Daniele Zappalà, Paul Virilio e la contemplazione

da AVVENIRE, 14 febbraio 2009
Daniele Zappalà, Intervista a Paul Virilio
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“non si dovrebbe so stituire la contem plazione del cielo con la contemplazione degli schermi”
di Paul Virilio –

«Non si dovrebbe so stituire la contem plazione del cielo con la contemplazione degli schermi». A prima vista, può sor prendere che a lanciare sottovoce questo monito vagamente dante sco sia Paul Virilio, urbanista e da decenni maître à penser fra i più rispettati d’Oltralpe. Ma l’altro vol to del ‘pensatore della velocità’, coi suoi vezzi e le sue sorprendenti trouvaille lessicali da raffinato in tellettuale, è il Virilio cristiano, preoccupato dell’umana condi zione ben oltre i recinti della pura speculazione d’accademia. La fondazione Cartier di Parigi ospita attualmente l’esposizione multi mediale ‘Terre natale’, in cui il fi losofo ‘dialoga’ col cineasta Ray­monddaniele1.jpg Depardon sui tema della sedentarietà e del nomadismo ai tempi della globalizzazione.

Professore, la crisi attuale sarebbe dovuta alla capacità dell’econo mia finanziaria, ‘virtuale’, di contaminare e travolgere anche quella ‘reale’. Si può davvero di venire vittime della virtualità?
«Lavoro da trent’anni sulla velo cità, ovvero sull’accelerazione del la realtà. La questione della virtua lità riguarda il passaggio alla velo cità delle onde elettromagnetiche. Tale passaggio ha condizionato il nostro rapporto con l’economia, con la strategia e persino le nostre abitudini, attraverso ciò che si suole chiamare ‘telerealtà’. Esiste un grande pericolo di fronte all’e mersione di un sesto continente, il cyberspazio. Assistiamo a un feno meno di colonizzazione della realtà contrassegnato da una vo lontà di potenza, di controllo e di sostituzione delle origini simile a quella di altre colonizzazioni del passato. Personalmente, non sono contro le nuove tecnologie. Ma o gni evoluzione del progresso è ac compagnata da incidenti di gran de ampiezza, come sosteneva Hannah Arendt».
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Lei è anche urbanista. Pure la no stra idea di città sta cambiando?
«La città moderna è figlia della prospettiva rinascimentale, di una visione geometrica del mondo. Ma oggi la città è posta dinanzi al la prospettiva del tempo reale, ov vero l’immediatezza e l’ubiquità. In un certo senso, gli assi urbani rettilinei sono sempre più sostitui ti dagli schermi, divenuti nuove piazze pubbliche. Per i cittadini cambia dunque il rapporto verso la realtà. Ancor più che la città in tesa architettonicamente, ad esse re investita è la città come entità politica. Mi chiedo se esisterà an cora una sedentarietà urbana».
«Cosa intende?
«I veri sedentari paiono oggi colo ro che su un treno, così come in a scensore o in aereo, riescono a re stare sempre connessi. In fondo, si sentono sempre a casa loro. Men tre chi resta escluso dalle tecnolo gie di comunicazione appare sem pre più come un nomade, fuori posto in ogni angolo del pianeta».

Analizzando la globalizzazione, lei ha sottolineato l’attualità del mito della Torre di Babele. Per ché?
«Oggi, la Terra si rivela troppo pic cola per un certo tipo di progres so, quello legato a un profitto im mediato, a corta scadenza. La Ter ra ha dei limiti geofisici, i limiti della biosfera, come ci ricorda l’e cologia. L’istantaneità e le inter connessioni delle borse, della grande finanza mondiale, rischia no così di provocare crolli babelici e l’attuale crisi finanziaria sta evi denziando ciò. Ma al contempo, il mondo non è affatto troppo pic colo per i progetti umani. In que sto senso, sono pieno di speranza e non credo a nessuna fine della storia. Credo semplicemente ai li miti della biosfera».

Credere per lei è un verbo forte. Cosa porta la sua fede di cristiano a questa riflessione sulla condi zione contemporanea?
«Una speranza che sormonta qualsiasi predizione. I limiti della geografia non sono la fine del mondo. Viviamo in un momento cruciale che dovrebbe veder na scere una nuova università, come quelle che all’epoca sorsero a Bo logna o a Parigi. Intendo, cioè, una nuova intelligenza collettiva di fronte a questi limiti della materia, della nostra territorialità, a que st’unica terra. Auspico la nascita di ciò che ho definito un’università del disastro, di un’intelligenza col lettiva del disastro, ovvero dei danni del progresso. Si tratta esat tamente di una forma di cono scenza capace di opporsi a tutte le profezie catastrofiste o apocalitti che, che personalmente trovo ridi cole».

Cosa vuol dire per lei, nel mondo di oggi, essere cattolico?
«Significa essere universale, dun que aver già pensato la globalità attraverso Cristo e l’unicità della fede in Dio. In un certo senso, la parola cattolico rivela oggi un in teresse particolare. Finora, il ter mine universale è stato spesso in teso nel senso che gli è stato dato dall’astrofisica. Ma, come cristia no, mi oppongo a coloro che im maginano come avvenire poten ziale per l’umanità la scoperta di un fantomatico pianeta abitabile, un pianeta surrogato da sostituire alla Terra divenuta inabitabile. An cora una volta, vi è in ciò uno spi rito tipicamente colonialista, que sta volta in chiave astronautica, paragonabile a quello del cyber spazio di cui parlavo».

Lei si definisce come un contem plativo spesso disturbato dalla nostra epoca tanto rumorosa. La contemplazione ha un avvenire?
«Certo. Si è molto parlato delle ri voluzioni e dei rivoluzionari. Ma forse non si è parlato abbastanza della Rivelazione. Quando vengo accusato di pessimismo, rispondo con questa sorta di gioco di paro le: no, non sono pessimista, sono ‘rivelazionario’. La crisi ecologica è una rivelazione, non una rivolu zione. Il mondo è semplicemente troppo piccolo per alcune delle nostre follie».

Daniele Zappalà, Paul Virilio e la contemplazioneultima modifica: 2009-02-16T19:32:00+01:00da mangano1
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