FilippoCeccarelli,”Il corpo del capo” di M. Belpoliti

Ci ho messo la faccia e ho vinto” potrebbe essere la sua insegna
In quella fisicità così esibita si nasconde l’arcano del potere e del comando
di Filippo Ceccarelli (la Repubblica, 19.02.2009)
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Ci ho messo la faccia e ho vinto» ha detto l’altro giorno il presidente
Berlusconi. Ecco, di solito le fatiche degli autori, come quelle dei giornalisti,
non fanno notizia, ma rispetto al mistero glorioso della faccia del Cavaliere si
rende indispensabile un’eccezione, tanto più davanti a un testo debitamente
illustrato che dischiude prospettive a loro modo sconvolgenti: Il corpo del
capo, appunto, di Marco Belpoliti (Guanda, 157 pagine, 12 euro).
Le fatiche di Belpoliti non riguardano tanto le parole, ma l’immane ricerca di
reperti e fotografie per così dire primigenie del Cavaliere, un lavoro di scavo filippo1.jpg
dentro archivi, cassetti, magazzini e mitologie che per qualche tempo ha reso
questo poliedrico intellettuale un appassionato archeologo del
berlusconismo visivo, o meglio della sua autorappresentazione ottica,
psichica, magica e quindi pure elettorale. Perché in quelle prime, antiche
immagini scampate dai rastrellamenti di Miti Simonetto, che acquistava a caro
prezzo ogni istantanea che potesse danneggiare il Signore di Arcore, è
custodito l’antefatto e forse anche il segreto della più straordinaria storia di
potere degli ultimi settant’anni.
Intuizione fulminante. E davvero già allora, anzi meglio di oggi si coglie in
quei ritratti – espressioni, acconciature, pose, vestiti, particolari, sfondi – «una
esagerata volontà» di essere presente nell’album di famiglia degli italiani. Si
coglie in quel giovanotto un istinto, «a tratti perfino diabolico», di pensarsi in
filippo2.jpgrapporto al pubblico. . Una totale determinazione, «una forza di megalomania
altamente efficace» che fin dagli anni Settanta porta quel rampante
costruttore milanese a riflettersi negli sguardi altrui come in uno specchio,
attivando dispositivi a un livello assai profondo, suscitando comportamenti
che solo lui, poi, è in grado di sfruttare.
Non si ha un’idea delle leggende iconografiche che accompagnano il primo
Berlusconi: apocrifi, falsi, foto ritoccate, attribuzioni incerte, a torso nudo come
l’ha fatto vedere Mamma Rosa in tv, oppure modello della pubblicità (liquori,
gelati): forse è lui, forse no, forse è un fotomontaggio, magari da lui stesso
messo in circolo per qualche ermetica, ma funzionale strategia mediatica.
Comunque Belpoliti è risalito alle fonti, ai fotografi, quelli che per primi hanno
“visto” e sentito l’incantesimo di un consenso che è anche fisico, quella
maschera di simpatia istrionica e di pura esteriorità come privata dell’anima,
come un fantasma che già abita dentro ciascuno e grazie a quella disumana
alterità si attiva.
Viene da chiedersi se mai Berlusconi leggerà questo libro, e se rivedrà
queste immagini che documentano la mostruosa vocazione di un
imprenditore che prima di tutti ha compreso che il potere degli spettacoli
inesorabilmente si commuta nello spettacolo del potere. Giuseppe Pino, un
grande delle foto di musica, lo riprende mentre fa il gesto di Fonzy. Mauro
Vallinotto lo immortala sul primo predellino della sua carriera e poi fondatore
di utopiche città del sole.
Alberto Roveri, che a distanza di trent’anni ricorda con ammirazione
l’entusiastica disponibilità del soggetto davanti all’obiettivo, gli ha
acchiappato al volo una fantastica aria tra il furbo e lo strafottente, qualcosa
che in ultima analisi confessa l’essenza del potere: «Vi ho fregato, perciò
fidatevi di me».
Il primo fotografo ufficiale del Cavaliere è Evaristo Fusar. A lui si devono dei
significativi ritratti nei quali Berlusconi, quasi per scherzo, entra nel ruolo del
gangster fascinoso, con Borsalino in testa e sigaretta accesa tra le dita, alla
Alain Delon. Giustamente Belpoliti suggerisce di guardare sempre le mani
del Cavaliere: non le vedi, eppure ci sono, stanno là dove meno te le aspetti,
immobili in un corpo in movimento, emblemi arrivati chissà da quale realtà, le
dita come ganci sulle spalle della prima moglie, regina vaporosa.
Nell’elegante, irreale bianco e nero di Fusar la star sta per farsi re e poi idolo.
Ha poco più di quarant’anni, ma già ritocca a matita e con l’aerografo i suoi
ritratti, nasconde calvizie, alleggerisce il naso. E presto cambierà anche
fotografo.
Nel libro ci sono tesori d’interpretazione “alta” e complessa, a partire da Jung
a Debord, poi i grandi della sociologia europea e americana, naturalmente
Kantorowicz, e Simmel, Baudrillard, Meyrowitz, Goffman, Morin, Bauman,
quindi Calvino, Pasolini. Ma gli spunti sono parecchi, da Susan Sontag a un
romanzo di Franco Cordelli, studi sul sorriso, i capelli, il travestitismo, le
mummie, la civetteria, certe immagini di Philip Dick, fino a Andy Warhol che
utilmente, secondo l’autore, si sarebbe esercitato sul Cavaliere e i suoi colori
(rosa e azzurro) e che per un soffio non l’ha conosciuto, a Milano, durante
l’esposizione sull’Ultima cena.
Perché forse solo a partire dal corpo, così come avviene con un altro grande
capo italiano, Mussolini, ci si avvicina al nucleo più misterioso, al grumo
indicibile del comando, qualcosa che ha a che fare con l’ambiguità della vita,
con il transito nel tempo e nei cervelli, un’«accelerazione nel nulla», un
«arcano spiazzamento», un’«alterità segreta», androgina, una doppia natura
maschile e femminile di cui il corpo-icona è la più abbagliante testimonianza.
E allora certo le veline, le battute galliste, ma la bandana sembra il fazzoletto
di una contadina e intreccia passi di danza come una pin-up, il Cavaliere,
nell’istantanea di un altro importante fotografo, Giorgio Lotti, cui è in pratica
appaltato il corredo iconico del “fotoromanzo” elettorale Una storia italiana,
favola per adulti, capolavoro di intimità costruita, rivelata, poi coscientemente
tradita in nome della sua missione ormai incarnatasi alla guida dell’Italia.
Così, quando i ritocchi fotografici non bastano più, c’è la dieta, la ginnastica,
la corsa rituale con i seguaci alle Bermuda; e poi c’è il primo, poi il secondo
trapianto di capelli e i lifting (molti, in realtà, a partire dagli anni ottanta) che
gli danno l’immobilità plastificata del pupazzo: ma vivente, altroché! Sullo
sfondo si profila – ed è ormai cronaca – la più evidente lotta berlusconiana per
l’immortalità, un presente indifferenziato e senza tempo. Esito come
s’immagina del tutto illusorio, al di là di ogni umano pronostico. Ma intanto
Berlusconi la faccia ce la mette, e continua a vincere. E allora tanto vale
appassionarsi alla questione del suo corpo, se non altro perché ne va del
destino di tutti.

FilippoCeccarelli,”Il corpo del capo” di M. Belpolitiultima modifica: 2009-02-20T00:06:00+01:00da mangano1
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