duemila ragioni

Adriano Sofri, Rivolta. Quando gli esclusi dicono basta

da LA REPUBBLICA, 7 aprile

ADRIANO SOFRI Rivolta. Quando gli esclusi dicono “basta”

La protesta contro i manager superpagati è la spia di un malessere sociale
che fa fatica a trovare una voce e un´espressione politica

Il capitalismo è tutto e il suo contrario. Riesce a chiedere in prima
persona che le banche vengano nazionalizzate e i debiti collettivizati. È
capace di autoespropriarsi

Oggi la parola rivoluzione anche solo come sinonimo di grande cambiamento ha
fatto il suo tempo. È stata superata, mandata in soffitta, mandata via
oppure anestetizzata

di Adriano Sofri (la Repubblica, 7.4.09)

La parola rivolta è tornata a circolare inseguendo il fatto. Ci siamo
sforzati di imparare la nonviolenza, sapremmo combinarle la rivolta? Non è
la ribellione, non è l´insurrezione, né la sua versione vandeana,
l´insorgenza. Non è neanche, non tanto, la rivolta nelle piazze e nelle
officine, quella di cui Fitoussi ha rintracciato qui la genesi e che ha
insieme additato come un pericolo per la democrazia. Vecchio aneddoto: la
rivolta che invece rassicura l´ancien régime. (14 luglio 1789, presa della
Bastiglia. Luigi XVI: “E´ una rivolta?” Ufficiale della Guardia: “No,
Maestà. E´ una rivoluzione”). E´ la rivolta morale che ha spiegato qui Ezio
Mauro. Succede quando l´ordinaria ingiustizia e assurdità dei nostri modi di
vita eccede il limite, e diventa, alla lettera, rivoltante. Dunque è il
momento di ripassarla.
La rivolta si è definita nel confronto con la rivoluzione. Di norma,
venendone colonizzata: la rivolta è scialacquatrice, cieca e sprovveduta,
mentre la rivoluzione è lucida, sa dove vuole arrivare, sa come arrivarci,
sa anche riscattare la rivolta tramutandola in una tappa del proprio
cammino. La rivoluzione ha la sua rivolta premeditata, la chiama
insurrezione, e le assegna un anno, un mese e un giorno preciso ï¿? il 6
novembre sarebbe stato troppo presto, l´8 troppo tardi. La rivolta è
intempestiva, il suo giorno viene a caso, per una scintilla caduta sulla
paglia, o naturalmente, come un terremoto. Ma la spontaneità e la genuinità
della rivolta può anche essere rivendicata contro il raffreddamento
calcolato della rivoluzione. La rivolta non ha da giustificare se stessa che
con il rifiuto della servitù e dell´inganno. Nonostante il paradosso di
Camus, che vuole far durare la rivolta, la rivoluzione può (invano) sognarsi
permanente, la rivolta si brucia in un giro di notti. La rivoluzione
vittoriosa costruisce un nuovo ordine impegnato a schiacciare la
controrivoluzione fuori e dentro le proprie file, la rivoluzione sconfitta
lascia uomini impegnati a cavarne la lezione e preparare la prossima. La
rivolta è sconfitta per definizione, e dopo aver infiammato insieme gli
individui e una moltitudine ï¿? «Je me rèvolte, donc nous sommes ï¿? mi
rivolto, dunque siamo» ï¿? lascia persone sole a passare attraverso file di
carcerieri, a registrare impronte digitali, a camminare su e giù in un
cortile, forse per tanti anni, forse per un´ultima notte.
La rivoluzione ha fatto il suo tempo. Strana espressione questa, di fare il
proprio tempo. Perché vuol dire essere superati, messi in soffitta, buttati
via, ma anche, in qualche origine, aver preteso di forgiare il tempo sulla
propria misura. La parola stessa è così anestetizzata che si può
reimpiegarla nelle conversazioni perbene, disincarnata, disossata, mero
sinonimo di un cambiamento, di un grande cambiamento. Si può perfino dire
“una vera rivoluzione culturale”, non so, per il modo di appendere i quadri
in una mostra, e non sentire più i brividi dell´originale. Di tutti i
progetti di governo delle cose, la rivoluzione sociale e politica era il più
ambizioso: una specie inconsapevole di ingegneria genetica ante litteram
applicata al corpo sociale universale. Se ne è disillusa, ed è diventata
scettica e conservatrice, o prudentemente riformista. Così, per chi non ci
sta e ha membra agili ed è troppo giovane o troppo stanco per provare
interesse a un futuro, è rimasta la rivolta. Per strada, nelle periferie
notturne, o nelle incursioni in centro in certi giorni di gala, quando
un´ufficialità ne offra il pretesto. O nei luoghi in cui si lavora, e si
smette così spesso di lavorare, e si può acchiappare per un po´ qualche
ricco, un amministratore delegato o un tagliatore di teste, in fuga a
Varennes con il portafoglio gonfio e la coda fra le gambe. Nichilista, la
rivolta? Be´, le avete tolto tutto, anche la lepre della rivoluzione. Quanto
alla convalescenza, stava appena studiandosi di smettere di dirsi riformista
e cominciare a essere riformatrice, che le sue ricette diventano aspirina
per l´elefante. La cosiddetta crisi eccede rivoluzione e riforma. Peggio:
investe gli Amministratori delegati delle potenze statali di un´ambizione
rivoluzionaria, di una recita prometeica. Sono loro, adesso, quando la
macchina mondiale è imbizzarrita, a immaginarsi capaci di metterle morso e
redini, a fissarle date di un´agenda da luna park, a somministrarle, in
mancanza di qualità, quantità di trilioni. Era giudiziosa, la mano
invisibile del mercato: dissuadeva dalla megalomania demiurgica, suggeriva
di maneggiare con cura, di lasciare che il risultato venisse dalla libertà
di innumerevoli corsi e incroci delle cose. Naturalmente, questo campo
libero poteva inclinare alla giungla, e dato che poteva l´ha fatto. Il
capitalismo è ambedue le cose, capricciosamente: l´ordine e perfino il
progresso che viene da quel libero corso, e il tracollo. Nazionalizzare le
banche, collettivizzare i debiti, diventa affar suo, del capitalismo che si
autoespropria, e nel momento in cui dichiara la bancarotta della propria
presunta razionalità ï¿?della propria giustizia, nemmeno parlarne- simula di
poter governare il mondo. Manca poco che annunci i piani quinquennali.
D´altra parte, bisogna pure rassegnarsi a sperare che Dio ce la mandi buona,
e che i governanti, e Obama per tutti, non ce la mandino troppo cattiva. Chi
non abbia l´età o il reddito bastanti a questa pazienza, potrà imbattersi
nella rivolta. Non la sceglierà: quello lo fanno, peggio per loro e per noi,
i black block. La rivolta vera non ha uniformi né visi coperti. E´ come un
incidente stradale: uno si ferma a dare un´occhiata, e finisce nella
mischia. Dopotutto la crisi dell´auto era stata annunciata dalle decine e
centinaia di automobili date alle fiamme in una notte nei nostri Paesi:
soprattutto in Francia, già patria della famosa rivoluzione, e ora della
malfamata rivolta. Altri sciagurati vanno a sparare all´impazzata in un
qualunque luogo affollato, o si portano all´altro mondo i propri cinque
figli. All´altro mondo possibile.

Adriano Sofri, Rivolta. Quando gli esclusi dicono bastaultima modifica: 2009-04-07T17:44:00+02:00da
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