Jovanotti: la mia lezione a Harvard su musica e diritti

da L’UNITA’
jovanotti .jpeg

Jovanotti: la mia lezione a Harvard su musica e diritti
di Lorenzo Cherubini

Ad Harvard dove sono stato invitato a raccontare il mio punto di vista su musica leggera e diritti umani parlerà quasi solo di emozioni. Della conoscenza che si acquisisce attraverso le emozioni come qualcosa di diretto e incancellabile. Nessuno può farsi un’idea di cosa siano i diritti umani se prima non vive e non riconosce l’esperienza di essere prima di tutto un umano in un mondo di umani e in questo senso la musica è un mezzo adatto, preciso e anche efficace. Parlo della mia storia di ragazzo che ha visto il mondo trasformarsi in un luogo interconnesso dove siamo in grado di annullare le distanze.

Perché allora la musica? Cosa c’entra la musica con la giustizia sociale, con i diritti umani, con la povertà estrema, con le libertà individuali? La musica c’entra perché la musica, come dire… lo sa. Un musicista all’interno della sua musica fa esperienza di un tipo di utopia realizzata. La musica intesa come luogo dello spirito è uno spazio in cui si realizza un tipo di giustizia che fuori dalla musica non esiste e allora può succedere, anzi succede, che un musicista, un artista senta il bisogno naturale di colmare quella distanza che divide la musica come luogo di equilibrio dalla realtà come spazio di evidenti ingiustizie.

Partiamo da lontano, probabilmente dagli albori del trinomio «musica-protesta giovanile-impegno civile», con un episodio svoltosi proprio nel campus di Harvard, qualche mese prima del raduno storico di Woodstock: il 9 Aprile 1969, circa 300 studenti, membri di Students for a Democratic Society, occupano l’Administration Building di Harvard University. Il 2 ottobre dello stesso anno, un ordigno termonucleare viene testato presso l’isola di Amchitka in Alaska, provocando un’onda d’urto in grado di alterare la superficie terrestre. Preoccupato degli effetti sull’ambiente, viene costituito a Vancouver il Comitato «Don’t make a Wave». Pochi mesi dopo, Joni Mitchell, James Taylor e Phil Ochs promuovono nello storico concerto di Amchitka il Comitato, che presto diverrà noto al grande pubblico sotto il nome di Greenpeace.

Sin dal loro sorgere, i movimenti giovanili della seconda metà del XX secolo sono stati fattivamente coadiuvati dalla musica e dalle «icone» del panorama musicale giovanile nel condurre la loro vivace battaglia per le global challenges. In tal senso, la musica non soltanto ha dato voce a questioni che hanno segnato storicamente la fine del «secolo breve», intriso da ideologie contrapposte, ma ha agito al tempo stesso da avanguardia e cassa di risonanza di problematiche che hanno ricevuto, grazie ad essa, un’attenzione globale. Come non ricordare il LiveAid del 1985 che sincronizzò il battito del mondo a ritmo di musica, al fine di ricavare fondi per alleviare la carestia in Etiopia? Tale evento, che ha aperto la strada a molte iniziative analoghe di là da venire, è senza dubbio il maggiore esempio di efficacia della musica, tanto sul piano comunicativo quanto su quello, spesso criticato, pratico o dei risvolti reali delle questioni di cui si è fatta portavoce. È nell’arte in genere che si ritrovano i germi della concordia e quelli della semplicità: anche dietro le architetture più complesse, l’arte veicola significati universali.

27 aprile 2010

Jovanotti: la mia lezione a Harvard su musica e dirittiultima modifica: 2010-04-27T15:22:56+02:00da mangano1
Reposta per primo quest’articolo