Elena Loewenthal, Oltre l’orrore

da LA STAMPA
24/6/2009
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Oltre l’orrore
ELENA LOEWENTHAL

La violenza, in questa nostra civiltà urbana, ha spesso la faccia tremenda di una chiazza di sangue spalmata sull’asfalto. Tutt’intorno, il disordine dello sgomento e della morte. La tragedia di Monica, stamattina a Milano, si è consumata in un posto che tutto moltiplica: davanti all’asilo nido del figlio di due anni, che lei ha tenuto in braccio sino all’ultimo.
Mentre suo marito la aggrediva verbalmente, s’infuriava per il telefonino di lei che squillava al momento sbagliato, la picchiava a pugni e calci e poi tirava fuori il coltello. Quattro fendenti, poi è scappato a bere qualcosa in un bar, mentre lei che quella mattina come tutte le altre stava portando suo figlio all’asilo nido, agonizzava lì sull’asfalto. Dentro questa giornata tremenda, quel padre e marito non saprà spiegare il perché di quel delitto. Il piccolo, dal canto suo aspetterà all’asilo nido quella madre che non tornerà mai più a prenderlo.

La storia di Monica fa orrore, certo. È una storia di violenza brutale, cieca e tremendamente insensata come lo è sempre la violenza e più che mai quella che si consuma dentro la famiglia. Dove, malgrado tutto, le donne sono ancora un anello tremendamente debole non soltanto in quel terzo e quarto mondo che ci pare così lontano, e da cui c’illudiamo di essere immuni.

Anche in questo nostro civile Occidente, le donne continuano a essere un anello debole tanto da poter cascare sull’asfalto agonizzanti, una mattina di inizio estate mentre si accompagna il bambino all’asilo. Ma la storia di Monica che è morta stamattina fa orrore non tanto o non soltanto per quella scena terribile che devono aver visto maestre e bambini e genitori accorsi dall’asilo nido lì davanti dove Monica non ha fatto in tempo a portare suo figlio, stamane.

Non tanto o non soltanto per quella chiazza di sangue violaceo che l’asfalto non riesce ad assorbire. Per la morte che una mattina d’inizio estate esplode dentro una giornata come tutte le altre. Come si fa a trarre un senso, da una storia così? Una storia di violenza e basta, con un passato di altra violenza e litigi, di rassegnazione mancata e sicuramente di quella paura che ogni donna sente dentro come un sasso, da quando abbandona un compagno violento, capace di tutto.

Se questa storia dice qualcosa di più dell’orrore che mostra, è altro orrore. Quello di cogliere una donna, anzi una madre, nel momento in cui è più forte e vulnerabile più che mai. In quella condizione indescrivibile, eppure vissuta almeno mille volte al giorno dall’istante in cui diventi madre, che significa tenere un figlio in braccio. Sapendo che è affidato a te non tanto e non soltanto dentro quella quotidianità e i bisogni primari e l’affetto e l’istinto. Certo, c’è anche tutto questo. Ma c’è qualcosa di più, in quel momento che ogni madre vive mille volte al giorno e dall’istante in cui mette al mondo un figlio, e per il resto della vita.

In quel momento indescrivibile in cui una madre tiene in braccio un figlio – e nel caso di Monica che è morta accoltellata dall’ex marito violento, un bambino di appena due anni – una donna è più forte e tenace e indistruttibile che mai. Ma anche tremendamente debole, verso se stessa e il mondo che la circonda. E dentro l’orrore di stamattina in via Cova, zona Monforte, a Milano, proprio davanti a un asilo nido pieno di bambini, c’è anche lo sgomento per questa madre assassinata con suo figlio in braccio.
Elena.loewenthal@mailbox.lastampa.it

Elena Loewenthal, Oltre l’orroreultima modifica: 2009-06-24T21:42:00+02:00da mangano1
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