Antonio Benci, La Marianna del 68

Antonio Benci
“Un’immagine mi fissa per sempre”. La Marianna del ‘68

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(www.engramma.it). NUMERO DI DICEMBRE 2008 SUL 1968

La Storia è scandita dal tempo e dagli uomini, da date determinanti e periodizzazioni più o meno assodate, da personaggi e comparse che con le loro gesta od omissioni hanno condizionato gli eventi, ma anche, e forse soprattutto, dalle rappresentazioni visive di tempi, uomini, spazi[1].

Proprio un’immagine ci introduce nel cuore di uno dei più straordinari e complicati avvenimenti del XX secolo, di un anno che ha dato nome e senso a un movimento interclassista, antiautoritario, portatore di nuove logiche esistenziali e per molti versi generazionale: il Sessantotto. Un movimento che si è nutrito ed ha alimentato immagini. Non è possibile fare una storia del Sessantotto senza le immagini. Sono queste a “fissare un momento per sempre”, a recare testimonianza dell’avvenimento e al contempo a offrire la chiave d’ingresso per lo stesso.

Non è semplice fare una classifica delle immagini rappresentative del Sessantotto. Vi sono innanzi tutto i manifesti – pubblicazioni autoprodotte del movimento che non di rado vivranno una stagione successiva di critica e interpretazione[2]. Troviamo quindi le istantanee di personaggi simbolo, quali Ho Chi Minh, Mao, Che Guevara e così via. Infine le foto tratte da assemblee, dibattiti, scioperi, cortei, scontri con la polizia.

Tuttavia, se vogliamo indicare una foto simbolo del Sessantotto, si tratta di quella scattata a Parigi il 13 maggio 1968 durante il primo grande sciopero generale e che mostra una bella ragazza, a cavalcioni di un amico, intenta a innalzare la bandiera del F.N.L. vietnamita. È la famosa “Marianna del ‘68”. Ma perché una foto scattata a Parigi diviene emblema di una rivolta generazionale? Lo studioso italiano Marcello Flores ha ben sintetizzato il ruolo del Maggio francese quale chiave di volta del Sessantotto tutto: “È a Parigi in maggio che il 1968 diventa il “sessantotto””[3]. Un’analisi convincente, che pone il Maggio francese come simbolo del Sessantotto mondiale: il più ampio, il più moderno, quello che è andato più vicino a ‘vincere’. Questo mese che rimanda più che mai a un luogo della memoria generazionale sessantottina – da Praga a Roma, da Washington a Tokio, passando per Buenos Aires e Belgrado – trova la sua rappresentazione visiva più forte in questa istantanea, che perciò per estensione acquisisce anche il ruolo di sintesi visiva del Sessantotto tout court. È un’immagine che è entrata a vario titolo negli album di una generazione, come ricorda uno di loro, Adriano Sofri: “Nel mio album nostalgico c’è, naturalmente, la foto della ragazza portabandiera del maggio francese”[4]. Una foto, come ricorda un militante meno noto ma non per questo meno rappresentativo del vecchio leader di Lotta Continua, che “trovavi in parecchie case, poi magari è scomparsa però è rimasta per parecchio tempo nella nostra mente”[5].

Ancora oggi è utilizzata, come ricorda il compilatore di un blog, come emblema di una stagione irripetibile, contemplata con una nostalgia che ha disegnato sulle spalle di Marianna un’identità fatta di rimpianto e disillusione: “Dietro la porta di ingresso della nostra casa (quella che stiamo lasciando, ma sarà così anche nella nuova) teniamo attaccate due foto. Sono un po’ quello che siamo e non solo. Una foto rappresenta quel modo aperto e curioso oltreché generoso che era di Alex Langer: viaggiatore irrequieto e attratto dalla vita […]; l’altra è la ‘Marianna francese’ come venne definita: su uno sfondo di alberi e palazzi, spiccava bella e fiera”[6].

Ma cosa è che rende questa immagine così speciale da incastonarla nell’immaginario e nelle autorappresentazioni mentali di una generazione? Che cosa ne determina nella memoria collettiva un così vasto e trasversale complesso di ricordi e appartenenze?

Antonio Benci, La Marianna del 68ultima modifica: 2009-01-09T22:58:00+01:00da mangano1
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