Roberto Bonuglia,50 anni fa a Cuba

da Khayyam’s Blog – giovedì 26 marzo 2009

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Roberto Bonuglia
50 anni fa: la rivoluzione castrista tra sigari e tagliatelle alla bolognese…
50 anni fa, Fidel Castro conquistò Cuba, sconfiggendo il dittatore Batista. Castro era il capo dei guerriglieri che, nel 1956, cercavano di prendere il potere a Cuba. Questi erano i cosiddetti «barbudos»: avevano tutti la barba lunga. Castro proclamò la Repubblica Democratica Socialista di Cuba e si alleò con l’URSS. Al suo fianco, un personaggio ormai entrato nella leggenda: l’argentino Ernesto Che Guevara. Egli fu il teorico della «rivoluzione permanente» da esportare ovunque. Per questo, nel 1967, si recò in Bolivia dove il suo tentativo di far insorgere i boliviani non riuscì: Guevara, fu ucciso. Non molto tempo fa, Castro ha passato le «consegne del potere» a suo fratello Raul. Cuba è attualmente un paese che cerca di evolversi in senso democratico. Vedremo cosa succederà nell’isola dove, mezzo secolo fa, iniziava l’«avventura di Fidel», leader carismatico amante dei buoni sigari e delle tagliatelle alla bolognese che Roberto Bonuglia ripercorre in questo «avvincente» post. [Vito Cirillo]
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Nel gennaio 1961, a due anni dalla fuga da Cuba del dittatore Batista e dall’ingresso trionfale all’Avana di Fidel Castro, alla testa di 3.000 «barbudos», pochi in America avrebbero scommesso un dollaro sull’avvenire del giovane capo rivoluzionario dell’isola dei Caraibi. Tutti d’accordo: maghi, giornalisti, uomini politici, generali in pensione: cadrà entro poche settimane, dicevano, al massimo durerà fino alla fine dell’anno. Fidel Castro, invece (emerso dalle file dei cattolici radicali per abbattere, nel nome della libertà e della democrazia, la dittatura di Batista e diventato comunista, a rivoluzione vinta, per opporsi, con l’aiuto di Mosca, a ciò che egli definiva l’«imperialismo yankee »), è sopravvissuto alla tentata invasione di 1.500 profughi cubani (Baia dei Porci: 17 aprile 1961), alla crisi dei missili che nell’ottobre del 1962 ha portato il mondo sull’orlo della guerra nucleare, al rigido blocco economico imposto dagli Stati Uniti a Cuba a partire dal 1961, al crollo della stessa Unione Sovietica nel 1989, all’inizio della globalizzazione economica. Nonostante le voci che di volta in volta lo hanno dato per malato, prossimo alla morte, politicamente caduto in disgrazia, scomparso, Castro ha guidato per 50 anni l’unico Stato comunista in un continente dominato dagli Stati Uniti.

L’esordio di Fidel Castro sulla scena politica cubana avvenne nell’aprile del 1952. Da pochi mesi Cuba viveva sotto la dittatura poliziesca dell’ex sergente Batista. Il giovane Fidel, rampollo di una famiglia proprietaria terriera, influenzato dai principi cattolici appresi dai Gesuiti e dagli aneliti «radical-democratici» assorbiti sui banchi universitari e fra gli intellettuali cubani, denuncia Batista al tribunale d’urgenza dell’Avana accusandolo di aver violato sei
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articoli della Costituzione. La denuncia venne naturalmente respinta e Castro, sia pure per poche ore, conosce per la prima volta le «manette del regime». È l’inizio di una lotta che durerà fino alla notte di capodanno del 1958. Per un anno Fidel combatté con il codice contro il regime, difendendo nei tribunali le cause perdute dei contadini e degli oppositori di Batista. Nella primavera del ‘52 decise di passare all’azione armata. Radunati 150 seguaci e 120 fucili il 26 luglio guidò un assalto disperato contro il Forte Moncada, la più poderosa fortezza dell’esercito di Batista nella provincia di Oriente. I sopravvissuti, 115, furono catturati in una settimana: 50 furono portati a giudizio, gli altri 65 torturati a morte. In tribunale Castro non volle essere difeso e affrontò a testa alta il regime: «Condannatemi pure» – esclamò concludendo la sua autodifesa – «la storia mi assolverà ». Grazie all’intervento determinante del vescovo di Santiago (in virtù dei suoi «trascorsi» gesuitici…) non fu condannato a morte ma a «solo» 15 anni di reclusione, ed il fratello Raul a 7 anni.

Una delle solite amnistie, nel maggio del ‘55, fece uscire Castro di prigione. Il «ribelle» fuggì negli Stati Uniti dove fondò il «Movimento del 26 luglio», poi passò in Messico dove il suo piccolo gruppo si addestrò alla guerriglia sotto la direzione di Alberto Bajo, un colonnello spagnolo che aveva combattuto nella guerra civile spagnola contro i franchisti. Nel campo dei partigiani cubani si vive solo per la causa della libertà, in una disciplina da convento. Chi litiga, chi bestemmia viene cacciato dal giovane capo. «Voglio con me dei gentiluomini», diceva Fidel.

Alla fine del ‘56 il Messico incomincia a scottare per i castristi. Salpato sul panfilo «Gramma» con 80 guerriglieri, il 26 novembre, e sbarcato a Cuba, Castro conobbe un’altra disfatta. Attaccati da un reggimento cubano soltanto 12 guerriglieri – e fra questi Fidel, Raul e il medico argentino «Che» Guevara, avventuroso, anarcoide, «rivoluzionario di professione» – riuscirono a salvarsi fuggendo sui monti della Sierra Maestra. Fidel entrò in contatto con la popolazione contadina, poi passò all’azione partigiana: colpi di mano con una pistola per impossessarsi di un mitra, con un mitra per conquistare una mitragliatrice, con dieci armati per occupare una caserma isolata. Le file dei castristi si ingrossarono e incominciarono le battaglie vere e proprie, basate sempre sull’effetto sorpresa. Oltre che a guidare la rivoluzione, Castro pensò a farle una robusta propaganda per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale: nel marzo del 1958 organizzò il rapimento di Manuel Fangio, l’asso dell’automobilismo, alla vigilia di una gara all’Avana e poco dopo fece rapire 47 soldati americani in libera uscita dalla base USA di Guantanamo. Liberò Fangio, ma i «barbudos» apparvero sulle prime pagine dei quotidiani d’Europa e d’America.

Alla fine del ‘58 la dittatura di Batista vacillava e le campagne erano con Fidel Castro. Fu allestita un’elezione, con molti brogli e pochi voti, ma nessuno credette alla volontà democratica del dittatore. Batista fuggì la notte di Capodanno. Castro non si liberò della barba sebbene avesse giurato di tagliarsela appena Batista avesse lasciato Cuba, conservò gli abiti di partigiano e non smobilitò lo spirito rivoluzionario. Cambiò solo l’obiettivo; invece di Batista, gli Usa diventarono i responsabili di tutti i mali di Cuba e dell’America latina, la miseria, l’analfabetismo, le ricchezze concentrate in poche mani. Alle condanne a morte dei tribunali rivoluzionari contro i poliziotti di Batista, la stampa americana reagì con l’accusa di «infiltrazione comunista» a Cuba; alla riforma agraria, agli espropri, alla nazionalizzazione delle imprese americane a Cuba (fra cui molti casinò gestiti da gangsters, poi chiusi per sempre), il governo americano rispose prima esigendo un indennizzo immediato, impossibile perché le casse statali erano vuote, poi con la sospensione degli aiuti economici e con la rottura dei rapporti diplomatici.
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Fidel Castro, per convinzione o per fiuto politico, aveva fatto una rivoluzione proletaria, cioè contadina, dato lo stato dell’economia cubana: l’approdo alle sponde comuniste era quindi inevitabile. Intanto l’infiltrazione comunista diventava intervento economico dell’URSS. Il 4 febbraio del ‘60 il vice primo ministro sovietico, Mikoyan, firmò un accordo di collaborazione con Cuba; lo zucchero cubano prese la strada dell’URSS e il petrolio sovietico quello di Cuba. Dipendenza economica, ma anche dipendenza ideologica? Fino al 1961 Fidel Castro lo negò. «Gli italiani mi possono capire se dico che desidero passare per un nuovo Garibaldi piuttosto che per un altro Mussolini» ripeteva Fidel ai giornalisti italiani che lo andarono a intervistare.

Nel dicembre del 1961 Fidel Castro annunciò al mondo: «Sono marxista-leninista e lo resterò fino alla fine del mondo». Inizia così il «terzo periodo» di Fidel Castro, dopo quello libertario della lotta partigiana e quello semplicemente anti-americano («Cuba sì, yankee no») dei primi anni di potere. Nell’ottobre del ‘62 scoppiò la crisi dei missili e Kennedy vinse il pericoloso braccio di ferro con Krusciev. Fu un episodio della lotta fra le due superpotenze, non una pagina di storia cubana. Cuba fu solo il terreno occasionale di uno scontro che oggi ha il sapore di una storia davvero lontana, che qualche tempo fa avremmo raccontato davanti al caminetto e che oggi, invece, affidiamo con affetto al Khayyam’s Blog.

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Gossip «rivoluzionario»:
Le origini: nato nel 1926 nella tenuta di Manacas, nella provincia cubana di Oriente. Il padre, un bracciante immigrato dalla Spagna, aveva fatto fortuna ed era divenuto proprietario d’una piantagione valutata 400 milioni di lire.

Studi: a scuola dai Gesuiti nel collegio di Santiago di Cuba. Un suo insegnante scrisse nelle note informative: «Carattere entusiasta, teatrale; potrà riuscire molto bene nella recitazione». Fidel andò poi all’Università dell’Avana, dove si laureò in legge. Ha esercitato per qualche tempo la professione di avvocato. Oratore eccezionale.

Famiglia: nel 1948 sposò Marthia Dia Ballart de Nunes, studentessa in filosofia. Dal matrimonio nacque Fidelito. Marthia, il cui padre divenne ad un certo momento un alto funzionario del dittatore Batista, divorziò da Fidel nel 1955 quando questi si rifugiò in Messico. Tanto per gradire, l’ex-moglie di Castro andò negli Stati Uniti e si risposò con un altro cubano.

Vita quotidiana: alto m. 1,84; il suo «peso forma» era di circa un quintale. Barba fluente e corvina. Abitava in una modesta costruzione al numero 1007 dell’Undicesima Strada all’Avana. Castro ha sempre avuto la passione della gastronomia. In una intervista alla televisione francese ha spiegato come egli si preparava le tagliatelle alla bolognese. Buon fumatore di sigari Montecristo da mezzo dollaro l’uno. Appassionato spettatore delle partite di baseball. Quando era più giovane praticava anche la pesca subacquea.

Roberto Bonuglia,50 anni fa a Cubaultima modifica: 2009-03-27T18:49:00+01:00da mangano1
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