Gloria Gaetano, Su Virginia Woolf

gloria gaetano

COME FIORI RECISI
Ovvero Perché Mrs. Dalloway va a comprare i fiori?
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Virginia Woolf, La signora Dalloway, Oscar Mondadori

E restate uniti, benché non troppo vicini insieme:Poiché le colonne del tempio restano tra loro distanti,E la quercia e il cipresso non crescono l’una all’ombra dell’altro.(G. K. Gibran)

Io sono un narciso di Saron un giglio delle valli(Cantico dei Cantici)

L’altro giorno ho partecipato alla celebrazione di un matrimonio.
L’altare, ovviamente, era un tripudio di fiori bianchi: rose, anturium, lilium, tuberose, su un letto di verde brillante: un colpo d’occhio davvero bello.
I fiori, vanità e bellezza, eleganza e semplicità insieme, richiamano alla mente immagini di dono, di offerta gratuita, effimera ma sempre gradita, che sottolinea tanti momenti di gioia e di festa, ma anche il rimpianto per chi non c’è più.
Al cimitero di Ostuni un chiosco si chiama, con una inconsapevole e bella metafora: “fiori recisi”: l’autore certo voleva evidenziare la vendita di fiori già tagliati, pronti per l’uso, ma non sono fiori recisi anche i nostri defunti?
Strane idee per un matrimonio, mi sono sorpreso a pensare mentre l’organista intonava la celebre marcia nuziale di Mendelssohn.
Guardando l’incedere della sposagloria1.jpg

e di suo padre e, tutt’intorno, la corona di noi invitati che li accoglievamo con un applauso, mi sono chiesto: perché l’incipit di Mrs. Dalloway chiama in causa i fiori? Possibile che una scrittrice così raffinata come Virginia Woolf abbia iniziato il suo romanzo in maniera banale?
Mi sono convinto che i fiori, in qualche modo, possono aiutarmi a capire meglio quello che la scrittrice ci vuole dire. Vediamo se effettivamente è così, cercando di verificarlo nel testo.
“La signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comperati lei.” Così inizia il romanzo che nella lunga scena d’apertura mostra il percorso che la protagonista fa per andare da casa al fioraio e comincia a farci partecipi del flusso dei suoi pensieri e di ciò che le accade intorno. In particolare, lei ricorda il periodo della sua giovinezza a Burton, a contatto con la natura quando diciottenne era ancora fresca e spontanea e coltivava l’amicizia con Peter Walsh, adesso, invece, è una signora con una posizione sociale che le impone “sia pure nel bel mezzo del viavai di una piazza (…) una particolare calma, anzi solennità.” Poco prima di arrivare dal fioraio le torna in mente la figura di Miss Kilman, l’austera e devota istitutrice di Elizabeth, sua figlia, alla quale quest’ultima si è legata in maniera forte. Mrs. Dalloway sente dentro di sè l’odio per questa donna e per quello che rappresenta ai suoi occhi: la rigidità, la severità, la mancanza di gioia di vivere, e nello stesso tempo è irritata da tale odio, ma proprio allora giunge dal fioraio e per lei è come entrare in un’oasi, un paradiso terrestre in cui incantata ritrova pace e serenità.
L’immagine dei fiori ricorre spesso nel romanzo, ma qui sarebbe troppo lungo enumerare i vari passi. Un brano, però, risulta particolarmente significativo a mio parere. Siamo nella seconda metà del romanzo e Richard Dalloway, il marito di Clarissa, mentre sta tornando a casa, sente risvegliarsi i profondi sentimenti di affetto e di amore che ha per la sua consorte e vuole presentarsi a lei con un dono per dirle che l’ama: non le ha mai esternato i suoi sentimenti; le compra dei fiori, si sente felice, ma poi non sarà capace di dirle quanto si era proposto, le porge i fiori, le prende la mano, ma non verbalizza i suoi sentimenti. Ai fiori, grazie anche alle immagini diffuse in tutto il libro, viene associata una complessa serie di significati. Per analizzarli prendiamo in considerazione altri elementi presenti in questa lunga scena.
Viene nominata miss Kilman che, come si è detto è odiata da Clarissa per quello che rappresenta, per la sua eccessiva rigidità, per il senso di oppressione che dà una certa religiosità che lei incarna, per il suo desiderio di convertire, di “invadere” l’anima degli altri.
Durante il cammino di Richard verso casa si odono i rintocchi del Big Ben e il battere delle ore sottolinea anche il prosieguo della scena, quando Clarissa rimane sola e riflette sul senso della propria esistenza.
I fiori vengono associati alla festa che Clarissa ha organizzato per quella sera
Si parla di felicità e infelicità e del rapporto con gli altri.
Cerchiamo di interpretare in modo sintetico questi elementi: la vita corre via velocemente scandita dai rintocchi del tempo e noi spesso la sciupiamo inutilmente, non riusciamo a trovare il giusto senso ad essa e al nostro rapporto con gli altri e la nostra ricerca della felicità si traduce spesso in infelicità. Non riusciamo a vivere spontaneamente i nostri sentimenti e nel rapporto con gli altri oscilliamo tra un eccesso di riservatezza o addirittura isolamento e la pretesa di “invadere” gli altri e la loro personalità: “Dopo tutto ognuno ha la propria dignità, e si racchiude in sé; anche tra marito e moglie c’è un abisso, e quello va rispettato, pensava Clarissa, guardandolo mentre apriva la porta; a certe cose non si vorrebbe rinunciare, né toglierle al proprio marito contro la sua volontà, senza rimetterci la propria libertà, la propria dignità…”. E per ritornare ai fiori ricevuti dal marito, “Clarissa non la finiva di ammirare le rose; prima tutte raccolte in un mazzo, poi discoste, come per volontà loro.”
Siamo qui nel cuore di un problema tanto caro a molta letteratura del periodo: la relazione con l’altro visto sia come una minaccia, sia come elemento imprescindibile della propria esistenza: nec tecum nec sine te non posso stare con te perché rischio di vedere violata la mia persona e la mia libertà, ma nello stesso tempo non posso fare a meno di te: senza l’altro non mi realizzo pienamente o, comunque, non posso farne a meno, fosse anche per vedere confermata attraverso i suoi occhi la mia identità, la mia esistenza.
La risposta tragica a questo dilemma è rappresentata nel romanzo dal personaggio di Septimus il reduce di guerra che pian piano si chiude nella propria follia fino a suicidarsi. Clarissa e Septimus non si incontrano, ma i loro destini si intrecciano continuamente nel romanzo, fino al momento finale in cui durante lo svolgimento della festa tanto voluta da Clarissa giunge la notizia di un uomo che si è suicidato.
Ed è proprio la festa la risposta che Mrs. Dalloway dà ai problemi esistenziali così strettamente connessi tra loro: la felicità e il suo contrario, la vita e la morte, la relazione con gli altri e la solitudine. Vediamo cosa dice lei stessa a proposito della festa: “Lei amava semplicemente la vita. ‘Ecco perché lo faccio’, disse ad alta voce alla vita. (…) che cosa significava per lei quella cosa cui ella dava il nome di vita? Oh, era difficile… Ecco Tizio che abita a South Kensington; e Caio da Bayswater; e Sempronio che abita, poniamo, in Mayfair. Ella aveva un senso perenne della loro esistenza; e sentiva che era sciupata; e ‘che peccato’ si andava dicendo; ‘se soltanto si potessero riunire’. E li riuniva. E questa era un’offerta: combinare, creare. Ma un’offerta a chi? Un’offerta per amore dell’offerta, forse.” Un’offerta “gratuita”, un dono, come dei fiori, insieme in un fascio, ma ciascuno con la propria individualità, come gli ospiti della festa riuniti insieme da Clarissa, ma rispettati nella loro libertà e nella loro identità.
Siamo fiori recisi, ormai, divelti dal nostro humus più vero, lontani dal giardino dell’Eden a causa dell’odio, delle incomprensioni, dell’artificialità delle convenzioni sociali, dell’incapacità ad esprimere i nostri sentimenti.
Impariamo almeno a stare insieme in questo vaso che è il mondo asfissiante che noi stessi abbiamo voluto, senza soffocarci e traendo il meglio dalla nostra esistenza e dalla vicinanza dell’altro.

Gloria Gaetano, Su Virginia Woolfultima modifica: 2009-02-10T18:26:00+01:00da mangano1
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