Aldo Tropea, Vale ancora la pena ( di cambiare il mondo) ?

: 21/12/2008
Da “Aldo Tropea”
a svicario@metafora-mi.it

Ogg: Auguri da Sergio Vicario e dal Cesvi
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Vale ancora la pena

di cercare di cambiare il mondo?

Dal dibattito che si è svolto nel corso di quest’anno sui media in occasione del suo quarantennale, il ’68, diciamo la verità, ne è uscito piuttosto ammaccato. In estrema sintesi, si è raccontato quell’irripetibile stagione, soprattutto, attraverso le tragedie avvenute nel decennio successivo e, in gran parte, il ’68 italiano è stato isolato da quanto avveniva contemporaneamente nel resto del mondo.

Pochi hanno voluto ricordare la situazione immediatamente precedente da cui scaturì, per opposizione, quel grande sommovimento.

Grandi trasformazioni economiche, sociali e culturali trovavano, soprattutto in Italia, duri ostacoli in una società organizzata per compartimenti stagni. Verrebbe da dire, con linguaggio odierno, per caste. Diventò a molti chiaro che il proprio disagio individuale era, in realtà, lo stesso aldo1.jpgcondiviso dai più e questa consapevolezza si trasformò in voglia e prassi di partecipazione.

Una generazione, e non pochi attivisti, decise, inizialmente senza categorie ideologiche precostituite, di non voler far da spettatore e tentò di diventare protagonista.

Quel movimento si inaridì o deragliò per diverse ragioni, non ultime le culture di cui si era dotato per cercare di capire e cambiare il mondo. In maniera non secondaria, però, contribuì a cambiare il mondo senza riuscire, come si diceva allora, a ‘fuoriuscire dal sistema’, alzando i livelli di partecipazione.

Oggi, forse di più che nei primi anni ’60, le persone non solo si sentono, ma sono, più sole di fronte ai grandi cambiamenti planetari: climatici, economici, tecnologici, sociali e culturali. I rilevanti costi sociali, prima ancora che economici, di questa solitudine sono quotidianamente sotto gli occhi di tutti.

Una nuova stagione di rinnovata partecipazione può essere un’utile risposta alle attuali esigenze dello ‘stare assieme’? E’ possibile costruire spazi di socialità capaci di incidere sulle grandi questioni collettive, senza assumere come modello e polarizzarsi tra gli egoismi delle assemblee di condominio e l’assemblearismo totalizzante e, spesso, prevaricatore?

Io a queste domande, e ancora più a quella del titolo, credo si debba dare una risposta positiva, ovviamente cercando di darsi una strumentazione culturale adeguata e, poi, nel limite dell’età, degli impegni quotidiani e del possibile, cercare di impegnarsi anche politicamente.

La mia personale visione dell’attuale situazione, partendo come ci venne insegnato con lungimiranza nel ‘68, dalla situazione internazionale ed i nostri compiti, è la seguente:

Io questa grande lungimiranza non ce la vedo. Ovviamente sapere dove ci si muove è importante, ma nel ’68 mi ricordo grandi sproloqui su conoscenze estremamente labili. Il problema centrale della società in cui viviamo (uno dei problemi) è la relazione tra conoscenza e azione. Gran parte dele procedure democratiche incorporate nelle costituzioni vigenti presupponeva società “information poor” con decisori individuali che si informavano mediante relativamente complessi passaggi che a loro volta costituivano un sistema di rapporti sociali e soggetti politici. Oggi si è verificata una massificazione (prevista da molti autori, Tocqueville, Ortega, Mannheim, Riesman e via dicendo) perché la società si è trasformata in “information dense”, ma i soggetti che la manipolano e tu lo sai meglio di me sono attori specializzati che si interpongono tra la fonte dell’informazione e il suo utilizzatore rendendo incontrollabile il senso esatto del dato. Quindi i soggetti intermedi sono scomparsi o resi ineffettuali, scuola e università compresi. E’ quindi molto difficile per chi vorrebbe “cambiare la società” , ma il termine è impreciso, perché mi sembra che si tratti di qualcos’ altro che però non riesco bene a definire, trovare un luogo in cui collaborare con altri che hanno le stesse intenzioni. La sinistra non riesce a muoversi bene in questa nuova situazione perché non ha esplorato abbastanza le nuove possibilità offerte dal sistema informativo. Non è che Tremonti sia più intelligente, ha solo capito che visto che ormai il pallino l’aveva lui perché mai affidarsi al mercato?

Borghezio: “Uhe, ragassi adess podemm fa foeura la casta”

Giulio, Roberto e Umberto(all’unisono): “Tas ti stupid! Taci! Adesso la casta siamo noi”

L’intervento senza precedenti degli Stati europei e degli Usa a sostegno delle banche ha, di fatto, aperto un nuovo ciclo politico-economico, chiudendo con il trentennale predominio culturale aperto dalla scuola di Chicago e tradotto in politiche da Ronald Reagan e da Margareth Thatcher.

Giulio Tremonti sembra il solo ad aver capito in anticipo il cambio del ciclo ed è passato disinvoltamente dalla finanza creativa (collegata al lassaiz faire, ai condoni, alla derubricazione del falso in bilancio come reato), al colbertismo protezionista, risvegliando vecchi umori che la sinistra non ha mai definitivamente abbandonato.

Paradossalmente, nell’attuale incapacità della sinistra (?) a dire e a fare qualcosa, a cogliere i frutti della nuova situazione finirebbero per essere proprio coloro che hanno largamente contribuito a determinare la crisi attuale (l’economia reale finora ha tenuto perché c’è un’imprenditoria diffusa che ha saputo scommettere sulla crescita al di fuori dei mercati internazionali tradizionali). Il che non significa affidarsi ad un liberismo senza regole, ma rivendicare regole contrattate e valide globalmente (v. J.P. Fitoussi)

Il crollo del turbocapitalismo propone alle democrazie due sfide.

In primo luogo, vanno offerte risposte alla crisi che non siano basate sugli stessi fondamenti del trentennio passato, ma che non siano neppure il ritorno alle antiche politiche interviste della Prima Repubblica e portino alla difesa di un welfare non più difendibile in conseguenza dei profondi cambiamenti sociali e demografici che sono nel frattempo intervenuti. Il rischio è quello di una politica ancor più pervasiva nei confronti dell’economia e della società di quella che portò al crollo della prima Repubblica.

In secondo luogo, senza per questo ritornare al catastrofismo terzo internazionalista e all’imminente crollo del capitalismo, impedire che gli esclusi, tendenzialmente in crescita, delle società avanzate (v. Peter Glotz) possano diventare quella che una volta si definiva la ‘base di massa’ di derive populiste e reazionarie.

I miei attuali riferimenti:

Come declinare l’identità di una forza di sinistra all’inizio del 3° millennio
(che secondo me deve essere liberal-socialista)

Libertà di vivere la propria vita e di intraprendere
(elemento distintivo della società post fordista)
Mercato dove è possibile, Governo dove è necessario

Alexis De Tocqueville, Joseph A. Schumpeter

Uguaglianza delle opportunità
A partire dalla scuola che deve diventare strumento principe di inclusione.
L’Università, soprattutto, non è fattore di riconoscimento del merito
e non svolge un’adeguata funzione di “ascensore sociale”

Solidarietà
Non c’è una classe che ha nelle sue mani il destino dell’umanità,
dunque la democrazia.
Amartya Sen
Peter Glotz
Joseph A. Schumpeter

Libertà, Uguaglianza, Solidarietà, pur in una concezione aggiornata, possono però essere difese e sviluppate solo in un contesto planetario. Ruolo dell’Europa

Aldo Tropea, Vale ancora la pena ( di cambiare il mondo) ?ultima modifica: 2008-12-23T19:44:00+01:00da mangano1
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