Roberto Silvestri, Il primo film sui mutui subprime

Il primo film sui mutui subprime è un horror
di Roberto Silvestri – 22/05/2009

Fonte: Il Manifesto 
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«Drag me to Hell» di Sam Raimi
 
 
Il primo film sui mutui subprime è un horror. Il genere giusto per raccontare le banche criminali e i titoli tossici, le case perdute, i senza tetto e la crisi globale. Chi è responsabile del crack va mandato all’inferno, Drag Me to Hell(fuori concorso) di Sam Raimi, il più morale dei registi del fantastico hollywoodiano, torna con un thriller dell’orrore dopo La Casa (The Evil Dead, 1982), serie di tre film cult, Darkman (1990) e la trilogia blockbuster di Spiderman (l’ultimo del 2007). Il quarto uomo ragno è già in volo. E nella pausa tra una superproduzione e l’altra, Raimi si è concesso un film a low budget prodotto dalla sua Ghost House Pictures, tutto fatto in casa, compreso il final cut. 

Drag Me to Hell è una commedia-horror da Drive-in, tipo Scream di Wes Craven, ma con un retrogusto di solenne indignazione che evoca uno dei suoi film più belli, Soldi sporchi (A simple plain,1998) sull’avidità e la mutazione della persona media, innocua, che si rende complice dei peggiori delitti. Niente di più candido di Christine Brown (Alison Lohman, Il genio della truffa, Beowulf) con le sue camicette a fiori, fresca e rosea, giovane funzionaria di banca addetta alle concessioni di prestiti, che ha scelto il quartiere più dandy di Los Angeles, Echo Park, e un fidanzato tutto latte e miele Clay Dalton (Justin Long, Die Hard). Eccoli i finanzieri della California, dove è scoppiata la bolla immobiliare, gente tipo Christine che aspira a una promozione e per sventare le manovre di un viscido collega decide di compiacere il capo (David Paymer). Quando si presenta al desk una miserabile vecchia dalla bavosa dentiera mobile e l’occhio sbarrato di vetro chiedendo una proroga del prestito per il mutuo, Christine si intenerisce. Il capo però gentilmente le fa capire che è un’operazione a perdere, ma che spetta a lei decidere. Buttare fuori la signora, che si è inginocchiata ai suoi piedi e la supplica di lasciarla vivere nella sua vecchia casa, o ottenere la promozione? Christine fa la cosa giusta, secondo le regole del mercato. Le nega il mutuo. E così in mancanza di un’opposizione forte e terrestre, ecco scatenarsi le forze oscure dell’inferno. Una maledizione orribile colpisce la bancaria, il demone Lamia la perseguiterà fino a strapparle l’anima, e in un turbine di presenze malefiche, poltergeist a ripetizione, visioni digrignanti, fantasmi, ombre sataniche, liquami immondi Christine cercherà la salvezza in un sensitivo e poi in una famosa medium. 

Raimi si diverte a sfornare tutto il repertorio degli effetti speciali più basic, artigianali, poco uso del digitale, e a far paura con il metodo dell’incursione improvvisa, i diavoli infantili tornano nella scena primaria della paura. Molto ironico nel gioco dell’horror, molto pop, Drag Me to Hell è un film politico in maschera. Una lezione di humor nero e di cinema sganciato dalle regole degli Studios. Un film (distribuito in Italia dalla Lucky Red) su un caso di coscienza, nera. Le streghe sono tornate, spaccano vetrine e vetrate, richiamano le vittime defunte dalle tombe. Un G8 più che un sabba. Ma Christine continua a rifiutare le proprie responsabilità anche di fronte alle fauci dentute del demonio, «La colpa è del mio capo!». Da Norimberga a Wall Street è sempre lo stesso ritornello. Per gusto estremo del doppiosenso, Raimi scambia una moneta da collezione datata 1929, l’anno della Grande Crisi, con un bottone infestato che decreterà la morte di chi lo possiede. Ultimo sberleffo al partito dei «moderati». Alla fine, servirà a Christine confessare finalmente le sue colpe e indossare un soprabito azzurro cielo? 

In concorso un eccentrico grande maestro, Alain Resnais con Les herbes folles, in campo l’amata Sabine Azéma e l’attore preferito André Dussollier, diario emozionale di un uomo che segue le sue suggestioni e se ne infischia del senso di gravità e del tempo che passa. Dussollier alias Resnais, il regista di Hiroshima mon amour (’59) e L’anno scorso a Mariembad (’61), segue le tracce di una sconosciuta, scippata all’uscita di un negozio di scarpe (scarpe come sublimi feticci). Ha trovato il suo portafoglio e immagina un’avventura, incontri sotto le luci del neon, al caffè, fuori dal cinema dove danno I ponti di Toko-Ri di Mark Robson… passione comune per il volo, lei ha il brevetto da pilota. Le strade dei due si incrociano in un surreale duetto telefonico, ognuno ama e respinge l’altro… viene in mente Manoel De Oliveira con Michel Piccoli a caccia di Bulle Ogier in Belle Toujours. Come nel film di Alain Cavalier, anche lui affascinato dagli scherzi di memoria, la voce fuori campo del protagonista ci accompagna, ci indica le più insignificanti cose che si animano, spiritelli beffardi, segni di qualcosa che accadrà. Tutt’altro che sentimentale, caustico e impietoso, con Sabine Azéma, capelli rossi elettrici, che dopo aver denunciato il corteggiatore alla polizia, lo insegue, e bypassa perfino moglie (bella e giovane) e figli pur di rivedere il misterioso signore che pretende un po’ di riconoscenza. Che qualcuno ascolti le sue storie, le sue bizzarrie, le sue folli fantasie. Se lo merita. 

Roberto Silvestri, Il primo film sui mutui subprimeultima modifica: 2009-05-22T22:05:00+02:00da mangano1
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