Riccardo Barenghi, La strategia del Dalemone

da LA STAMPA 28 febbraio 2009
RICCARDO BARENGHI, la strategia del Dalemone
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l progetto ce l’hanno ben chiaro in testa. I protagonisti sono gli ex diessini del
Partito democratico, in particolare D’Alema e quelli a lui più vicini. E il Piano
che hanno studiato a tavolino, una volta si sarebbe chiamato un «dalemone»,
si svilupperà nei prossimi sette-otto mesi. Che poi vada in porto, è tutt’altro
discorso: i dalemoni, come si è visto nel passato, erano tanto perfetti in teoria
quanto fallimentari in pratica. 

In ogni caso il Piano prevede che al momento si stia tutti intorno a
Franceschini, lasciandogli anche una certa autonomia di iniziativa, non
mettendogli i bastoni tra le ruote, non comportandosi come si è fatto con
Veltroni che qualsiasi cosa dicesse o facesse non andava bene. Non a caso
ieri D’Alema ha dichiarato che il Pd «sta facendo ottimamente il suo lavoro»,
una frase che con Veltroni non si era neanche sognato di dire. Ma ora il
discorso è diverso, e anche quando Franceschini dice cose non condivisibili
o si lascia trascinare dal «ma anche» come ha fatto recentemente sul
testamento biologico e sulla legge antisciopero, nessun problema. Si fa finta
di essere d’accordo ché adesso non è il momento di riaprire battaglie interne.
Il segretario deve arrivare con una certa tranquillità alle prossime sfide
elettorali, e tutti cercheranno di collaborare, di fare il possibile perché il
risultato non sia troppo negativo, insomma siamo sulla stessa barca e
cerchiamo di non farla affondare. 

Ma tutti sanno che le elezioni andranno male, lo stesso Piero Fassino,
durante l’Assemblea costituente di sabato scorso, ci spiegava che «a me le
europee preoccupano meno delle amministrative, dove noi partiamo altissimi,
su 5000 comuni ne governiamo 3800… è evidente che ne perderemo
moltissimi e dunque la sconfitta sarà sotto gli occhi di tutti. Basterà
confrontare le tabelle». È una delle ragioni per cui non era questo il momento
adatto per prendersi la guida del Pd. L’altra, spiega sempre Fassino, «perché
era giusto che adesso toccasse a un leader con un’altra cultura e un’altra
storia politica. Poi in autunno, al congresso, il discorso può cambiare…». 

Tradotto in poche e ciniche parole, significa che Franceschini ballerà una
sola estate, caricandosi sulle spalle il probabile tracollo elettorale, per poi
passare la mano. Ovviamente lui non è un ingenuo, conosce la politica e
pure i suoi polli, dunque è perfettamente consapevole del gioco che si sta
facendo. E ne è anche partecipe, preparando un suo futuro da ex segretario
ma con un ruolo importante nel Partito. 

Succederà allora, o almeno dovrebbe succedere secondo il dalemone, che
dopo il risultato elettorale il Pd entrerà in una fortissima fibrillazione, magari
qualcuno (Rutelli, la Binetti, altri) se ne andrà fondando con Casini una nuova
forza di centro che guarda a sinistra (per ora), liberando così il campo del Pd
da zavorre troppo moderate. Ci sarà la festa del partito, le interviste sui
giornali, il lavorio nelle periferie – peraltro già cominciato – per preparare la
riscossa degli ex comunisti. I quali, com’è noto, rappresentano almeno i due
terzi del Partito democratico, dunque hanno tutti i numeri in regola per
poterne rivendicare la leadership, la linea politica, la gestione. E così faranno,
o almeno vorrebbero fare, vincendo il congresso, candidando uno di loro alle
primarie, forse Bersani, forse Anna Finocchiaro, forse Cuperlo, e risolvendo in
questo modo quell’«amalgama mal riuscito» che è stato finora il Pd secondo
la definizione dello stesso D’Alema. Ne uscirebbe fuori un partito più spostato
a sinistra, che rimette al centro i suoi 150 anni di storia (come ripete Bersani),
che insomma diventerebbe nei fatti una forza socialdemocratica europea. Ma
senza chiamarsi così, e senza neanche esserlo fino in fondo, ché altrimenti
quegli ex dc che non andrebbero mai con Casini (Rosi Bindi, Marini, lo stesso
Franceschini) non potrebbero neanche rimanere nel Pd. 

Dunque un nuovo-vecchio partito che metterebbe nel conto la perdita di una
sua parte, anche elettorale, quella appunto più moderata, scommettendo
però sul recupero di quel popolo di sinistra che si aggira sbandato per il
paese e cerca una casa abitabile. È insomma il classico passo indietro oggi
per farne due avanti domani, come scrisse Lenin che infatti poi fece la
rivoluzione. Resta da vedere se sia D’Alema il nostro Lenin.

Riccardo Barenghi, La strategia del Dalemoneultima modifica: 2009-03-01T00:55:00+01:00da mangano1
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