da LA STAMPA 1 dicembre 2008
MARCO BELPOLITI
Siamo divenuti i secondini di noi stessi
La porta blindata è un genere molto diffuso. Non c’è oggi in Italia appartamento o casa che non l’abbia installata. La sicurezza anzitutto. Le porte sono sempre più chiuse. E pensare che la porta – non solo nelle case, ma in tutti gli edifici in generale – ha rappresentato per migliaia d’anni un luogo essenziale di passaggio: l’apertura che permette di entrare e di uscire, di transitare da un campo all’altro, dal dentro al fuori, e viceversa. Le porte hanno un valore simbolico. Ma in una società come la nostra, in cui tutti i riti di passaggio sono stati di fatto aboliti (dall’infanzia all’età adulta, dalla pubertà alla maturità sessuale, da discente a docente, da apprendista a operaio ecc.), le porte sono diventate impenetrabili ritornando a essere oggetti dotati solo di valore materiale.
Le iniziazioni presuppongono società a un tempo rigide e lasche. La nostra, secondo una nota definizione, è invece una «società liquida». Per questo le porte sono chiuse e blindate. Zygmunt Bauman, l’inventore della formula, sostiene che il normale istinto di sopravvivenza e di difesa è stato caricato di sentimenti che vanno ben al di là della nostra capacità di sopportarli: un «sovraccarico di sicurezza personale». La porta blindata ne è il simbolo più evidente, il più palese. Lo scopo è di isolarsi dentro, nascondersi, barricarsi. E non solo le porte, ma anche cancelli,
Lo spioncino è un’invenzione carceraria. Si tratta di un piccolo finestrino nella porta delle celle, per permettere di vedere all’interno il detenuto. Il termine è entrato in circolazione attorno al 1890, quando lo strumento si è imposto nei penitenziari italiani. Il buco, o fessura, per guardare