Csseo:Una donna nel gulag sovietico

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febbraio 2009, alle 17,30, a Trento, nella Sala degli Affreschi della Biblioteca comunale (Via Roma 55) il Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale organizza l’incontro-dibattito Cartoline dall’inferno. Una donna nel Gulag sovietico. Intervengono Emanuela Guercetti e Elena Kostioukovitch. in occasione della pubblicazione di Quanto vale un uomo di Evfrosinija Kersnovskaja
Quanto vale un uomo – o una donna – all’ interno di un gulag? Per rispondere a questa domanda Evfrosinija Kersnovskaja ha scritto un memoriale unico nel suo genere, che ora, quindici anni dopo la sua morte, esce in anteprima mondiale da Bompiani. Le vicende narrate incominciano nell’ esotica terra di Bessarabia, prima romena e poi occupata dai sovietici nel giugno del 1940, dove la protagonista, agiata proprietaria terriera di origine russo-greca, viene sorpresa dagli invasori senza comprendere sulle prime la natura del nuovo potere. Ma le illusioni vengono presto spazzate via: è espropriata di tutto, caricata su un treno piombato con accuse assurde e trasportata nell’ estremo nord della Siberia. Non per questo Evfrosinija smette di lottare, sottoponendosi a tutti i lavori possibili diventa minatrice e boscaiola, infermiera e becchina, spalatrice e carcerata. Fugge attraverso la taiga, viene ripresa, rischia di annegare e la condannano a morte (pena commutata in altri dieci anni di lavori forzati), si ribella e prende le parti dei più deboli, fa a pugni con funzionari corrotti, sorretta da una forza vitale indomabile. Nel crescendo surreale di Quanto vale un uomo (a cura di Elena Kostioukovitch, traduzione di Emanuela Guercetti, postfazione di Valeriu Pasat) a tratti circola un disperato umor nero, premiato infine dalla sopravvivenza e dal ritorno alla madre. C’ è qualcosa di Solzenitsin e Salamov, nella Kersnovskaja, ma anche il timbro inconfondibile di certi toccanti ritratti. E l’ interrogativo posto dal titolo? La prima risposta è: la vita di un uomo nel gulag non vale assolutamente niente. Il pellegrinaggio fra gli orrori concentrazionari staliniani si conclude fra moribondi inconsapevoli, ribelli, rassegnati, conniventi, senza colpa, individui segnati da un destino imperscrutabile, relitti abbandonati allo spegnimento per inedia nelle tundre siberiane. È vero tuttavia anche il contrario: quelle vite valgono moltissimo, ben più di quelle degli aguzzini sovietici, dei torturatori sadici, dei becchini indifferenti, più delle menti di coloro che nelle stanze del Cremlino pretesero di concimare l’ ideologia comunista con corpi umani. Le parole della Kersnovskaja, scritte su quaderni di fortuna e poi recuperate e ordinate prima di morire, oggi rendono alle vittime i loro nomi – e anche i volti, grazie ai disegni a pastello che corredano i brevi capitoli – mentre quelli dei loro persecutori sembrano parallelamente sprofondare nell’ immondezzaio della storia.
 
 
Evfrosinija Kersnovskaja riesce a creare con la scrittura e con le immagini un impatto che, anche a lettura finita, non smette di rievocare episodi, volti, voci, con un procedimento che all’inizio del Terzo Millennio appare di stupefacente novità.
Mai, fino a oggi, le vittime di un regime totalitario l’hanno flagellato con tanto senso estetico. Qui la vittima, più che alla moralizzazione, si dedica al lato tecnico ed estetico. Visto che la realtà narrata è comunque infernale, alla fine il lettore assorbe da queste pagine dei concetti storici, ideologici e morali straordinariamente ricchi, senza che gli vengano però imposte delle idee già elaborate, come invece succede quando leggiamo Sol enicyn.
È nuova la formula del libro: un romanzo illustrato. È nuovo il ruolo del lettore, che diventa più attivo e, quasi come in un gioco ipertestuale, entra nei quadri, ascolta la voce narrante e partecipa alle vicende. È nuovissimo il tono della narratrice. Ci si aspetterebbe la voce di una vittima, di una donna che subisce, patisce, che è picchiata, seviziata, sbattuta nelle carceri di rigore. E invece l’io narrante è quello di una vincitrice fisica e morale. Sembra che si consideri un’amazzone del mito: fortissima, fiera, immacolata. Nei lunghi decenni di degradazione e onta, è riuscita a difendere la propria verginità e l’onore. E si presenta sempre come una paladina della giustizia, anzi, un paladino romantico (si disegna nelle sembianze di un ragazzo). È il riflesso delle sue intense letture, della concezione mitologica e della propensione a romanticizzare e trasfigurare le vicissitudini della vita secondo modelli culturali.
Per lei la cultura funziona come ancora di salvezza in termini assoluti, ma è anche una magica lente d’ingrandimento, che ingigantisce nella memoria le sue esperienze private. Raccontate e illustrate, le vicende private diventano straordinarie. Nella tragedia gigantesca, ci è dato percepire “quanto vale un uomo”, nel caso specifico, quanto vale questa donna.
 
Quanto vale un uomo (a cura di Elena Kostioukovitch, traduzione di Emanuela Guercetti, postfazione di Valeriu Pasat) è pubblicato in prima edizione mondiale da Bompiani, pp. 703, Euro 26,50
 

Csseo:Una donna nel gulag sovieticoultima modifica: 2009-02-25T15:00:00+01:00da mangano1
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