quando l’immagine cancella la realtà
di Jean Baudrillard – 18/02/2009
Trasmissioni come il Grande Fratello corrispondono al desiderio imperscrittibile di essere assolutamente “Nulla” e di essere guardati in quanto tali
La violenza dell´immagine (e, in generale, dell´informazione o del virtuale) consiste nel far sparire il Reale. Tutto deve esser visto, tutto deve essere visibile. L´immagine è il luogo per eccellenza di questa visibilità. Tutto il reale deve convertirsi in immagine, ma quasi sempre è a costo della sua scomparsa. È d´altronde proprio nel fatto che qualcosa in essa è scomparso che risiede la seduzione, il fascino dell´immagine, ma anche la sua ambiguità; in particolare quella dell´immagine-reportage, dell´immagine-messaggio, dell´immagine-testimonianza. Facendo apparire la realtà, anche la più violenta, all´immaginazione, essa ne dissolve la sostanza reale. È un po´ come nel mito di Euridice: quando Orfeo si volta per guardarla, Euridice
Un buon esempio di questa visibilità forzata, e in cui (in linea di massima) si mostra tutto, è il Grande Fratello e tutti i programmi dello stesso genere, reality show ecc. È qui, nel momento in cui tutto è mostrato, che ci si rende conto che non c´è più nulla da vedere. È lo specchio della piattezza, del grado zero. È qui che ci si inventa una socialità di sintesi, una socialità virtuale in cui si comprova, contrariamente alle intenzioni, la scomparsa dell´altro e, forse, anche la natura non essenzialmente sociale dell´essere umano. A questo si aggiunge il fatto che il mito del Grande Fratello, quello della visibilità poliziesca totale, riguarda il pubblico stesso, mobilitato come voyeur e come giudice. È il pubblico che è diventato Grande Fratello.
Anche l´immagine è più importante di quello che dice: è ciò che si dimentica, ed è anche, oltre che della violenza dell´immagine, la fonte della violenza contro l´immagine. Tutto quello che si vede nell´operazione Grande Fratello è una realtà virtuale, un´immagine di sintesi della realtà, una trasposizione dell´every day life, già trattata a sua volta secondo i modelli dominanti.
Si tratta di voyuerismo pornografico? No, quello che la gente davvero brama non è sesso, ma spettacolo della banalità, che è il vero porno di oggi, la vera oscenità – quella della piattezza, dell´insignificanza e della nullità, una specie di parodia del suo estremo opposto: il Teatro della crudeltà di Antonin Artaud. Ma può darsi che ci sia in questo una forma di crudeltà, almeno virtuale: dal momento in cui la televisione è sempre più incapace di offrire un´immagine degli eventi del mondo, finisce per disvelare la vita quotidiana, la banalità esistenziale come l´evento più mortifero, come l´attualità più violenta, come il luogo stesso del Crimine Perfetto. Che poi è quello che in effetti lei è. E la gente resta affascinata, terrorizzata e affascinata dall´indifferenza del Niente-da-vedere, del Niente-da-dire, dall´indifferenza dello Stesso, dalla propria stessa esistenza.
Non si tratta più di una metafisica del crimine e del sesso. È una patafisica del crimine perfetto: assunzione della banalità come destino, come il nuovo volto della fatalità. Contro-transfert illustrato dal fatto che tutti sono diventati Grande Fratello. Perfusione del Super-io nella massa. Non solo gli spettatori: tutti sono presi nella spirale della Grande Gidouille (il ventre di Ubu). La contemplazione del Crimine Perfetto, di questa perpetrazione della banalità, è diventata una autentica disciplina olimpica, o l´ultima metamorfosi degli sport estremi.
In fondo, tutto questo corrisponde al diritto (e al desiderio) imprescrittibile di non essere Nulla e di essere guardati in quanto tali. Ci sono due maniere di scomparire: o si esige di non essere visti (è la problematica attuale del diritto all´immagine), o si cade nell´esibizionismo delirante della propria nullità. Ci si fa nulla con il fine di essere visti e guardati come nulla – estrema protezione contro la necessità di esistere e l´obbligo di essere se stessi. Da qui l´esigenza contraddittoria e simultanea di non esser visti e di essere perpetuamente visibili. Tutti giocano su due tavoli allo stesso tempo e non c´è nessuna etica né legislazione che possa porre fine a questo dilemma, quello che comportano il diritto incondizionato di vedere ed il diritto, altrettanto categorico, di non esser visti. La massima informazione possibile fa parte dei diritti dell´uomo e, pertanto, lo è anche la visibilità forzata, la sovraesposizione alle luci dell´informazione.
La cosa peggiore in questo gioco televisivo “interattivo” è la partecipazione forzata, questa complicità automatica dello spettatore che va intesa come un autentico ricatto. Questo è l´obiettivo più chiaro dell´operazione: il servilismo, la sottomissione volontaria delle vittime che godono del male che gli si infligge, della vergogna che gli si impone. Tutta la società condivide questo meccanismo fondamentale: la abiezione interattiva, consensuale.