti o ai
rinserramenti esistenziali.
Non c’è allora da far conto sull’illusione che torni il conflitto, grande oggetto
del desiderio. Più utile sarebbe un impegno a ricostruire contenuti e strumenti
della rappresentanza. E bisogna farlo sia nelle strutture del sociale come in
quelle della politica, rompendo quell’autoconservazione corporativa che
purtroppo le sta distruggendo, nel piccolo dell’associazionismo non profit
come nel grande della dinamica partitica.
24 novembre 2008
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G. De Rita, Il declino del conflittoultima modifica: 2008-11-24T15:28:00+01:00da mangano1
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